Parte 1°: Il Percipiente

1.1 – Una questione di linguaggio

La comunicazione tra esseri umani si basa sulla esistenza di un linguaggio comune che permette lo scambio di emozioni e di concetti razionali elaborati dai singoli. Il livello di comunicazione può essere molto diverso: si va dal semplice scambio di opinioni o di rapporti emotivi comuni, fino al più profondo e complesso modo di scambiarsi messaggi scientifici o artistici di altissimo livello. La conoscenza del linguaggio è assolutamente necessaria per comprendere appieno i messaggi che gli individui desiderano scambiarsi. Questo, valido per la normale vita di relazione, è ugualmente valido nel campo artistico, dato che ogni manifestazione ed espressione artistica è essenzialmente comunicazione di messaggi di un uomo verso altri uomini. Difatti, è impossibile concepire una opera d’arte senza ipotizzare l’esistenza e la possibile comprensione di un messaggio in essa contenuto, cosa che presuppone l’esistenza di un linguaggio comune tra l’artista e coloro che si avvicinano alla sua opera; questo linguaggio, necessariamente, va rivelato, studiato, compreso a pieno: solo dopo potremo capire l’opera d’arte. E’ assolutamente impossibile pensare ad un rapporto individuale tra ciascun fruitore e l’opera d’arte: essa può dare sensazioni e suggestioni che possono indurre erroneamente il fruitore a credere di averla compresa anche senza conoscerne coscientemente il linguaggio (e perciò indurlo a credere di poterne fare a meno).

Questa situazione è frequente, purtroppo, nella Musica, che è forse la più “malcompresa” tra le Arti. In realtà, per parlare di linguaggio, occorre che questo sia condiviso e compreso da molte persone contemporaneamente, in modo che ciascuno possa trovare anche negli altri le necessarie conferme del “suo” sentire; certo, nel caso delle Arti, un linguaggio, per poter essere classificato “universale”, cioè “di tutti”, dovrebbe potersi basare su un livello culturale medio tale da garantirne una acquisizione ad alti standard, mentre può darsi che la differenza di livello culturale tra le persone influenzi il grado di comprensione e renda difficoltoso il dialogo tra fruitori in cerca di conferme. Comunque, l’opera d’arte poggia la sua universalità, e l’essere riconosciuta tale, proprio sulla certezza di una individuazione univoca dovuta alla sua formulazione in un linguaggio comune a un gran numero di persone. Come sappiamo, oggi la Filosofia della Scienza tenta di ricondurre ad una unità le numerose e ampie divaricazioni necessariamente provocate dall’estremo sviluppo e approfondimento delle singole branche della scienza: analogamente, deve essere ricostituita (e ricondotta ad unica genesi) l’unità di espressione del linguaggio umano nelle diverse attività di tutto lo scibile, e sopratutto nelle Arti. Questo porta al mistero della Musica, alla necessità di trovare le radici del suo modo di esprimere un messaggio nelle stesse radici di espressione del linguaggio delle Arti Figurative, della Letteratura, della Poesia. L’uomo è sempre lo stesso, le modalità di espressione dovute alla sua precipua e particolare costituzione sono sempre le stesse, qualunque messaggio o contenuto emozionale voglia o debba inviare ai suoi simili, anche nel “momento assoluto” della creazione artistica.

Perciò, è opportuno investigare la struttura del cervello umano e cercare di comprendere le modalità di acquisizione e di razionalizzazione degli elementi di realtà comuni, che sono alla base della formazione del linguaggio e quindi della capacità stessa di comunicazione tra gli esseri umani; troveremo che tale struttura è realizzata in modo da favorire l’impianto e il successivo riutilizzo di “percezioni emozionali originarie”(che noi denomineremo “archetipi”) contenenti sia la base dei più profondi sentimenti che delle più elevate astrazioni razionali dell’uomo.

2.1 – Struttura, funzioni e topografia celebrale nell’uomo

L’uomo è dotato (1, 2) di un sistema nervoso centrale e di uno periferico. Il sistema nervoso centrale (fig.1) comprende il cervello propriamente detto costituito dal complesso dei due emisferi cerebrali destro e sinistro (cerebrum) strettamente collegati dal corpo calloso, il diencefalo col talamo e l’ipotalamo, il mesencefalo, il midollo allungato, il cervelletto (cerebellum) e il midollo spinale.

Topografia cerebrale

Il sistema nervoso periferico è costituito dall’insieme di tutti i nervi e le terminazioni nervose che si irradiano in ogni recesso del corpo umano. Tramite l’interconnessione dei sistemi nervosi centrale e periferico è assicurato il più completo collegamento di ogni punto del corpo umano con il cervello: impulsi e stimoli possono essere così trasmessi, sia dal cervello al corpo che viceversa, in tempi brevissimi. Inoltre, cervello e corpo sono anche connessi chimicamente: il cervello emette ormoni e peptidi che, immessi nel sangue, possono rapidamente raggiungere il corpo tramite il circuito arterioso-venoso e trasmettergli e riceverne segnali.

Le cellule nervose, o neuroni, costituenti il sistema nervoso, si raccolgono in corpi cellulari di diversa struttura: distinguiamo la corteccia cerebrale e cerebellare, in cui dette cellule sono disposte a strati, e i nuclei grandi e piccoli (il caudato, il putamen, il globus pallidus, l’amigdala, il talamo, il locus niger, il nucleus ceruleus), in cui le cellule sono disposte in gruppi ellissoidici di varie dimensioni. Nel corso dell’evoluzione umana si è formata prima la struttura in gruppi (regione subcorticale); successivamente la corteccia limbica (che partecipa del sistema limbico, col giro del cingolo, l’amigdala, il prosencefalo basale); e in ultimo la neocorteccia (detta anche neopallio).

Tanto le cellule nervose stratificate che quelle disposte in gruppi formano la cosiddetta “sostanza grigia”, dalla quale escono le fibre nervose (o “sostanza bianca”) necessarie per la interconnessione dei vari sistemi. Le fibre nervose, dette “assoni” (fig.2), sono dei filamenti che originano dal corpo cellulare (soma) e costituiscono i “cavi” di trasmissione dei messaggi neuronali. Gli assoni possono percorrere dei tragitti più o meno lunghi, terminando in un’altra struttura del sistema nervoso centrale (assoni brevi) oppure uscire da esso e, riuniti in fasci (nervi), raggiungere un “bersaglio” – per esempio, una fibra muscolare – nel corpo (assoni lunghi). Dal soma neuronale originano anche altri prolungamenti, detti “dendriti”, che hanno tragitti molto brevi e servono a connettere tra loro i neuroni circumvicini. Quando un assone contatta la sua struttura-bersaglio (un altro neurone, una fibra muscolare, un dendrita, una cellula ghiandolare, etc.) si ha una “sinapsi”. Anche i dendriti terminano con delle sinapsi, in genere sulla superficie del corpo di altri neuroni. Esistono, tuttavia, tutte le possibilità di interconnessione, e cioè sinapsi asso-somatiche, asso-assoniche, asso-dendritiche, e dendro-dendritiche, cosicchè il tessuto nervoso è un immenso “telaio” di reti sinaptiche o di complesse “reti neuronali”.

Si stima in varie centinaia di migliaia di chilometri la lunghezza totale degli assoni e dendriti formanti i circuiti neuronici di un sistema nervoso umano. . Nel cervello umano sono presenti dai 10 ai 100 miliardi di neuroni, che si interconnettono tramite le sinapsi; il suo funzionamento provoca la “attivazione” dei neuroni, durante la quale vengono emessi i “neurotrasmettitori”, sostanze chimiche particolari che possono essere immesse nel circolo arterioso-venoso, quali ad esempio la serotonina, la dopamina, la noradrenalina, la acetilcolina, che trasducono il segnale neuronale in un evento elettrochimico, detto “trasmissione sinaptica”. Ogni neurone ha mediamente 1000 sinapsi (eccezionalmente, anche 5-6.000), per cui il livello generale di interconnessione reciproca non risulta molto elevato: questo fa sì che tale interconnessione interessi solo neuroni contigui, non molto distanti gli uni dagli altri, per cui, qualunque segnale un singolo neurone attivato possa (con emissione di neurotrasmettitore) inviare, esso viene recepito solo da un gruppo relativamente piccolo di neuroni, che possono attivarsi anch’essi (sinapsi “forte”) o smorzare il segnale (sinapsi “debole”). Il risultato di tutto ciò è che l’intero gruppo di cui il neurone fa parte decide effettivamente le attivazioni, e può influenzare o meno altri gruppi di neuroni.

Si delinea così una architettura cerebrale composta di sistemi di gruppi di neuroni interconnessi mediante sinapsi, in cui ciascun gruppo contribuisce alla attivazione del sistema a seconda della posizione occupata nel sistema rispetto al segnale primitivo inviato dal singolo neurone attivato: il cervello è come un “supersistema di sistemi” in cui si possono distinguere diversi livelli di architetture neurali che vanno dai singoli neuroni ai circuiti locali (gruppi) e che interessano via via i nuclei subcorticali e le regioni corticali.

Questi risultati, dovuti alle ricerche neurobiologiche degli ultimi cinquanta anni, dimostrano la non veridicità delle precedenti ipotesi della frenologia, secondo cui si avrebbe nel cervello una localizzazione ben definita delle funzioni, e quindi esisterebbero dei “centri” preposti a queste singole funzioni (ad esempio, la visione, il linguaggio, il comportamento, il ragionamento, etc). Le funzioni vanno invece attribuite a numerosi e singoli sistemi interconnessi, il cui diverso e variabile livello di interconnessione “produce” le varie funzioni mentali che noi classifichiamo discrezionalmente come attività separabili: della vecchia idea frenologica si salva forse solo la constatazione che la localizzazione del neurone o del gruppo di neuroni attivati che riceve o che produce il primo stimolo, nel sistema che svolge una certa funzione, può essere determinante al pari della struttura (e delle relative interconnessioni) del sistema cui appartiene; ma non dimentichiamoci che lo stesso sistema può svolgere funzioni mentali diverse, a seconda delle diverse interconnessioni. Perciò ciascuna funzione mentale non è strettamente localizzabile né attribuibile ad un singolo gruppo di neuroni, e neppure ad una singola unità cerebrale.
Purtuttavia sussiste una certa asimmetria di funzioni tra i due emisferi cerebrali, destro e sinistro (3), nel senso che ciascuno di essi è interconnesso con sistemi e gruppi di neuroni che svolgono attività affini. Ciò è stato rilevato da numerose esperienze compiute sopratutto su chi ha subìto lesioni in uno dei due emisferi. L’emisfero sinistro sembra più analitico, e presiede particolarmente alle attività del linguaggio, della scrittura fonetica, del ritmo, della classificazione di suoni e colori, del calcolo logico-matematico. L’emisfero destro, invece, prevale nelle attività dell’analisi visiva e spaziale (riconoscimento e riproduzione di figure), in alcuni aspetti della espressione musicale (tonalità, timbro, elaborazione armonica), nella scrittura ideografica. E’ da notare inoltre che negli uomini le differenze e le asimmetrie funzionali sono molto più evidenti che nelle donne, nelle quali eventuali lesioni cerebrali producono effetti meno accentuati.
I due emisferi formano, come dicevamo, il complesso chiamato cerebrum; sotto di essi, al centro e in posizione posteriore, il cerebellum o cervelletto; vedremo in seguito una differenza funzionale estremamente interessante che distingue il cerebrum dal cervelletto; ma fin d’ora possiamo notare che il numero di neuroni e di sinapsi del cervelletto è dello stesso ordine di quello del cerebrum: si parla di circa 30 miliardi di neuroni per il cervelletto, nonchè di un numero di sinapsi quasi pari a quello dei neuroni del cerebrum. Inoltre sembra che il cervelletto presieda alle attività autonome (e forse alle attività inconscie) del nostro sistema nervoso.

2.2 – Struttura fine dei neuroni e delle sinapsi

È della massima importanza analizzare la struttura dei neuroni, dato che ad essa è associata una fondamentale ipotesi (Penrose) – che vedremo in seguito – riguardante il fenomeno della coscienza nell’uomo. I neuroni sono assimilabili ciascuno a singole cellule, malgrado la loro notevole dimensione lineare. Come le cellule (ma anche come l’ameba, il paramecio, e altri individui monocellulari), sono provviste di “citoscheletro”, struttura assai complessa e dalle funzioni molteplici. Questa struttura (1) funziona da “sistema nervoso” e da “sistema di controllo” della cellula, e può favorire il trasporto di singole molecole da un punto ad un altro dello stesso citoscheletro. E’ interessante notare che ciascun neurone risulta quindi provvisto di un proprio “sistema nervoso” in grado di marcarne l’autonomia e di ampliarne e integrarne le funzioni.

Il citoscheletro, all’interno del neurone, è costituito da fasci di piccolissimi tubicini (2), detti microtubuli, associati ad actina e a filamenti organici destinati a tener assieme l’intera struttura (fig.3).

Ciascun microtubulo, che può raggiungere lunghezze dell’ordine di qualche millimetro, ha un diametro interno di circa 14 nanometri ed esterno di 25 (un nanometro = un miliardesimo di metro); le sue pareti sono formate da proteine chiamate “tubuline” (chimicamente dette “dimeri” e formate da due parti distinte: alfa-tubulina e beta-tubulina) capaci di esistere in almeno due conformazioni (commutabili) differenti, a seconda dello stato di polarizzazione elettrica della proteina medesima (2, 3). Lo stato di polarizzazione elettrica può venire influenzato, da sostanze vicine alla proteina, tramite le forze di van der Waals (momenti di dipolo elettrico) che tali sostanze posseggono. Inoltre, i microtubuli possono accorciarsi e allungarsi, e favorire il trasporto di neurotrasmettitori lungo il loro dorso esterno.

Le sinapsi, luoghi di interconnessione e intersecazione tra assoni e terminazioni dendritiche, hanno una particolare conformazione: una spina dendritica, costituita da una protuberanza in cui sono presenti filamenti di actina contrattile collegata con i microtubuli della dendrite, penetra nel bottone di interconnesione dell’assone ed entra in collegamento coi suoi microtubuli tramite i detti filamenti e le clatrine (specie di trimeri proteici dalla funzione ancora ignota presenti nel bottone) (4); il controllo della attività più o meno “forte” delle sinapsi si pensa dovuto alla interazione clatrine-filamenti di actina.

3.1 – Formazione di immagini mentali – Il pensiero

Il pensiero viene generalmente considerato come il risultato di una attività cerebrale volta a realizzare un susseguirsi logico di immagini mentali (1, 2, 3), intendendo per immagini mentali realtà non solo visive ma anche olfattive, sonore, tattili, gustative. E’ caratteristico del concetto di “mente cosciente” concepirla sorretta da un sistema neurale in grado di darsi delle “configurazioni” stabili (memorizzabili) che possano venire articolate in un discorso congruente da parte dei “centri di apprendimento e di rielaborazione” cerebrali. Naturalmente, perché si possa parlare di mente cosciente e pensante, occorre che il processo cognitivo abbracci l’intero corpo, che è capace appunto di proporre le varie immagini. In effetti, l’interazione corpo-cervello si avvale sia del meccanismo dei nervi (per cui le terminazioni nervose trasmettono segnali da tutto il corpo al cervello e viceversa) sia, in contemporanea, del sistema arterioso-venoso che trasporta in ogni parte del corpo, tramite il sangue, segnali chimici provenienti dai neuroni e costituiti da ormoni e neurotrasmettitori. Quindi, le basi per un continuo e reale collegamento corpo-cervello ci sono; questo permette il susseguirsi delle immagini mentali (4, 5). Occorre, naturalmente, analizzarne le modalità di formazione e registrazione. Successivamente vedremo come vengono registrate le emozioni, che, se fissate nel periodo prenatale (emozioni primarie), sono addirittura le prime realtà su cui si basano le immagini mentali.

Per quanto concerne i segnali inviati dal cervello al corpo, abbiamo esaminato il meccanismo, che prevede un supersistema di sistemi, in cui gli stimoli, in partenza da un ristretto numero di neuroni, possono venire o amplificati (e interessare zone via via più ampie), o bloccati e smorzati (con la mancata riemissione di neurotrasmettitori) da parte dei neuroni successivamente attivati per mezzo delle sinapsi. Viceversa, per quanto concerne invece i segnali inviati dal corpo al cervello, sembra che le terminazioni nervose captino e ritrasmettano tutti gli stimoli ricevuti senza che vi sia attenuazione o blocco, se non cosciente; gli stimoli vengono ricevuti da zone ben determinate del cervello, all’interno delle cortecce cerebrali (cortecce sensitive, dette “specifiche” o “primarie”), ove giungono i segnali dovuti alla visione, all’udito, al gusto, all’olfatto, alla tattilità.

Recenti studi indicano anche che l’insieme dei segnali, che viaggiano nell’uno o nell’altro senso, non si arresta nelle “stazioni” di arrivo, ma vIene riflesso all’indietro, e non solo al termine del viaggio, ma anche durante il cammino, man mano che raggiunge regioni neuroniche diverse che deve necessariamente attraversare: è dall’insieme di questo flusso e riflusso continuo che verrebbero estratte e via via aggiornate le immagini mentali.

3.2 – Sistemi di registrazione delle emozioni: Le rappresentazioni disposizionali – Le zone di convergenza

Per essere memorizzate, le immagini mentali debbono necessariamente corrispondere a delle modificazioni biologiche permanenti di circuiti neuronici(o neurali). Successivamente, i centri mentali dell’apprendimento potranno richiamare alla coscienza tali immagini riattivando le connessioni neurali con i circuiti che hanno subìto la modificazione. Ma solo le “percezioni sensorio-emozionali”, in quanto sensazioni corporee fisicamente determinate, possono indurre delle modificazioni permanenti nei microscopici circuiti neurali: le immagini mentali sono quindi una ritrasmissione, a livello cosciente organizzato, delle modificazioni strutturali neuroniche indotte dalle percezioni emozionali. Naturalmente, il termine “percezioni emozionali” è qui usato nella sua più vasta e completa accezione, che comprende ogni acquisizione cosciente (o inconscia) di nozioni sensoriali (*). Una “percezione sensorio-emozionale” può provenire dall’interno o dall’esterno del corpo e consiste nel riflesso a livello neurofisiologico di un evento capace di essere captato dai sensi e dalle terminazioni nervose dell’uomo, inducendo una modificazione strutturale permanente o temporanea di un circuito neuronico. Notiamo anche che ogni percezione contiene una “informazione”, contenuta nella realtà che la provoca, comprendente la strutturazione logico-fisica di detta realtà: vedremo in seguito che è proprio questa “informazione strutturata” che nell’uomo primitivo determinò e fece sviluppare gli strumenti atti alle future elaborazioni razionali (neocorteccia) e che oggi, rivelata e assimilata dai centri di apprendimento della mente, contribuisce alla acquisizione delle capacità razionali del fanciullo.

E’ da tener presente che ogni sistema di analisi dell’ “informazione” necessita di operazioni computazionali di tipo algebrico e algoritmico; i neuroni di certe zone cerebrali (emisfero sinistro del cerebrum) possono fungere da unità di calcolo e memorizzare le parti logico-matematico-fisiche delle emozioni. Si è pure ipotizzato che anche i dimeri di tubulina dei microtubuli possano efficacemente svolgere questa funzione (operando un cambiamento di configurazione geometrica), data la enorme quantità di dimeri presenti (valutata in dieci milioni di dimeri per ogni singolo neurone).

Ora, il meccanismo della modificazione strutturale dei circuiti neuronici (causata dalle percezioni emozionali) consiste nella formazione di “rappresentazioni disposizionali” di schemi di connessione delle attività neuroniche, topograficamente organizzate e permanenti: a tali attività possono, naturalmente, partecipare contemporaneamente più gruppi di neuroni, a seconda dei diversi organi del corpo che ricevono le percezioni emozionali.
Come immaginarci le “rappresentazioni disposizionali”? Un circuito neurale, sotto l’azione dello stimolo percettivo emozionale, assume una diversa configurazione, che viene memorizzata; ciò può consistere semplicemente in una modificazione della geometria di costituenti molecolari (che possono poi tornare “a riposo”, ovvero – su richiamo – nuovamente nella posizione modificata).

Per ribadire l’importanza delle rappresentazioni disposizionali basterà osservare che esse “rappresentano” il corpo nei confronti della mente: per mezzo di loro la mente “sente” il corpo con tutte le varietà e sfumature delle percezioni sensoriali che riceve dall’interno o dall’esterno di esso. E’ opportuno notare inoltre che una percezione emozionale viene “metabolizzata” da più circuiti neurali appartenenti ai diversi organi che l’hanno percepita, per cui dobbiamo obbligatoriamente presupporre anche l’esistenza di “zone di convergenza” (piccoli insiemi di neuroni), cui fanno capo le diverse configurazioni permanenti (rappresentazioni disposizionali) indotte nei circuiti neurali dei diversi organi (1, 2, 3).

Praticamente, una “zona di convergenza” è da considerarsi come costituita da un insieme di sinapsi che raccolgono e ricompongono la percezione emozionale mediata dalle numerose rappresentazioni disposizionali di neuroni formate nelle parti del sistema nervoso interessate dallo stimolo percettivo medesimo. La zona di convergenza può venire anch’essa stimolata e attivata, e mediante le sinapsi, può raggiungere le rappresentazioni disposizionali; esse, una volta ricomposte e riattivate, sono in grado di evocare e ritrasmettere nuovamente le emozioni che i centri dell’apprendimento forniranno alla mente cosciente sotto forma di immagini mentali. Recenti studi (4) mostrano che i centri dell’apprendimento capaci di riproporre immagini mentali sono ubicati nelle cortecce sensoriali associative, le quali, sotto lo stimolo di una nuova percezione o di un ricordo, riescono a riattivare il complesso delle zone preposte alla ricerca e alla individuazione di quelle rappresentazioni disposizionali che, come dicevamo, sono state impresse sotto forma di organizzazione topografica neurale di modificazioni strutturali permanenti dovute a ciascuna percezione emozionale. Oggi si pensa che l’intera conoscenza (non solo emozionale) dell’uomo sia racchiusa nelle rappresentazioni disposizionali neuroniche, anche se è ancora oggetto di studi il meccanismo che provoca il loro richiamo, che si ritiene dovuto non solo a stimoli esterni, ma ad una attività autonoma della mente cosciente, e sopratutto del subconscio, come vedremo in seguito.

3.3 – Circuiti neurali innati e circuiti modificabili. Emozioni primarie e secondarie

Abbiamo visto che il cervello è composto di zone evolutivamente più antiche (chiamate anche zone paleocorticali) e zone più recenti (zone neocorticali). E’ di grande importanza esaminare se nel patrimonio genetico umano ci sono i presupposti per la creazione “automatica” di circuiti neurali (che poi provocheranno la instaurazione di “rappresentazioni disposizionali”) nell’una e nell’altra zona. Molti studi di neurobiologia indicano che l’intero genoma umano non è sufficiente a localizzare con esattezza i singoli elementi del nostro organismo, nè, a maggior ragione, del nostro cervello. In effetti, noi possediamo un assieme genico stimabile attorno alle 100.000 unità, quando le sole sinapsi del nostro sistema nervoso principale (comprendente anche il cervello) superano sicuramente i 10.000 miliardi di unità. Questo ci conduce ad affermare con certezza che i geni attualmente a nostra disposizione possono consentire la creazione automatica “innata” soltanto di assai pochi circuiti neurali, mentre la maggior parte di essi verrà realizzata attraverso l’interazione continua con l’ambiente e le relative elaborazioni mentali dovute alle percezioni emozionali acquisite nel corso della nostra vita.

Ma perché i geni dovrebbero “pilotare” la creazione di circuiti neurali? La risposta è assai semplice: ci sono funzioni basilari comuni a tutti gli esseri viventi che solo per via genetica possono essere trasmesse in maniera uguale ed uniforme. Ad esempio, le funzioni vitali (respiratoria, cardiaca, nutrizionale, metabolica), le funzioni riproduttive (sessuali), le funzioni di sopravvivenza (difesa interna – da malattie; difesa esterna – da ostilità di viventi o ambientali) debbono ovviamente essere presiedute da circuiti neurali (e relative rappresentazioni disposizionali) innati e non modificabili, in grado di mettere in moto reazioni comportamentali simili per tutte le specie viventi: ora, mentre il cervello utilizza “tecnicamente” questi circuiti neurali innati per il mantenimento della vita propria e dell’essere cui appartiene, nel caso umano, la comparsa della “mente cosciente”, cioè di un quid cui non è associata solo una generica “coscienza” della realtà esterna, ma anche la consapevolezza di sè (la “autocoscienza”), fa sì che questi circuiti neurali innati siano presenti nel cervello e partecipino alla attività della mente anche quali “costituenti di emozioni primarie” (1) (ad esempio, il battito del cuore nelle sue diverse attuazioni, è sorgente di “emozione primaria”).

Queste emozioni “primarie”, registrate sotto forma di rappresentazioni disposizionali, assieme a quelle acquisite durante la vita, potranno fornire la base, prima strutturale e poi culturale, della razionalità consapevole. Si sa che questi circuiti sono situati nel midollo allungato e nell’ipotalamo (funzioni vitali e di sopravvivenza) e nel sistema limbico (istinti, pulsioni di risposta, emozioni), che peraltro contiene anche circuiti modificabili: sono proprio i circuiti modificabili a fissare la sequenza di esperienze e situazioni diverse che l’essere umano incontra nella propria vita; detti circuiti formano, tramite le sinapsi, rappresentazioni disposizionali permanenti diverse ogni volta che subiscono una modificazione ad opera delle varie esperienze; l’insieme delle rappresentazioni disposizionali costituisce il know-how a disposizione della mente per innestarvi sopra il processo razionale.

I circuiti neurali innati del sistema limbico (che peraltro sono in stretto collegamento con quelli che presiedono le funzioni vitali e di sopravvivenza) contengono evidentemente la chiave di risposta delle reazioni emotive individuali dovute a situazioni particolari di pericolo, di paura, di emergenza: abbiamo appunto chiamato “emozioni primarie” quelle percezioni emozionali che si servono di detti circuiti per realizzare rappresentazioni disposizionali permanenti inscindibilmente collegate a quelle situazioni, e per mezzo delle quali l’uomo in seguito avrà la possibilità di effettuare (per confronto) il riconoscimento cosciente delle singole percezioni e predisporre la conseguente reazione. L’amigdala e il cingolato anteriore sembrano essere le sedi principali cui confluiscono i segnali provenienti da tali circuiti.

I circuiti neurali modificabili sono invece in stretta relazione con le cosidette “emozioni secondarie” (2): stavolta, le rappresentazioni disposizionali che ne derivano, fissano, come dicevamo, i momenti percettivo-emozionali transitori che la vita ci presenta istante per istante. E’ da tener presente che molto spesso esse sono dovute a interazioni precipue tra situazioni nuove ed emozioni primarie, per cui sussiste sovente coinvolgimento di circuiti innati (e quindi ancora dell’amigdala e del cingolato), ma stavolta non solo: le emozioni secondarie, nella loro articolazione e modulazione anche razionalizzata e cosciente, partecipano inoltre di rappresentazioni disposizionali che hanno sede nelle cortecce cerebrali superiori (prefrontali e somatosensitive). La mente quindi sembra cominciare a strutturarsi proprio nel controllo e nella elaborazione razionale delle emozioni secondarie, nonchè nelle modalità di attuazione della “risposta emotiva” che interesserà eventualmente l’intero organismo umano.

3.4 – Il circuito di By-Pass e il richiamo emozionale

E proprio la risposta emotiva che segue sia la ricezione di una nuova percezione emozionale, sia il suo richiamo tramite i centri mentali dell’apprendimento, ci offre l’opportunità di analizzare una ipotesi molto fondata espressa di recente. Come abbiamo visto, l’interconnessione tra cervello e corpo, tramite l’intero sistema nervoso centrale e periferico, è estremamente complessa e completa; la percezione e acquisizione di una emozione secondaria, cui segue una risposta emotiva elaborata dalla mente, in genere interessa l’intero assieme cervello-corpo. Ma abbiamo anche constatato che i circuiti neuronici via via attivati riemettono segnali “all’indietro”, di “retroazione”, con successivo ritorno, quasi a innescare una “vibrazione permanente di risonanza” che dura sino al termine dell’acquisizione della percezione emozionale e della sua eventuale risposta emotiva.
Ora, questi segnali riemessi all’indietro possono interessare sia l’intero sistema dei circuiti neuronici, sia soltanto parte di essi: si può cioè attivare un “circuito di by-pass risonante” che esclude le parti del sistema periferico più collegate ai visceri, alle articolazioni, e ai sistemi sensorii del corpo umano, fino ad arrivare ad un by-pass quasi esclusivamente realizzato nel cervello, e particolarmente nelle formazioni neuroniche contenenti le rappresentazioni disposizionali create dalle singole percezioni emozionali, senza arrivare a partecipare direttamente i singoli sensi tramite i quali i segnali emozionali sono stati realmente percepiti.

Il circuito di by-pass (1) è detto anche circuito “come se”, perché consente la partecipazione mentale di una emozione primaria o secondaria (e/o di loro rielaborazioni mentali) “come se” fosse attivato l’intero circuito corporeo che le percepì per la prima volta. Questo meccanismo di by-pass cerebrale si attiverebbe, su richiesta della mente cosciente, in special modo durante la rivisitazione intensa di una emozione precedentemente provata, o anche semplicemente durante il suo ricordo, con intensità differente a seconda del livello neurale di instaurazione del by-pass medesimo.

3.5 – Il sentimento

Vediamo in ultimo come la moderna neurobiologia concepisce il sentimento (1) (“emozione prolungata”) in rapporto con le singole percezioni emozionali che lo hanno generato. Come abbiamo detto, le emozioni sono contenute e raffigurate nell’insieme delle rappresentazioni disposizionali generate dai circuiti neuronici che le hanno recepite tramite i meccanismi percettivo-sensorii propri del corpo umano. Ora, emozioni della stessa famiglia e riferentesi tutte ad una stessa situazione, anche se raccolte in tempi diversi, danno origine a rappresentazioni disposizionali molto simili, quasi modulate, che si accumulano nel tempo e formano un patrimonio emozionale congruente che può essere richiamato da immagini mentali suscitate da ricordi o stimoli esterni: l’assieme di queste “emozioni modulate”, così tornate alla coscienza, genera nella mente e nel corpo uno stato complessivo che chiamiamo “sentimento”, o anche “stato d’animo”.

4.1 – Acquisizione delle qualità emozionali e razionali. Fenomeni mentali connessi con l’attività razionale. La conoscenza

Abbiamo visto i circuiti neurali che fissano le percezioni emozionali e la possibilità da parte dei centri mentali di richiamarle, anche attraverso circuiti di by-pass: ecco, la caratteristica dell’essere umano dell’ultima generazione (homo sapiens) consiste nell’aver acquisito la cosidetta “razionalità” tramite le suddette percezioni (1) : infatti, la zona neocorticale si è via via come autostrutturata su di esse, analizzandole, ricavandone il contenuto computazionale matematico-fisico, e in ultimo imparando a ricostruirle razionalmente dalle singole rappresentazioni disposizionali immagazzinate, afferenti i diversi sensi che le hanno percepite, secondo schemi che riconosciamo sottoposti ad una logica univoca. La funzione ha creato l’organo. Ma vediamo più in dettaglio in qual modo la specie vivente ha acquisito gli strumenti per l’utilizzo e per l’estrinsecazione delle qualità emozionali e razionali, e come ha realizzato gli organi fisiologici necessari a tali funzioni.

La prima cellula “vivente” si è potuta definire così (e quindi differenziare dalle macromolecole “non viventi”) perché fin dall’inizio era provvista delle capacità di “conservare” per un certo tempo la propria struttura (vita) e di “riprodursi”, utilizzando e inglobando molecole non viventi, allo scopo di realizzare cellule simili a se stessa che potessero continuare il processo vitale anche dopo la sua “destrutturazione” (morte). Ma tale cellula “sapeva” di vivere?

La scienza contemporanea più avanzata (come vedremo in seguito) ipotizza un piccolissimo “grado di coscienza” anche per tale cellula, correlandone il grado di coscienza ai “gradi di libertà” posseduti, che sono ben limitati. Ad ogni modo, le interazioni di tale cellula vivente con l’ambiente cui apparteneva, erano già di carattere “percettivo-emozionale”: stimoli di tipo acustico o elettromagnetico la colpivano, per avvertirla sul quando e sul come realizzare le sue funzioni elementari, o per ucciderla. Ecco quindi che ogni forma di vita successivamente sempre più “organizzata” (cioè provvista di singoli, diversi e sempre più strutturati organi funzionali) si è scontrata sempre con un ambiente esterno ricco di segnali passibili di “percezione emozionale”: per questo, milioni di anni fa, le prime forme animali viventi (oltretutto in possesso di “gradi di libertà” ben maggiori della singola cellula) si dotarono di strumenti e organi in grado di captare questi elementi capaci di suscitare “emozioni” (e nei loro cervelli comparvero le strutture ellissoidiche, quali talamo, ipotalamo, amigdala, etc, che abbiamo precedentemente visto), e ciò allo scopo di assicurarsi una sopravvivenza, un certo “stile di vita”, la possibilità di riprodursi e e di aggregarsi in famiglie (riconoscersi), prima di morire. Si può veramente affermare che la funzione ha creato l’organo, cioè le necessità funzionali legate al loro tipo di vita hanno realizzato gli organi capaci di conservarla: senza la captazione delle “percezioni emozionali” provenienti dall’ambiente circostante (e lo sviluppo dei relativi organi), non ci sarebbe stata difesa né conservazione della propria specie, e neppure sarebbero comparse le prime specie viventi organizzate.
Naturalmente, se la prima cellula era in possesso di un “grado di coscienza” elementare, ben maggiore esso doveva essere nelle specie viventi più evolute, man mano che aumentava la complessità delle situazioni da risolvere e man mano che aumentavano i “gradi di libertà” connessi con l’incremento della vita di relazione. Quindi, l’aumento del grado di coscienza è elemento essenziale che affianca le capacità di captazione e di “metabolizzazione” delle percezioni emozionali nell’essere vivente.
Ma quando compare la razionalità, e perché? La risposta più logica è che il meccanismo di “formazione di organi” originato dalle percezioni emozionali sia continuato ancora e abbia provocato la comparsa e la formazione della corteccia cerebrale: infatti, le “emozioni”, percepite come tali da un essere vivente, in realtà sono causate, come abbiamo detto, da stimoli e segnali che contengono delle informazioni provenienti dall’universo che li ha generati, e che consistono in strutture ondulatorie (onde elastiche ed elettromagnetiche) e in funzioni matematico-fisiche a loro associate, che oggi, con la nostra mente, consideriamo perfettamente comprensibili e descrivibili con modelli razionali, computazionali e algoritmici. Ebbene, noi riteniamo che ancora una volta la funzione ha creato l’organo: per recepire fino in fondo la parte strutturante computazionale matematico-fisica delle percezioni emozionali, si sono formate le strutture le strutture cerebrali della paleocorteccia e in seguito della neocorteccia, costruite nell’unico modo possibile per determinarne la acquisizione e quindi la comprensione.

Ora, se la nascita della razionalità è dovuta alle percezioni emozionali, ad essa dovrà necessariamente seguire una “coscienza della propria razionalità”, condizione indispensabile per la successiva realizzazione della mente razionale cosciente (e preconscia), cioè di ciò che viene normalmente denominato “mente”, che per noi consiste nell’atto continuato volontario della razionalità cosciente (e preconscia) volto ad acquisire, elaborare, accumulare “conoscenza”. Naturalmente, anche le caratteristiche computazionali, gli schemi logici vengono assimilati e memorizzati (probabilmente allo stesso modo delle percezioni emozionali), di modo che è possibile richiamarli e utilizzarli di continuo in quella che abbiamo chiamato “attività razionale cosciente e preconscia”: praticamente, noi apprendiamo dalle percezioni emozionali la logica del loro manifestarsi, che è insita in esse; la mente (2), utilizzando parti cerebrali appartenenti all’ultimo stadio evolutivo (la neocorteccia), riesce ad astrarne questa logica che poi utilizzerà in circuiti di by-pass ristrettissimi e solo a lei destinati.
La conoscenza comincia qui: come abbiamo detto, si tratta di togliere alle percezioni emozionali la parte emozionale, per ritrovare e utilizzare per una strutturazione fisiologica lo scheletro logico che necessariamente hanno, dato che, in ultima analisi, sono figlie di realtà esterne sottoposte a ben precise leggi fisico-chimiche universali che ubbidiscono ad una logica strutturale comune. Ad esempio, una percezione emozionale “sonora” quale un improvviso tuono, o un urlo, etc, ha origine e si trasmette mediante onde elastiche che hanno ben determinate caratteristiche matematico-fisiche derivanti dal mezzo di propagazione: esiste una struttura ondulatoria avente una frequenza d’onda numericamente ben definita, descrivibile con equazioni differenziali che la nostra mente ha potuto ritrovare e formulare non appena è stata in grado di farlo attraverso le strutturazioni organiche (soprattutto la neocorteccia) acquisite durante il processo naturale di metabolizzazione emozionale (consistente nella fissazione degli archetipi e nella associazione e pre-rielaborazione dei percetti sensoriali-emozionali recepiti).
Analogamente, una percezione emozionale “visiva”, che si manifesta attraverso onde elettromagnetiche, generate da perturbazione di campi diversi da quello sonoro, ma aventi una strutturazione logico-matematica identica ad esse. Così pure le percezioni emozionali dovute all’odorato e al gusto, che hanno una base chimica e una trasmissione biofisica ben precisa. Questo quindi, ripetiamo, ci sembra sia stato il meccanismo base della acquisizione della conoscenza (3, 4, 5): attraverso le percezioni emozionali, abbiamo ricevuto dall’esterno, nella nostra mente cosciente, la logica e le leggi generali di funzionamento della realtà in cui siamo immersi; le emozioni percettibili fanno da specchio reale di essa e sono il veicolo attraverso cui l’essere vivente ha potuto, utilizzando un sistema vivo (il proprio sistema nervoso-neurale), recepire e metabolizzare realtà astratte e “non viventi” (leggi fisiche, criteri logico-matematici da esse derivanti, etc), oltre che, naturalmente, ricevere, memorizzare, ricostruire i segnali emozionali stessi, che hanno funzionato come da “onda portante”. Nell’uomo di oggi, la sua mente, già predisposta da schemi genetici ormai consolidati, “filtra” l’onda portante, ricavandone gli schemi logici che contribuiscono alla riacquisizione della sua strutturazione funzionale e razionale e, praticamente, al suo stesso funzionamento.

Appare chiaro che, una volta strutturata razionalmente, la mente cosciente umana può agevolmente “riesprimere” le realtà logiche apprese dalle varie percezioni costruendo astrazioni fisico-matematiche, teorie generali, sistemi filosofici, di notevole ma non esaustivo valore; infatti essa sarà per sempre prigioniera di questa sua logica, da cui non può liberarsi che, come vedremo, con l’intervento del “pre-subconscio”, capace di imporle “nozioni” percepite altrimenti, e finalmente “alogiche”.

Tornando all’essere umano attuale, constatiamo quindi che si trova in possesso non solo di un sistema di registrazione delle percezioni emozionali che gli consente reazioni istintive simili a quelle degli animali (6, 7), ma anche di una razionalità cosciente che gli permette ogni genere di analisi non istintiva, e che può bloccare, ritardare o ampliare tali reazioni. Ciò che è stato dedotto quindi dagli ultimi studi di neurobiologia è che nell’uomo la razionalità cosciente si è strutturata sul suo know-how percettivo-emozionale, e non preesisteva quale realtà a se stante, come invece molti filosofi e scienziati del passato credevano. Certamente, rimane da definire e comprendere il fenomeno della coscienza e della consapevolezza (autocoscienza) (8, 9, 10), e sarà estremamente interessante analizzarne le cause e le ipotesi di acquisizione da parte della mente (che vedremo in seguito), anche se si è intravisto qual’è il meccanismo di acquisizione della razionalità. Comunque, oggi, tale razionalità è una caratteristica peculiare e autonoma della mente cosciente e consapevole di se stessa, ne condiziona lo stesso funzionamento tanto che tutta l’attività dell’uomo ne risulta marcata.

4.2 – Il ruolo del subconscio

È opportuno ora ampliare la nostra visuale e analizzare ciò che viene comunemente chiamata “psiche” dell’uomo, cioè una capacità globale di autopercezione che va al di là del razionale cosciente.
In effetti, è stata individuata ed esiste nell’uomo una “attività psichica” non conscia, che la mente può ignorare: non siamo sempre consapevoli della nostra attività psichica; infatti, emozioni, immagini, pensieri vengono memorizzati in rappresentazioni disposizionali, come dicevamo, ma non necessariamente questo processo è sempre coscientemente controllato, e spesso avviene in modo automatico e non cosciente (1, 2, 3). La psicanalisi sostiene che una parte della attività psichica non cosciente può essere riportata alla coscienza della mente; questa parte viene detta “attività preconscia” e il luogo di svolgimento viene detto subconscio.
Non prenderemo in considerazione il cosidetto “inconscio”, l’altra parte della attività psichica non cosciente, ove albergherebbero paure, emozioni non volute, frammenti di vita che la mente razionale ha patologicamente rimosso (quasi avesse “tagliato” i neuroni afferenti le relative rappresentazioni disposizionali !); secondo la psicanalisi, l’ “inconscio” può raffiorare solo in speciali sedute di analisi, e con l’uso dell’ipnotismo da parte dello psicanalista. Non è questo il caso delle creazioni artistiche volontarie, in cui semmai occorre un certo grado di voluto “autoipnotismo” (sonno particolare o concentrazione profonda) e in cui si possono rivelare le “acquisizioni positive della mente inconscia”, e dove comunque non dovrebbero poter emergere le “patologie” dell’inconscio. Non è ancora nota la sede della “mente inconscia” o subconscio: alcuni hanno ipotizzato il coinvolgimento del cervelletto, dato che esso presiede a gran parte delle attività automatiche non controllabili che avvengono nel corpo umano, possiede un numero di neuroni quasi pari a quello del cervello, e può essere sede autonoma di rappresentazioni disposizionali; ma al momento non sussistono prove sufficienti per poterlo affermare con certezza.
Ora, durante una creazione artistica cosciente, la mente umana può controllare razionalmente le emozioni, il sentimento e l’istinto (fino a mortificarne, a volte, i prodotti più genuini e più belli!); ma, per fortuna, non può controllare la attività del subconscio, valvola di sicurezza, e soprattutto sede di riappropriazione, per l’uomo, delle grandi sintesi emozionali che verranno successivamente tradotte in fatto artistico dalla mente stessa, una volta che ne sia stata resa partecipe a livello cosciente tramite i circuiti neurali a ciò preposti.
In che modo agisce il subconscio? Normalmente, rimane nascosto, dato che la mente cosciente occupa di solito tutto il campo vitale; ma ci sono momenti in cui la mente “allenta” il suo grado di coscienza (durante il sonno o durante una concentrazione profonda), ed ecco allora che il subconscio viene a galla imponendo suoi ritmi. Sicuramente esso, come abbiamo detto, ha a disposizione tutto il know-how emozionale dell’individuo (consistente nell’intero patrimonio mnemonico delle acquisizioni sensoriali nonché delle relative percezioni emozionali), ma ne rifiuta la strutturazione razionale fattane dalla mente cosciente, per esprimersi attraverso “folgorazioni globali” che successivamente parteciperanno tutto l’essere umano e, incredibilmente, in ultimo, anche la mente, che sembra assistere attonita e silenziosa a quanto sta avvenendo, anche se poi si prende la sua rivincita nella traduzione della “folgorazione” in fatto artistico mediante un linguaggio razionale appropriato (consistente, per noi, come vedremo in seguito, nelle “rielaborazioni razionali degli archetipi evocati”), per comunicare agli altri esseri quanto ha appreso durante la folgorazione medesima.
E’ ipotizzabile che il subconscio utilizzi tutti i circuiti di by-pass contemporaneamente ed elabori una “sua” logica di aggregazione delle percezioni emozionali, diversa da quella che compirebbe la mente cosciente, prigioniera della propria strutturazione. La mente, in seguito, sarà costretta ad una “razionale riespressione” di ciò che ha percepito dal subconscio e proprio in questo processo si esplica il genio dell’artista, che mai deve ridurre o mortificare il messaggio, ma semmai ampliarlo, arricchirlo, renderlo “unico”, per mezzo delle tecnologie di espressione più raffinate che egli possiede. Come abbiamo accennato, artista è anche lo scienziato, che segue lo stesso processo quando “propone” una grande ipotesi scientifica globale, che poi verrà strutturata mediante le “tecnologie di espressione” di tipo matematico, e successivamente, verificata razionalmente e sperimentalmente.
Einstein descrive in termini simili la “folgorazione” da lui avuta (4), cui è seguita la formulazione della Teoria di Relatività Generale, sottoposta poi a numerose verifiche sperimentali. Allo stesso modo, Watson e molti altri. Leo Szilard, poi, sosteneva che “lo scienziato creativo ha molto in comune con l’artista e con il poeta: i processi creativi su cui si basa il progresso della scienza operano a livello del subconscio” (5), mentre Jonas Salk, analogamente, diceva che “la creatività poggia su un amalgama di intuizione e ragione” (6).

5.1 – Coscienza e consapevolezza di sé. La mente e la sua attività razionale.

È opportuno , prima di procedere, fare un pò di chiarezza sulle più alte qualità dell’essere umano, sulle loro interconnessioni, sul loro manifestarsi. Abbiamo parlato di cervello, di sistema nervoso, di sistemi di registrazione, richiamo, rielaborazione razionale delle percezioni sensorio-emozionali; è necessario ora esaminare sotto quali condizioni avviene il funzionamento di tutto ciò.
La coscienza è qualità peculiare della mente (1, 2, 3): senza di essa è impossibile concepire nell’uomo l’esistenza di una attività di pensiero; abbiamo anche detto che esiste una attività psichica inconscia, che però, sotto determinate condizioni, può essere riportata a livello mentale cosciente. Chiaramente, ciò che noi intendiamo per “mente”, non coincide col cervello, col sistema nervoso, etc, ma utilizzerà questi “sostrati corporali” per la sua “attività pensante”, per un suo funzionamento attivo autonomo volontariamente scelto e determinato (libero arbitrio) che presuppone, appunto, un atteggiamento cosciente.
Notoriamente, tre sono le caratteristiche qualitative caratterizzanti gli esseri viventi:
– la qualità percettivo-emozionale (cioè la facoltà di captare percezioni sensorio-emozionali)
– la qualità razionale (cioè la facoltà di creare aggregazioni logico-computazionali)
– la qualità cosciente (cioè la facoltà di sentirsi realtà esistente)
Nell’uomo si parla comunemente di “mente cosciente emozionale-razionale”.
Ma l’animale ha una “mente”? Sicuramente possiede una coscienza della realtà in cui è immerso e della propria esistenza, che si sforza di preservare; questo suo “livello mentale” si basa anch’esso sul funzionamento del proprio cervello e sistema nervoso, ed è in grado di percepire, immagazzinare, richiamare emozioni, e forse embrionalmente “razionalizzarle”. Ciò che lo distingue dall’uomo, è il “grado” di coscienza (4), in stretto rapporto col livello mentale.
Infatti, il grado di coscienza posseduto sembra condizionare la completa esplicazione delle altre qualità: è diverso “provare una emozione” (cosa possibile anche agli animali) da “essere cosciente di stare provando una emozione”; è diverso “avere facoltà di computo” (cosa dimostrata possibile in alcuni animali) da “essere cosciente di avere facoltà di computo” e quindi sapere di poterle autonomamente sviluppare e impiegare (come nell’uomo) in complesse elaborazioni di teorie scientifiche.
Queste “diversità” sono sicuramente correlate al “grado di coscienza” posseduto.
Nell’uomo infatti, al di là della generica coscienza, è presente la “coscienza di essere cosciente”, la consapevolezza di sè, la autocoscienza; Il fatto poi che l’uomo sia anche in possesso di facoltà di percezione non cosciente – e ne sia consapevole – amplia enormemente le sue possibilità di espressione, tanto da renderlo “creatore” di Arte e di Scienza.
Così pure ciò che comunemente viene detto “fantasia”, e che è proprio dell’uomo e non dell’animale, può venire associato solo col possesso di un alto grado di coscienza, dato che soltanto questo requisito può attivare una libertà di percorsi mentali (5, 6) tale da consentire rievocazioni e aggregazioni sempre diverse delle proprie rappresentazioni disposizionali; e questa è solo la “fantasia” dovuta alla autocoscienza, dal momento che, come vedremo, l’uomo può anche realizzare una “fantasia” del subconscio.
Ora, come abbiamo detto, i meccanismi di “analisi strutturale” delle percezioni sensorio-emozionali (consistenti nella estrazione e fissazione delle parti computazionali delle medesime), pilotati dai centri cerebrali ove ha sede l’autocoscienza, hanno, durante l’evoluzione, condotto alla acquisizione di una vera e propria “attività razionale autonoma” capace delle più grandi manifestazioni ed estrinsecazioni di questa “razionalità”; ad esempio, la possibilità di creare modelli teorico-matematici dell’universo, per tentarne una spiegazione e predirne certe sue evoluzioni, appartiene solo all’uomo e non agli animali, e sicuramente è in relazione con l’alto “grado di coscienza” da lui posseduto. Ed è inoltre straordinario anche che l’uomo possa “creare” (o ricevere dall’esterno?) concetti e idee che non esistono nella realtà spazio-temporale cui appartiene, quale l’idea di “infinito” matematico (anzi, di più infiniti di diversi livelli) (7) cui non corrisponde assolutamente un “infinito” fisico!
Ma vediamo un pò più in dettaglio gli effetti e i limiti della attività razionale acquisita dalla mente cosciente umana nel tempo. Intanto, nel tentativo di crearsi un modello plausibile della realtà in cui si trovava immersa, la mente (una volta in possesso degli “strumenti” opportuni, cioè la strutturazione della corteccia cerebrale) ha cominciato a “contare” (computare) le cose; poi a realizzare algoritmi matematici e funzioni algebriche computazionali (in cui possiamo comprendere anche il calcolo probabilistico e i sistemi caotici (8), perchè espressi con modelli matematici deterministici), applicando questi strumenti di calcolo ai propri modelli fisici; contemporaneamente ha sottoposto a severa critica logico-formale le strutture matematiche ed i relativi teoremi formulati. Ciò ha condotto a varie considerazioni e risultati:

1) il mondo fisico esterno (che noi identifichiamo con lo spazio-tempo cui apparteniamo e che contiene gli elementi di tutte le realtà che percepiamo e utilizziamo) ha delle precise “leggi” cui ubbidisce; ora, nel tentativo di renderle “conoscibili” e utilizzabili (cercando di prevedere i comportamenti delle varie realtà e di assoggettarle quindi alla nostra volontà), la mente razionale ha elaborato delle descrizioni “computazionali” (9) di tali realtà fisiche sotto forma di “leggi matematiche della fisica”: ma le “leggi matematiche della fisica”, così comode e razionalmente comprensibili, coincidono veramente con le leggi fisiche reali? In effetti, noi vediamo che la Fisica Teorica è sempre alla ricerca di modelli più aderenti e più completi, quasi che la nostra descrizione matematica fosse incapace di essere “definitiva”;

2) le strutture matematiche ed i teoremi formulati sono stati “messi alle corde” dalla critica logico-formale sviluppatasi dopo il 1930; intanto, si è visto che esisteva anche una serie di problemi matematici “non computazionali” (10, 11) (ad esempio: il decimo problema di Hilbert sulle equazioni diofantee, le cui soluzioni di recente sono state dimostrate non sistematicamente ottenibili con algoritmi matematici computazionali nè con programmi di calcolo elettronico; il problema – computazionalmente insolubile – della “tassellatura” (12, 13), cioè della ricerca algoritmica di forme geometriche definite, in grado di coprire un piano euclideo senza lasciarvi vuoti; l’impossibilità di calcolare la radice quadrata dei numeri negativi). Poi, il Teorema di Godel (14), che dimostra inconfutabilmente che le verità matematiche non possono essere accertate con algoritmi conoscibilmente validi: nessuna procedura algoritmica può decidere sulla verità o meno di tutte le proposizioni o enunciati della matematica.

5.2 – Il non computazionale nella mente e nell’ambiente esterno

La presenza del “non computazionale”, che la mente può constatare (1, 2) ma non “comprendere” (perché non razionalmente descrivibile a mezzo algoritmo matematico), nonché la critica definitiva del “computazionale” insita nel Teorema di Godel, stabiliscono i limiti della qualità razionale della mente umana.
Ora, ogni percezione sensorio-emozionale, che raggiunga la mente cosciente o il subconscio dall’interno o dall’esterno del corpo, ha sicuramente caratteristiche anche computazionali (su di esse si è strutturata la “razionalità”!), ma non soltanto: e la parte “non computazionale” di tali percezioni non può che essere “compresa” direttamente dal livello cosciente e subconscio della mente, dal momento che non lo può dal livello razionale. Per quale ragione le percezioni emozionali sono fondamentalmente “non computazionali”? Perché non seguono la Legge di causa ad effetto: una unica causa di emozione viene recepita dai singoli in modo completamente diverso, producendo “effetti” diversi, e violando così la suddetta legge computazionale. Inoltre, vedremo presto anche come gli archetipi sensorio-emozionali, sia pur strutturati anche computazionalmente, contengano elementi assimilabili solo da qualità mentali coscienti e subconscie, a causa del potenziale riflesso psicologico acquisibile.
E’ da tener presente, peraltro, che il “non computazionale” non è soltanto un deficit della mente razionale umana legato ad una dimostrata impossibilità di trovare soluzioni definitive a questioni da essa stessa sollevate e in essa analizzate, quali i problemi della Fisica Teorica, o certi problemi matematico-geometrici (equazioni diofantee, “tassellatura”, etc), nè è presente soltanto nelle acquisizioni percettivo-emozionali, che in fondo restano sempre legate alla struttura vivente-cosciente dell’essere umano: il “non computazionale” è una qualità strutturante peculiare dello spazio-tempo fisico, e preesisteva, nel nostro universo, allo stesso sorgere della vita; fenomenologie non computazionali (come ad esempio gli “stati sovrapposti” del fotone o l’effetto di coerenza quantistica su grande scala) sono alla base della strutturazione del nostro universo, e ne costituiscono forse il mistero più affascinante.
E’ anche da tener presente che i fenomeni non computazionali sono sempre generalmente legati ad una violazione del “Principio di causa ad effetto”, cosa impossibile a concepire per i fenomeni computazionali e le leggi fisico-matematiche che li interpretano; la moderna Fisica Quantistica ha messo in luce straordinarie esperienze in cui si dimostra chiaramente che in esse non c’è più un rapporto diretto tra causa ed effetto, e che talvolta (e non solo la prima volta, come nell’ipotizzato big-bang fisico) la materia può scaturire dal nulla: un “effetto” senza causa diretta! Ovviamente, queste esperienze, anche quando galileianamente riproducibili, non possono essere sorrette ed interpretate mediante teorie matematico-fisiche computazionali elaborabili con la mente razionale.
Tornando alla mente razionale umana, è da tener presente che essa, nel tentativo di aumentare le proprie capacità (e sopratutto la sua velocità) di computo, ha da tempo creato delle macchine, prima di tipo meccanico, e poi elettrico (i cosiddetti “calcolatori elettronici”), in grado oggi di fare cose straordinarie, fino a gestire veri e propri robot che possono sostituire e integrare in maniera stupefacente le funzioni manuali e certe funzioni intelligenti dell’uomo; si è così parlato di “intelligenza artificiale”, quasi fosse possibile trasferire ai robot le qualità intellettive umane: ma neppure la famosa “macchina di Turing” (3) (un calcolatore ideale in grado di eseguire con velocità infinita un numero di operazioni computazionali illimitate) può evidentemente affrontare e trattare il “non computazionale”, che è la caratteristica più particolare delle percezioni emozionali della mente cosciente. Queste debbono perciò essere, prima che metabolizzate dalla parte razionale della mente cosciente, acquisite o mediante una fase autocosciente (coscienza del sè che sta percependo stimoli sensorio-emozionali) o mediante una fase automatica (subconscio), ma in ogni caso ambedue realizzate tramite “strumenti” cerebrali (in grado di “alloggiare”, “contenere”, “far funzionare” sia la coscienza che il subconscio), messi in condizione comunque di riflettere il loro percepire sensorio-emozionale sui circuiti neurali preposti a creare rappresentazioni disposizionali permanenti, che ne consentano la memorizzazione e, in seguito, il richiamo.
Vedremo poi che questi “strumenti” sono attivi nel cerebrum e nel cerebellum.
Comunque, l’equivoco sulla intelligenza artificiale dei calcolatori elettronici continua ancora:
quando, nel software dei computers, oltre ai normali procedimenti di calcolo detti “top-down” (costituiti da sistemi di algoritmi definiti e immutabili, sorretti da una logica univoca), sono stati introdotti i procedimenti di calcolo detti “bottom-up” (4) (costituiti da un accumulo di conoscenze computazionali, da scegliere e utilizzare in alternativa per la soluzione di un problema, affiancate da metodi logici di scelta condizionati da input sperimentali via via ricevuti durante lo svolgimento del procedimento, e finalizzati alla ottimizzazione delle prestazioni di calcolo, in forma solitamente sempre variabile), si è creduto di aver individuato e simulato definitivamente la “qualità intelligente” della mente razionale umana, e si è pensato quindi di poterla trasferire su calcolatori e robot; ciò è stato avvalorato dalla introduzione, nella circuitistica elettronica, del cosidetto “sistema a reti neurali artificiali”, che simula la struttura dei neuroni del sistema nervoso umano, ove sono stati posti dei transistori al posto delle sinapsi.
Ma ovviamente, anche nel procedimento “bottom-up”, a parte i metodi “liberi” (ma condizionati ad una ottimizzazione di funzioni!) di scelta, le conoscenze memorizzate rimangono assolutamente “computazionali”, e non sfuggono a questa “maledizione”: perciò non potrà esistere un computer che sostituisca l’uomo, perché nessun robot potrà mai costruire da sé un altro robot avente caratteristiche di funzionamento logico superiori a se stesso, ma al massimo solo clonarsi; mentre l’uomo autocosciente (e non computazionale) può, se lo vuole, realizzare dei computer-robot applicando logiche sempre diverse e sempre superiori.

5.3 – Attività psichica globale (mente cosciente e inconscia) – Luoghi di svolgimento

Dicevamo che le percezioni sensorio-emozionali sono realtà fondamentalmente “non computazionali”, anche se con strutturazione “computazionale”: è necessario ora analizzare se, dove, e come, nel cervello umano, sussiste la possibilità di “captare il non computazionale”. Se troveremo il luogo preposto a tale funzione (individuandone i meccanismi di attuazione), esso, con grandissima probabilità, sarà lo stesso ove appare, si manifesta, vive e si esprime la qualità cosciente della mente fino al livello della consapevolezza, nonché la qualità inconscia, proprie dell’uomo sapiens sapiens.
Faremo nostra una ipotesi formulata da Roger Penrose (1), che riprende e organizza cognizioni e posizioni di numerosi fisici, biofisici e biologi.
Nel settore scientifico, dopo la formulazione della Teoria di Relatività Generale, che interpreta globalmente il nostro spazio-tempo e fornisce numerose spiegazioni e previsioni circa la costituzione dell’Universo in cui viviamo, è stata la volta della Fisica Quantistica, le cui leggi e ipotesi principali sono derivate dalla necessità di interpretare fatti sperimentali connessi con la struttura fine della materia (ad esempio, la diffrazione degli elettroni, gli effetti di propagazione dei campi mediante i “quanti”, la possibilità dell’esistenza di “stati sovrapposti” per il medesimo fotone, l’effetto di “coerenza quantistica” (*) che porta alla emissione “laser”, etc). Ora, mentre parte delle teorie relative a determinate fenomenologie fisiche sono state descritte con leggi matematiche perfettamente computazionali (Relatività, Equazione di Schroedinger), altre fenomenologie sono invece, come dicevamo, assolutamente “non computazionali” (gli “stati sovrapposti” del fotone, l’effetto di coerenza quantistica su grande scala); ebbene, se noi individuiamo, nel cervello umano, delle “zone particolari” ove può avvenire un fenomeno non computazionale, abbiamo una forte probabilità di avere centrato un possibile “luogo di percezione” delle acquisizioni emozionali, e quindi la tanto cercata sede della coscienza (2, 3).

Ed ecco l’ipotesi Penrose: gli stessi neuroni, che con la loro struttura interconnessa di dendriti e sinapsi sono delegati alla registrazione delle percezioni sensorio-emozionali e al loro richiamo, hanno, nella struttura fine che costituisce il loro interno, la possibilità di alloggiare eventi “non computazionali”; infatti, l’assieme di microtubuli formanti i citoscheletri dei neuroni possono, se interconnessi su grande scala (l’intero cerebrum), dar luogo a fenomeni di coerenza quantistica (“non computazionali”, come abbiamo detto). Questi fenomeni sono possibili per la stessa struttura del microtubulo, che, oltre a consentire la possibilità di interconnettersi, si presenta tale da poter effettuare un sufficiente “isolamento” dall’ambiente esterno, necessario per evitare ogni interazione che potrebbe perturbare e distruggere lo stato correlato coerente realizzato all’interno dei microtubuli (che si pensa dovuto ad una oscillazione quantistica delle molecole di acqua “ordinata”, occupanti
l’interno dei microtubuli medesimi). Non solo, ma secondo il recentissimo modello Penrose-Hameroff, le proteine (dette “tubuline”) costituenti i microtubuli, che normalmente hanno due conformazioni (alfa e beta) stabili, potrebbero talvolta presentare un unico “stato sovrapposto” alfa-beta non computazionale: i fenomeni di passaggio da stati pre-subconsci a stati coscienti sarebbero connessi con la transizione (la riduzione) da “stato sovrapposto” alfa-beta a stati stabili alfa e beta. Sono attualmente in corso esperienze scientifiche per provare tale ipotesi.
Comunque, è molto importante che il fenomeno di coerenza quantistica sia su grande scala, abbracci cioè un intero cerebrum di proporzioni notevoli, quasi esistesse una “massa critica coerente” cui associare la comparsa del livello autocosciente completo (4): se così non fosse, anche gli animali potrebbero conseguirlo, mentre invece essi presentano solo una generica coscienza della propria esistenza e della realtà; solo negli elefanti e negli oranghi (che posseggono una notevole massa cerebrale) sembra presente un certo livello di coscienza di sè (e anche di fantasia), come dimostrano varie esperienze effettuate.
La prova della validità delle ipotesi Penrose la potremo avere quando sarà possibile eseguire esperienze e misurazioni di coerenza quantistica all’interno dei microtubuli (**). Comunque, una interessante prova indiretta c’è già, ed è data dal modo comunemente impiegato per interrompere la coscienza: l’utilizzo degli anestetici generali. Queste sostanze chimiche (come, ad esempio, il cloroformio, l’alotano, l’etere etilico, l’isofluorano, il protossido d’azoto, lo xenon, etc) sono un gran numero, non hanno alcuna affinità chimica tra di loro, e sono morfologicamente completamente diverse l’una dall’altra, quasi che l’effetto puramente “chimico” non avesse alcuna influenza sul provocare “perdita di coscienza”; non resterebbe che ipotizzare una interferenza “fisica” (la forza di van der Waals (5), cioè una attrazione tra molecole in possesso di “momento di dipolo elettrico”) che potrebbe modificare (mediante commutazione) la configurazione dei dimeri di tubulina, con scomparsa dello stato correlato coerente alfa-beta, provocando così una temporanea alterazione nella interconnessione dei microtubuli, e quindi la perdita della conoscenza.
Naturalmente, il fenomeno di coerenza quantistica può interessare anche i luoghi cerebrali ove avviene l’acquisizione percettivo-emozionale non cosciente, attivando, nella nostra ipotesi, il subconscio: se è così, le sostanze anestetiche potrebbero interrompere temporaneamente anche il circuito di acquisizione emozionale inconscio, dal momento che il meccanismo di interruzione è a livello dei microtubuli, e le sostanze non discriminano evidentemente i microtubuli che sottendono la percezione conscia da quella inconscia. Certamente, anche nei casi di soggetti in anestesia totale, non possiamo escludere che esista una acquisizione di elementi di realtà circostanti da parte dell’individuo, dal momento che restano attivi i “sensori corporei” (udito, vista, etc) connessi con le zone neuroniche esterne e con i circuiti in grado di memorizzare impulsi in maniera automatica: però, la assenza di acquisizione percettivo-emozionale globale conscia e inconscia dovrebbe relegare queste acquisizioni automatiche ad un ruolo quasi “fotografico”, e la successiva intera riacquisizione delle capacità psichiche dovrebbe consentire la percezione e la descrizione di queste acquisizioni anomale come “momenti staccati” e indipendenti dal “continuum” vitale ed emozionale dell’individuo.
Dicevamo infine che la parte esterna del microtubulo presenta capacità di elaborazione computazionale, che sono necessarie per la metabolizzazione delle percezioni/emozioni a livello razionale, sia conscio che inconscio: con ogni probabilità, in questa sede avviene il processo di analisi delle percezioni e di estrazione delle parti razionalizzabili, che vengono poi trasmesse ai particolari circuiti neurali della neocorteccia sinistra cerebrale, preposti alla realizzazione di rappresentazioni disposizionali di carattere logico-matematico-filosofico-sintetico, mentre le parti non razionalizzabili e “non computazionali” delle percezioni emozionali vengono avviate direttamente ai circuiti neurali connessi con la neocorteccia destra, preposti alla realizzazione di rappresentazioni disposizionali di carattere autonomo-creativo-artistico-analitico.
Concludendo questa parte dedicata ai meccanismi mentali, ribadiamo che solo la psiche umana, provvista di mente contemporaneamente razionale e autocosciente (conscia e inconscia) può comprendere e accettare sia il computabile che il non computabile; infatti se le qualità della razionalità si sono sviluppate sulle parti “computabili” (cioè descrivibili con linguaggio algoritmico e col calcolo matematico) delle percezioni emozionali, appare chiaro che questa razionalità non può “comprendere” nè “contenere” il non computabile, che si presenta come una sorta di “presenza irrazionale”; ma dato che il “non computabile” esiste ed è accettato dalla mente dell’uomo, esso non può che essere associato alla qualità della coscienza e del subconscio, che affiancano la qualità della razionalità nella articolata composizione della psiche umana. Ricordiamoci che la coscienza e il subconscio accettano l’intuizione alogica, a-razionale, nel normale susseguirsi delle vicende della vita dell’uomo, per cui ogni conoscenza umana non può che vedere unito il più alto livello di coscienza (la consapevolezza di sè) ai meccanismi mentali razionali (computazionali) e a-razionali (non computazionali) . Nella nostra ipotesi, il subconscio giuoca un ruolo fondamentale, dato che abbiamo constatato che la grande ispirazione artistica e scientifica ha origine inconscia, e viene portata a livello cosciente solo dopo che la “folgorazione” (un evento globale, contenente fin dall’inizio i semi di una strutturazione razionale inconscia) è avvenuta; nella sede del subconscio, ovunque essa sia, avviene (attivazione di coerenza quantistica?) la folgorazione, che -ricordiamo- può realizzarsi solo se preceduta da giorni mesi anni di meditazione cosciente sul tema prediletto: in qual modo una meditazione cosciente, fatta forse soltanto nelle zone del cerebrum sedi della coscienza, inferisca sulla “folgorazione” (che invece avverrebbe nelle sedi del subconscio), e come quest’ultima possa affiorare a livello cosciente, è ancora ignoto, anche se è ipotizzabile l’esistenza di speciali circuiti neurali di interconnessione attivabili sotto determinate condizioni.
Un’ultima osservazione a proposito dello stato di “coerenza quantistica su grande scala” che potrebbe essere alla base di fenomeni coscienti e inconsci: se e quando la coerenza quantistica interessasse solo le aree cerebrali sede del subconscio/inconscio, ciò potrebbe costituire base scientifica per lo studio dei fenomeni cosiddetti “medianici”; inoltre, è stata recentemente accertata (6) la possibilità di trasmissione a distanza di stati correlati coerenti, anche se necessiteranno molte esperienze per convalidare definitivamente il fenomeno. Se questo trovasse conferma, avremmo una base fisiologico-fisica per trattare fenomeni di correlazione a distanza degli effetti di coerenza quantistica su grande scala; in altre parole, non su uno solo, ma su più cervelli potrebbe simultaneamente attivarsi l’effetto di coerenza quantistica, e ciò potrebbe costituire una base scientifica (***) si tratterebbe di definire la propagazione di un “campo dello spazio-tempo cosciente” e associarvi un tensore C i,k “densità di coscienza”.

5.4 – Le conferme della psicanalisi

Gli ultimi sviluppi della psicanalisi offrono una clamorosa conferma dell’esistenza di una “doppia logica” nella struttura della psiche e quindi dell’universo cui appartiene (che, come abbiamo visto, presenta caratteristiche contemporaneamente computazionali e non computazionali). Ci riferiamo agli studi del grande psicanalista Ignazio Matte Blanco, che è riuscito, dopo l’analisi di migliaia di pazienti, a formulare le leggi dell’inconscio e le sue relazioni con la coscienza, e a ritrovarvi le caratteristiche su accennate.
Ma prima di affrontare la questione, dobbiamo dire due parole sulla psicanalisi prima di Ignazio Matte Blanco. Da Freud fino a Melanie Klein la psicanalisi è stata fortemente influenzata dalla psicologia e quasi per niente dalla neurofisiologia, come se la psiche di ciascun uomo fosse una realtà a se stante, una “emergenza” non collegata col suo cervello. La scienza ci dice invece che qualunque realtà mentale, indipendentemente dalle tendenze materialistiche o spiritualiste di ciascuno di noi, non può non essere ferreamente ancorata al corpo fisico, finchè questo è vivo. Per cui, qualunque patologia neurotica o psicotica deve avere un corrispettivo fisico, cerebrale, e deve necessariamente interessare le aree neuroniche ove sono racchiuse le rappresentazioni disposizionali che dai primi archetipi emozionali e dalle prime rielaborazioni mentali (derivati ambedue da stilemi ritmo-sonici), fino alle ultime percezioni sensorio-emozionali ricevute, raccolgono le vicende di tutta la vita. Anzi, dovremo necessariamente ammettere che è proprio la perturbazione di queste aree neuroniche, dovuta a traumi pregressi o attuali, la causa ultima di varie patologie. Nelle persone “normali”, i meccanismi di acquisizione, rielaborazione, richiamo di emozioni, sono svolti sotto il controllo delle sinapsi, che ordinano le singole esperienze sensorio-emozionali e consentono la necessaria intersecazione e connessione dei vari circuiti neuronici atta al loro richiamo a livello cosciente o al loro automatico inserimento nel livello subconscio. In caso di patologia, evidentemente, questo controllo cessa o si riduce, permettendo anomali e non volontari “travasi” di percezioni emozionali tra i livelli conscio e subconscio (anzi, dovremmo cominciare a parlare di “inconscio”!). Certamente, è difficile stabilire univocamente se l’inizio della patologia è in un danno neurofisiologico o se un “conflitto” all’interno della psiche possa causare esso stesso il danno e solo immediatamente dopo riflettersi neurofisiologicamente; in ogni caso, è assolutamente certo che un riscontro a livello neurofisiologico deve necessariamente sussistere.
Ma vediamo il pensiero di Matte Blanco(1,2). Intanto, egli definisce “modi d’essere della psiche” il conscio (o coscienza), il preconscio, il subconscio, l’inconscio affiorante, l’inconscio profondo: la psiche può partecipare alternativamente dell’uno o dell’altro modo a seconda delle situazioni in cui si trova; in ogni caso, egli afferma che le realtà (emozionali e razionali) contenute nei vari modi d’essere possono riversarsi a ritroso dall’ultimo modo al primo, quando – durante gli stati psicotici – vengano meno le “resistenze interne”, le “barriere” (sinaptiche, per noi). Inoltre, egli dice che la psiche, che si riflette nella mente umana, segue sempre una BI-LOGICA, costituita contemporaneamente da una “logica ASIMMETRICA” e da una “logica SIMMETRICA”. La mente umana, quando sviluppa un pensiero razionale a livello conscio, segue la logica asimmetrica, costituita:
– dal sillogismo logico (logica formale aristotelica)
– dalla legge di causa ad effetto
– dal concetto di “maggiore” o “minore”
– dal binomio antinomico vero-falso, etc.
– dalla “divisione” della realtà in parti comprensibili e analizzabili.
Quando invece partecipa, con la psiche, del modo di essere inconscio, essa rifiuta tutto questo, non segue sillogismi che facciano derivare qualcosa da qualcos’altro o che implichino divisione o differenza, e segue la logica simmetrica, che consiste:
– nella uguaglianza (e non derivazione) dei termini di ogni sillogismo
– in nessuna esistenza di cause da cui derivino effetti, ma semmai, di effetti “causa delle cause” (circolarità)
– niente “maggiore” e “minore”: se A > B, contemporaneamente B > A
– niente antinomia vero-falso.
– in nessuna divisione razionale della realtà in parti, ma ciò che è “parte di un tutto” è contemporaneamente “tutto di una parte”, cioè “parte” e “tutto” coincidono nella cosiddetta “totalità indivisibile”.
La psiche, quindi, in tutti i suoi modi d’essere, segue la bi-logica (asimmetrica e simmetrica).
Ora, sempre secondo Matte Blanco, la modalità precipua del manifestarsi delle patologie dell’inconscio è quella della “generalizzazione”, per cui si passa alla coincidenza delle “parti” (costituite da singoli sottoinsiemi di realtà razionali ed emozionali ivi contenute) con il “tutto” (o totalità indivisibile, costituita dalla fusione in un unico blocco di ogni punto-evento spaziotemporale vissuto dalla psiche) attraverso classi di insiemi via via più generali, che tendono a divenire (proprio mediante il principio di generalizzazione) come quelli definiti in matematica da Dedekind, INSIEMI INFINITI.
Naturalmente, ciascuno dei “modi d’essere” della psiche fruisce della bi-logica, anche se con differenti rapporti di asimmetrico/simmetrico: praticamente si va dalla “zero simmetria” del conscio (o coscienza) quando è pervaso dal pensiero razionale, alla “zero asimmetria” dell’inconscio profondo quando non analizzato razionalmente. Certo, non sempre il conscio è necessariamente legato al pensiero razionale: è sicuramente possibile aver coscienza di realtà non razionali, non computazionali, che possono essere analizzate e descritte (ma non razionalmente interpretate e spiegate!) per cui, talvolta, si può avere parziale “simmetria” anche nel conscio. Come pure, sussiste la possibilità – come abbiamo visto – di analisi razionale dell’inconscio profondo mediante il principio di generalizzazione (insiemi infiniti), al limite del computazionale, con introduzione di parziale asimmetria.
Sempre secondo Matte Blanco, quando la generalizzazione delle classi realizza la condizione di “infinità” degli insiemi, si ha nella mente il contatto supremo tra logica asimmetrica e logica simmetrica.
Tornando al nostro pensiero, lo straordinario di Matte Blanco (e della maggioranza degli psicanalisti odierni, che ne seguono le linee) è che abbia ritrovato sperimentalmente nei modi d’essere della psiche l’esistenza di una bi-logica, di una doppia logica, la asimmetrica (che per noi è la logica razionale, computazionale) e la simmetrica (equivalente per noi alla logica del non computazionale, a-razionale). Addirittura, la logica simmetrica da lui enunciata ha una singolare affinità con la legge di “non località” spazio-temporale(*), appartenente alla fisica quantistica, legge che definisce e descrive (ma non interpreta razionalmente, cosa impossibile) il comportamento dei quanti, di certe proprietà delle particelle elementari, di certe proprietà della materia stessa (elettroni, ma anche intere parti delle molecole, quando entrano nel cosiddetto “stato correlato coerente”). La legge di “non località” (3) è alla base dell’universo non computazionale.
Naturalmente, per noi, nessuna meraviglia. Se il nostro universo ha una doppia compresente strutturazione (sia razionale-computazionale, che a-razionale-non computazionale) è evidente che tutte le realtà che lo partecipano (e quindi anche ogni cellula, ogni formazione nervosa, ogni neurone, ogni attività sinaptica etc) dovranno possedere tale doppia strutturazione, con tutte le possibili interferenze e inferenze tra l’una e l’altra. Per questo, dato che ogni “pulsione” psichica deve avere un “corrispettivo” a livello neurofisiologico, la doppia strutturazione si riflette automaticamente su tutte le “emergenze” che – quali la psiche – debbono aver sede, o almeno riferimento, nel corpo umano, nel suo cervello, nel suo sistema nervoso. Ciò porta ad ammettere che ogni “moto” dell’inconscio debba essere in relazione con un “moto” o modificazione delle sequenze di connessione delle singole rappresentazioni disposizionali che immagazzinano le varie realtà ivi contenute: durante un fenomeno psicotico le connessioni improvvisamente “impazziscono”, cadono le “barriere sinaptiche”, viene consentito il travaso l’una nell’altra delle rappresentazioni disposizionali finora rigidamente isolate in appositi circuiti neuronici, e tutto ciò in maniera non computazionale, quasi si formasse un unico stato correlato coerente di parti delle molecole appartenenti ai circuiti neuronici non più “isolati”. Certo, tutto deve essere reversibile: al cessare del fenomeno psicotico, dovrebbe tornare la normalità. Ma durante il fenomeno, se avviene, come pensa Matte Blanco, la “generalizzazione” delle classi di insiemi e il formarsi di “insiemi infiniti”, questa deve necessariamente applicarsi a classi di sottoinsiemi di rappresentazioni disposizionali neuroniche, che, anche se in numero finito, possono tendere asintoticamente a valori infiniti aggregandosi – in maniera non computazionale – in insiemi sempre diversi e sempre variabili, fino a quella che, come abbiamo visto, Matte Blanco chiama “totalità indivisibile” realizzata soltanto dal puro modo simmetrico, ove ogni asimmetria (barriera) è caduta. Certamente, per tornare al “contatto” tra logica asimmetrica e logica simmetrica, un numero tendente all’infinito di insiemi di elementi numericamente finiti ma sempre variabili (quali sono le rappresentazioni disposizionali ormai via via prive di “barriere”) è sempre qualcosa di computazionale, che però tende al non computazionale quando si realizza la “totalità indivisibile” della logica puramente simmetrica.
Ora, noi pensiamo che la psicanalisi di Matte Blanco possa gettare luce anche sui meccanismi neurofisiologici: ma sarebbe opportuno modificare l’attitudine degli psicanalisti a isolarsi dai neurofisiologi, e occorrerebbe creare una “neurofisiologia psicanalitica”, ove si potesse estendere e applicare all’esame della psiche i risultati delle metodologie di analisi cerebrale introdotte per mezzo delle moderne macchine (ad es., elettroencefalografo collegato con macchina a risonanza magnetica nucleare – EEG+NMR). Oggi, le attuali ricerche di neuro-imaging combinano tra loro più metodi di indagine sui processi mentali al fine di costruire una neuroanatomia funzionale valida anche per gli esami psichici. Al termine di questa “messa a punto” della metodologia, è ipotizzabile la possibilità di utilizzo di questi metodi combinati di indagine durante le stesse sedute psicanalitiche. In quella sede, si dovrebbe chiaramente constatare sullo schermo, col progredire dello stato psicotico, il fenomeno dell’allargamento delle zone cerebrali interessate, causato dalla progressiva eliminazione dell’azione delimitante della “asimmetria”, che sempre meno impedisce l’invasione generalizzata della “simmetria” tendente alla distruzione di ogni struttura.

(*) – E’ un fenomeno non razionalizzabile caratteristico delle dinamiche della meccanica quantistica, per cui azioni tra luoghi distanti – che normalmente avvengono in tempi e spazi diversi – avvengono invece nello stesso tempo e conspazialmente. Questo fenomeno è presentato dai quanti, da protoni o altre particelle, da elettroni, da interi atomi, da parti di molecole aventi due possibili stati morfologici (ad esempio, le proteine neuroniche “tubulina alfa” e “tubulina beta”, che differiscono solo per l’orientamento spaziale di parte della molecola), i quali talvolta vengono emessi e/o si presentano in modo correlato (“entangled”). Il modo correlato consiste in uno “stato di sovrapposizione” che attribuisce contemporaneamente, ai vari enti sopraelencati, proprietà normalmente antagoniste, quali ad es. velocità in due o più diverse direzioni, spin (rotazione) destrorsa e sinistrorsa, orientamenti spaziali in direzioni diverse, proprietà corpuscolari spazialmente definite che si trasformano in onde di materia stazionarie e fluttuanti con continuità (elettroni nelle proprie orbite atomiche o nei circuiti superconduttori). Ciò fu intuito (e rifiutato) dai fisici Einstein, Podolsky, Rosen (le esperienze compiute, che indicavano questo comportamento furono da allora dette “EPR”, dalle iniziali dei loro cognomi). Al contrario, Niels Bohr affermò: “…anche se due fotoni (correlati) si trovassero su due diverse galassie, continuerebbero a rimanere pur sempre un unico ente, e l’azione compiuta su uno di essi avrebbe effetti istantanei anche sull’altro…”. La disputa terminò nel 1982, con gli esperimenti di Alain Aspect che dimostrarono inconfutabilmente la giustezza delle suelencate proprietà della meccanica quantistica.
La legge di simmetria matteblanchiana coincide con grande evidenza con la legge di non località spazio-temporale: tutte le particelle in stato correlato non vivono realtà divise, ma formano “totalità indivisibili” in cui tutto e parte coincidono; lo stato correlato si manifesta improvvisamente senza alcuna causa né spaziale né temporale, in esso non si trovano elementi che diano luogo a situazioni in cui l’uno sia maggiore dell’altro, l’uno sia vero e l’altro falso, l’uno derivi dall’altro.