Parte 2°: Il Percepito

6.1 – Il meccanismo della comunicazione – messaggio e linguaggio artistico

Dice Webern: “L’uomo non può esistere che nel momento in cui si esprime; la musica si esprime sotto forma di pensieri musicali”. Naturalmente, un’opera di grande livello artistico rappresenta un momento di eccezionale “densità di espressione” umana: per noi, ogni artista esprime un preciso “messaggio” che deve essere inviato e compreso mediante un particolare “linguaggio” formato da fonemi percettivo/emozionali e rielaborato mediante espressioni mentali (razionali). Ma la possibilità di espressione e comprensione del grande messaggio artistico non può che risiedere nel fatto di possedere identici “granuli emozionali” (che chiameremo “archetipi” emozionali), tanto da parte di chi esprime che da parte di chi riceve; se ciò non fosse vero, sarebbe impossibile la comunicazione. Certamente, le rielaborazioni mentali risentono della complessità di struttura di ciascuna mente, cui non è estranea la componente culturale di ognuno; ciò può influenzare il grado di comprensione delle espressioni rielaborate, dato che la cultura individuale ha diverse gradazioni a seconda della storia individuale.
Dicevamo che l’uomo vive in quanto si esprime nella vita di relazione; normalmente, quando vuol comunicare con i suoi simili, costruisce un messaggio utilizzando le rielaborazioni mentali razionalizzate di propri “granuli emozionali” (rielaborazioni consistenti sopratutto nell’utilizzo, come vedremo, degli archetipi strutturali, logici, numerici, presenti in essi), che sono contenute in rappresentazioni disposizionali neuroniche presenti nel suo sistema nervoso e richiamabili a piacere. Quando fa arte, anche allora vuole comunicare un messaggio, che solitamente consiste in un “contenuto emozionale razionalizzato”.
Solo che per ogni settore artistico esistono proprie “tecnologie e metodologie di espressione” ineludibili; ad esempio, nella pittura, il messaggio viene impresso nell’opera d’arte mediante segni e colori che costituiscono il linguaggio espressivo: questi segni eventualmente colorati consistono nelle varie forme raffigurate e nei loro atteggiamenti; se, ad esempio, voglio comunicare un messaggio di forza, di dolcezza, di languida tristezza etc, il linguaggio sarà costituito da forme maschili, femminili o paesaggistiche raffigurate in modo da evidenziare quelle diverse attitudini; e la situazione non cambia se le forme si stemperano nell’astratto. Naturalmente, la raffigurazione avviene con metodologie caratteristiche diverse da artista ad artista quali il disegno, il tratto, la pennellata, il modo di accostare i colori, etc. Queste sono le “tecnologie di espressione”: esse non debbono essere confuse col “messaggio” dell’artista, che invece consiste nella trasmissione di una sensazione mentale o emotiva scaturita durante la “visione profonda” che presiede il fatto artistico. Certamente, la grande opera d’arte consiste in un “messaggio” straordinario attuato con tecnologie che si sono “affinate” adattandosi perfettamente alla straordinarietà dell’occasione, e che hanno raggiunto il proprio massimo espressivo. Il giudizio di merito comprenderà l’analisi sia della parte emozionale profonda che della parte rielaborativa, alla luce della qualità delle tecnologie espressive attuate.
Analogamente, nella scultura, non bisogna confondere il messaggio contenuto nell’opera con le tecnologie di espressione, che consistono nel “modo” plastico e spaziale di realizzare l’opera, tipico dell’Artista. Nella letteratura, è più semplice: il messaggio è contenuto nei concetti espressi, che riflettono e spiegano i contenuti emozionali e le rielaborazioni mentali dell’artista; e questo, di solito, non viene confuso con le modalità espressive (tecnologie) scelte; ad esempio, in poesia, potremo scegliere di esprimere un componimento poetico
nella forma del sonetto, della ode, etc; potremo scegliere di farlo in rima o meno; di utilizzare tipi di parole onomatopeici che rafforzano il concetto: ma tutto ciò non viene confuso col “messaggio”.
Nella danza il messaggio è assai facilmente intuibile, e generalmente, le tecnologie di espressione sono volte a mettere in luce i vari schemi ritmici (che, come vedremo, possono divenire anch’essi sorgenti emozionali) espressi dalle movenze corporee; analogamente, gli sports individuali e di squadra, come arte (fisico-estetica) del moto del corpo umano.
E in musica? Tutto è più difficile, e vedremo in seguito perchè. Comunque, è indubitabile, anche qui, la presenza di un contenuto emozionale-razionale, cioè di un messaggio, ma esso è così nascosto, così mascherato, da far cadere in equivoco molti nel tentarne la decifrazione. Gran parte dei musicofili (e, purtroppo, dei musicologi!) hanno da sempre scambiato il “messaggio” con le “tecnologie” usate per esprimerlo. Ora, le “tecnologie e metodologie di espressione” della musica consistono nella grafìa musicale, nel costrutto armonico-melodico, nel ritmo, nel timbro (con le varie voci strumentali), nella dinamica, nella strutturazione della musica mediante le varie forme espressive (forma-sonata, forma concertante, ballata, danza, marcia trionfale o funebre, cantico, canzone, etc). Ma tutto ciò non deve essere confuso col “messaggio” (nè tantomeno col suo “linguaggio”), che viene espresso utilizzando le suddette tecnologie e metodologie di espressione per manifestare con maggiore completezza quelli che sono soltanto suoi precipui concetti. Ma allora, cosa è il messaggio musicale, e quale è la natura del suo linguaggio?
Noi ribadiamo che il messaggio consiste nella acquisizione e comunicazione di una profonda “sensazione emozionale globale” (tradotta in un “pensiero musicale”, che si manifesta modulato, colorato, intessuto di emozioni diverse durante una esecuzione musicale), e che – come vedremo nel prossimo capitolo – può esprimersi solo attraverso il linguaggio degli “archetipi” (cioè mediante il susseguirsi di “granuli” che contengono embrionalmente l’essenza del messaggio medesimo): la mente dell’autore, una volta “presa coscienza” della sensazione emozionale (pervenutagli – pensiamo noi – dal subconscio), può, successivamente, solo rielaborare razionalmente tali “granuli” e presentarli mediante le tecnologie e le metodologie espressive sopra elencate, le quali, dando struttura formale a questo linguaggio, lo amplificano, lo completano, lo rendono unico e originale. Esse, d’altronde, possono anche mutare nel tempo a seconda delle epoche e dei relativi modi di sentire e di esprimersi; ma sopratutto, come dicevamo, non vanno assolutamente scambiate nè per il messaggio nè per il linguaggio, come invece è spesso avvenuto fino ad oggi (1, 2, 3).
Ora, perchè il messaggio musicale possa trasmettersi dal compositore al fruitore, è necessario, come dicevamo, che i loro “granuli” emozionali abbiano la stessa costituzione, che identici siano gli archetipi acquisiti: questi vengono via via richiamati alla coscienza dell’artista, dell’interprete, dell’ascoltatore, dai gruppi di note musicali che li rappresentano e che il compositore pose in una successione logica scegliendo e utilizzando le opportune tecnologie e metodologie di espressione, e ciò in modo da formare veri e propri “concetti”, il cui assieme realizza il “discorso musicale” contenuto nella partitura. Solo in tal modo il “discorso” si trasforma in “pensiero musicale”, può essere compreso e fornire sensazioni mentali, emozionali e fisiche univoche e inconfondibili, e divenire così oggetto di “cultura”.
Naturalmente, dobbiamo far presente che il messaggio contenuto nel pensiero musicale è formato di concetti e discorsi musicali che sono molto più che una semplice somma degli archetipi usati, e che emergono dal loro intreccio, dal ruolo sintattico e semantico spesso appena accennato, nonché dal contesto armonico globale nel quale vengono espressi, che costringono il musicologo ad una analisi assolutamente completa di tutti gli elementi che caratterizzano il messaggio stesso.

7.1 – Gli archetipi sensorio-emozionali, le emozioni, la loro memorizzazione

La creazione di “emozioni” nell’essere vivente è dovuta a stimoli sensorii computazionali e non, dovuti a eventi interni o esterni che lo raggiungono e lo pervadono interessando organi diversi. Un evento ambientale esterno semplice quale un suono o un lampo di luce, o un evento interno (un battito cardiaco) provocano nei recettori (orecchio, occhio, etc) eventi elettrochimici che raggiungono il sistema nervoso centrale (cortecce sensitive primarie) innescandovi, per un tempo ben determinato, una oscillazione di retroazione, di ”risonanza” (3.1, 3.4) che attiva i circuiti neurali innati e/o modificabili, creando, in un cervello in via di maturazione (neonato), un sistema stabile di magazzini mnemonici elementari (magazzini archetipi sensoriali stratificati), con un meccanismo particolare (probabilmente, la sinaptogenesi guidata di Edelman, con formazione di rappresentazioni disposizionali mediante i dipoli tubulinici, etc). Queste “percezioni sensorie elementari”, quando si ripresentano in un cervello più adulto (in cui è già iniziata la fase della autocoscienza), provocano una elaborazione cognitiva che inizia dal loro confronto con le percezioni simili precedentemente depositate nei magazzini mnemonici, per giungere a realizzare, immediatamente dopo, la loro associazione ad un “contesto” (contestualizzazione) e la loro interpretazione: quest’ultimo processo, spesso estremamente rapido, conduce a ciò che chiamiamo “emozione elementare”, o meglio, alla creazione di un “archetipo” o “granulo” emozionale, che viene anch’esso posto in un sistema di magazzini archetipi emozionali.
Il meccanismo di registrazione delle percezioni emozionali consiste dunque nella capacità del cervello e dell’intero sistema nervoso di favorire la formazione di rappresentazioni disposizionali permanenti attraverso la attivazione di circuiti neurali innati o modificabili. Naturalmente, le vere e proprie “emozioni” (composte di gruppi di archetipi emozionali) sono delle “interpretazioni”, delle “elaborazioni di stimoli sensoriali contestualizzati”: ne discende che, ontogeneticamente, i magazzini mnemonici emozionali si formano successivamente a quelli degli archetipi sensorii e anche a quelli degli archetipi emozionali. Inoltre, notoriamente, rappresentazioni disposizionali diverse dovute allo stesso evento emozionale, realizzate da circuiti collegati ai diversi recettori appartenenti all’organismo, possono interconnettersi tramite le sinapsi, realizzando una loro contestualizzazione emozionale e quindi la creazione di magazzini emozionali che poi consentiranno il successivo richiamo di emozioni complesse che interessarono contemporaneamente organi diversi; non solo, ma abbiamo visto anche che la configurazione generale delle rappresentazioni disposizionali relative ad una stessa emozione può modularsi e arricchirsi nel tempo (ed essere re-immagazzinata), qualora emozioni dello stesso tipo raggiungano in tempi successivi l’essere umano.
Ora, il sistema nervoso dell’embrione umano si struttura sotto la guida genetica, dall’istante del concepimento, ripercorrendo in pochi mesi l’intero cammino evolutivo: prima gli organi di acquisizione e memorizzazione percettivo-emozionale, poi gli organi della razionalità. Quindi, il sistema nervoso dell’individuo, pur possedendo fin dalla nascita tutte le potenzialità necessarie alle acquisizioni emozionali e razionali, deve come “reimpararne” l’uso, e questo avviene a partire dalle prime percezioni sensorio-emozionali.
Allora, se vogliamo analizzare i meccanismi recettivi, dovremo appuntare la nostra attenzione sulle prime sensazioni che raggiungono l’essere umano sia durante la formazione nel grembo materno (probabilmente dopo il terzo mese di vita) sia dopo la sua venuta alla luce. Denomineremo “archetipi emozionali primigeni” queste percezioni emozionali primarie, dal momento che su queste si basa il linguaggio della mente embrionale, prima ancora che intervenga il meccanismo della loro metabolizzazione e analisi, che condurrà alla strutturazione e riacquisizione delle capacità razionali della mente medesima. Abbiamo preferito il termine “archetipo” al termine “imprinting”, per riguardo alla ormai accertata predisposizione genetica ad acquisire tali emozioni, nonché alla diversa origine di tale predisposizione ipotizzata dalle varie scuole di pensiero filosofiche e religiose.

7.2 – Il meccanismo di formazione degli archetipi

Ciò che noi definiamo “archetipo” si forma e si fissa, nelle strutture neurocellulari cerebrali preposte alla formazione della “memoria profonda della mente” (che abbiamo visto risiedere nelle serie di magazzini mnemonici che accolgono le rappresentazioni disposizionali permanenti dovute a circuiti neurali innati), quando uno “stimolo originale” si presenta per la prima volta sulle terminazioni nervose ad esse afferenti, inviato dai sensi che lo hanno raccolto all’esterno (o all’interno) dell’embrione umano. Per stimolo “originale” si intende una sequenza di onde (formate da variazioni di potenziale elettrico propagantisi lungo le strutture neuroniche, col contributo dei mediatori elettrochimici) derivata da “pulsioni” connesse con gli organi esercitanti le funzioni innate precipue dell’essere umano (vitali, di sopravvivenza, di riproduzione, etc.). Queste pulsioni, generanti la sequenza suddetta, sono in grado di raccogliere e trasmettere per retroazione una caratteristica eccezionale posseduta da tali organi: quella di poter contribuire a “generare o percepire emozione”. Ad esempio, il cuore, pilotato da centri neurali autonomi, adempie la funzione primaria e vitale di assicurare la circolazione del sangue, ma contemporaneamente il suo battito è emozionalmente “sinonimo di vita” e la mente cosciente o inconscia che “ascolta” archetipicamente il proprio cuore (tramite gli stessi centri e i connessi circuiti neurali in grado di elaborare rappresentazioni disposizionali) percepisce e memorizza se batte normalmente, contribuendo a generare serenità, o se in modo alterato, contribuendo a raccogliere dall’esterno ansia, paura, etc).
Comunque, le prime “pulsioni” percepite sono dovute ad onde elastiche (suoni), dato che l’embrione è immerso in un liquido capace di trasmettere solo quel tipo di segnale. Può darsi che il liquido sia non completamente privo di “luminosità” (onde elettromagnetiche), ma non sembra possa interessare “emozionalmente” l’embrione medesimo fino alla sua nascita.
Come dicevamo, i circuiti neurali innati presiedono a funzioni svolte da organi del corpo comuni a tutti gli esseri umani, quali quelle prima elencate; ma contemporaneamente, questi organi, proprio a causa del loro funzionamento, possono divenire “soggetti emozionali”, e generare stimoli originali che, ancora raccolti (per retroazione) dai circuiti neurali innati da cui derivano, causano la instaurazione di nuove rappresentazioni disposizionali permanenti, stavolta in grado di immagazzinare e poi suscitare una “emozione primaria”.
Ribadiamo che per “archetipo primigenio” intenderemo quindi qualcosa di originato da “sensazioni primordiali” (o “emozioni primarie”) dovute, dicevamo, ad agenti interni al corpo embrionale umano o esterni ad esso, e capaci di indurre nel suo cervello (appena formatosi, o ancora in formazione) successive modificazioni di circuiti neurali in grado di provocare rappresentazioni disposizionali permanenti (il cui assieme costituirà in seguito la cosidetta “memoria profonda”), e ciò con un meccanismo di continuo “riaggiustamento”: in realtà, dato che le “sensazioni primordiali”(o archetipi) via via registrate interferiranno tra loro al punto che quelle successive verranno “fissate” con modalità e configurazioni che risentono delle precedenti, la rappresentazione disposizionale provocata dall’ultimo stimolo deve essere concepita sempre come dovuta ad una vera e propria rielaborazione e ricollegamento delle rappresentazioni indotte da precedenti stimoli nelle strutture neurali della memoria profonda. E notiamo che potremo avere rappresentazioni disposizionali innate, prenatali, postnatali.
E’ da tener presente che l’impianto degli archetipi primigeni avviene presumibilmente quasi per intero prima che sia interamente formata la “massa critica cerebrale” capace di innescare completamente il fenomeno della coscienza mediante l’effetto di coerenza quantistica su grande scala nei microtubuli dei citoscheletri neuronici; probabilmente, le strutture neurali sono già in grado lo stesso di operare la memorizzazione.
Queste strutture, comunque, dopo l’impianto dei primi archetipi, memorizzeranno gli archetipi seguenti non più indipendentemente tra loro, ma in funzione di quelli già impiantati e sempre attraverso il loro “filtro”. Il meccanismo si attiva per gruppi di archetipi, e viene compiuto tramite il collegamento sinaptico delle rappresentazioni disposizionali anteriormente acquisite con quelle dovute alle nuove sensazioni, tenendo anche conto della capacità delle sinapsi di elaborare collegamenti più “forti” o più “deboli”. Il sistema nervoso è, come abbiamo visto, costruito in modo da poter “evocare” nuovamente e richiamare i singoli archetipi, o i gruppi di archetipi strutturatisi durante le successive acquisizioni, e l’evocazione può raggiungere le zone “conscie” della mente (coscienza) come pure il subconscio. E’ da tener presente che gli archetipi primigeni partecipano, assieme alle altre percezioni sensorie provenienti dall’esterno, alla costruzione di una “emozione” compiuta, che verrà opportunamente memorizzata. Ad esempio, tra le prime emozioni che vengono percepite e “ricostruite” dall’essere umano dopo la nascita ci sono quelle relative al proprio “concetto di identità” e alla “interpretazione” del mondo in cui vive, quale gli appare dalla mediazione dei genitori, che possono trasmettergli sensazioni e relative emozioni di sicurezza, di pericolosità, di paura a seconda della loro propria “interpretazione” della realtà.

7.3 – Acquisizione differita degli archetipi

Quanto tempo può durare l’acquisizione degli archetipi? Fino a tre anni dalla nascita o oltre? E mentre è ancora incompleta tale acquisizione, in che modo agisce la memoria dei normali avvenimenti della vita, attuata da settori cerebrali sicuramente diversi da quelli che registrano gli archetipi? Probabilmente vengono impressi, in rappresentazioni disposizionali dovute a circuiti neurali modificabili, momenti staccati e non ancora collegati da strutture mentali di numerabilità, di giudizio, di logica, di raffronto emozionale, ed è forse per questo che i ricordi della primissima infanzia ci appaiono molto particolari, diversi dall’uno all’altro essere umano, e acquistano una maggiore logicità anche emozionale man mano che sono stati acquisiti i principali archetipi. Abbiamo parlato di “impressioni primordiali”: chiariamo meglio il concetto dicendo che i principali archetipi acquisibili sono identici da sempre, da quando il cervello umano ne ha consentito l’acquisizione, ma la modalità di acquisizione non è sempre la stessa.
Potrebbe avvenire che una distorta o insufficiente “presentazione” dell’archetipo, che deve fissarsi e modificare le caratteristiche della capacità di acquisizione di intere zone della memoria profonda, determinasse una effettiva differenza da uomo ad uomo nelle possibilità future di controllo e coordinamento logico-emozionale di tutte le percezioni memorizzate?
In ogni caso, il periodo della acquisizione degli archetipi è un momento molto delicato dell’intera fase evolutiva dell’uomo.
Gli archetipi primigeni acquisiti vengono poi analizzati e “metabolizzati” dalla mente dato che in seguito dovranno formare la base del pensiero: prima viene estratta da essi (e “memorizzata” in apposite rappresentazioni disposizionali afferenti i centri dell’apprendimento) la componente logico-computazionale da cui dipenderà la vera e propria riacquisizione della formazione e strutturazione mentale; subito dopo, a strutturazione acquisita, la mente inizierà a percepire le immagini mentali dovute ai meccanismi di richiamo degli archetipi e delle relative modulazioni emozionali: queste immagini, organizzate selettivamente in sequenze logiche (rielaborazioni mentali) e tradotte in un adatto linguaggio, divengono “pensiero”.
Può una compiuta rielaborazione mentale venire “archetipizzata” e divenire essa stessa “insieme di rappresentazioni disposizionali permanenti” ? Non lo sappiamo, ma non possiamo escluderlo.
Difatti, un archetipo, che sembra strutturato da altri archetipi, è in realtà una unica struttura che può “partecipare” di elementi di altri archetipi (quali quelli numerici, logici, ritmico-sonori, di segno visivo, o altri) ma che, in ogni caso, conserva una sua “unicità”, come un insieme algebrico che si sovrappone o partecipa ad altri insiemi mediante gli stessi elementi, pur restando assolutamente “univocamente definito”. Resta a vedere come si possono richiamare gli archetipi distinti e a “chi” rispondono; ma, come abbiamo visto, per mezzo delle reti e dei circuiti neurali che formano la struttura cerebrale e che permettono la “distinta sovrapposizione” di stimoli registrati o ancora da registrare, si può ipotizzare e stabilire l’esistenza di “distinti legami” e di gerarchie spazio-temporali di risposta, necessarie alla logica metodologica del “richiamo”, della “evocazione”.

7.4 – Acquisizione differenziata degli archetipi

L’acquisizione degli archetipi nell’uomo inizia senz’altro dagli archetipi sensoriali: in effetti la “acquisizione crescente di sensorialità” e il suo utilizzo per la costruzione delle emozioni lo dimostra: oggi si parla comunemente di “intelligenza emozionale” (1), per cui, come abbiamo visto, si inizia a costruire la razionalità mentale sulle emozioni che, fin dalla prima infanzia, i nostri sensi ci permettono di avere e sentire; solo dopo, verranno l’intelligenza pura, la filosofia, la scienza, etc come astrazioni mentali della intelligenza emozionale. Noi diremmo che gli archetipi numerici, logici, etc, sono come “astrazioni archetipizzate” estraibili dagli archetipi emozionali, e ciò sembra altamente probabile e condivisibile.
Ma come avviene sequenzialmente l’ “arricchimento” di un archetipo? Per noi, secondo la “sensorialità crescente” del cervello che lo acquisisce, che si autostruttura, con i meccanismi neurali già visti, secondo gli schemi genetici, dal momento delle prime formazioni cellulari cerebrali in poi: una volta riacquisite le basilari potenzialità logico-matematiche, prima lo scambio delle onde elastiche (suono-musica), poi della tattilità, poi dell’odorato, poi del gusto e in ultimo della vista. Secondo questa concezione, avremmo una acquisizione e configurazione “sferico-concentrica” di ciascun archetipo: le astrazioni logico-matematiche si attualizzano, prima, nella sfera musicale; poi, via via, per sfere concentriche che partecipano delle precedenti (fig.4), nelle altre acquisizioni (in ordine: tattilità, gusto, odorato, vista).

La concezione qui espressa è un riferimento di comodo, per esprimere l’insieme di rappresentazioni disposizionali, derivanti da circuiti neurali variamente dislocati nel sistema nervoso dell’uomo, che man mano si interconnettono mediante le sinapsi.
In effetti, tale concezione ha un curioso riscontro evolutivo: l’uomo primitivo nei secoli inizia a esprimersi “artisticamente” a partire dalla sfera archetipicale più esterna, connessa alla vista (pittura rupestre), per poi passare al gusto e odorato (creando e offrendo, ad esempio, alla propria donna tipi di cibo e composizioni di fiori via via più sofisticati), in seguito passare ad arti fittili (costruzione di statuette di divinità o di statue-stele) e infine al suono (flauto di Pan), quasi che il richiamo automatico degli archetipi da parte della mente primigenia consentisse il loro ritorno e la loro riutilizzazione a partire dalle “sensazioni originali” acquisite per ultime. Nell’uomo moderno ciò si traduce in una difficoltà crescente nella comprensione e nella riespressione razionale delle proprie visioni artistiche, man mano che cerca di raggiungere la sfera archetipicale più interna: per questo la musica è stata sempre di difficile decifrazione e sempre fonte di equivoci interpretativi.

7.5 – Il lato esclusivamente musicale dell’archetipo primigenio

Ma se le “emozioni primarie” acquisite dal feto prima della nascita sono onde elastiche, gli archetipi dovuti ad esse sono sicuramente di tipo “musicale”, cioè debbono essere provvisti di strutturazione ritmica e sonora. Naturalmente, occorre che nella mente cosciente e inconscia sia già presente il meccanismo per la percezione non soltanto dell’elemento elastico-sonoro, ma anche dell’elemento ritmico, cioè della sua struttura spazio-temporale. In altre parole, l’archetipo sensoriale “semplice” deve divenire “archetipo processuale autoscopico”, in modo da poter permettere la memorizzazione delle caratteristiche, anche flessibili, legate al suo “tempo proprio” di percezione.
Comunque, la constatazione che le prime “emozioni primarie” percepite sono di tipo elasto-ritmo-sonico è alla base di tutte le considerazioni svolte in questa pubblicazione: ecco perché inizieremo dall’analisi degli archetipi ritmico-sonori (archetipi “musicali”), per poi passare a considerare l’estensione agli altri campi d’azione, via via che vengono acquisiti gli altri sensi (tattilità, odorato, gusto, vista).
Noi riteniamo, come abbiamo detto, che la struttura “musicale” (ritmico-sonora) degli archetipi formi la base, la “sfera più interna”, lo scheletro della intera architettura archetipica. Per individuare la sua manifestazione ci siamo riferiti a estrinsecazioni sonore, sia di funzioni fondamentali dell’organismo umano in via di formazione o appena nato, sia di emozioni primarie da esso recepite e provenienti dall’esterno; ambedue debbono essere provviste di caratteristiche ritmo-soniche tali da condurre alla formazione, nei circuiti neurali del suo sistema nervoso, di rappresentazioni disposizionali permanenti di norma riaffioranti tanto nelle espressioni individuali del neonato, che in seguito nelle più grandi espressioni artistiche musicali. La individuazione di questi archetipi verrà condotta con l’aiuto della componente psicologica da essi indotta al momento della acquisizione e da noi ritrovata nella mente umana: ogni realtà va “scientificamente psicologizzata”, dato che gli archetipi non possono uscire che dal vaglio di una psicologizzazione scientifica. Sarà compito degli psicologi della musica completare il lavoro di elencazione e individuazione archetipicale. Nei limiti di questo scritto, è stato sufficiente mettere in luce un possibile (e molto probabile) meccanismo di formazione e di utilizzo del linguaggio musicale (e artistico in genere) correggendo vecchie concezioni ed equivoci e riconducendo ad unità espressiva il fatto artistico.

7.6 – Tipologia dell’archetipo sensorio-emozionale-musicale

Cercheremo ora di delineare i principali archetipi che ci sembrano essere presenti nelle rappresentazioni disposizionali costituenti la memoria primigenia mentale; di essi cercheremo di individuare la manifestazione “musicale”, avvertendo che tale studio è appena al principio e che occorrerebbe fosse compiuto in maniera rigorosa e completa da parte di specialisti.
Occorrerà per prima cosa definire gli archetipi “sensorio-emozionali”. Ad esempio, il primo dolore fisico (ma anche la prima carezza o il primo solletico sulla pelle) sicuramente generano una sensazione che rimarrà impressa e che farà da battistrada ad altre sensazioni di dolore, di beatitudine, di gioia, di ilarità, non solo corporee ma anche dell’anima: ecco profilarsi gli “stati d’animo” quali rielaborazioni mentali degli archetipi sensorio-emozionali in connessione con le sedi di modulazione memorizzata delle rappresentazioni disposizionali ad essi riferentisi (zone di memorizzazione del sentimento). Ma vediamo il lato musicale degli archetipi sensorio-emozionali. Come abbiamo detto, nei magazzini archetipi mnemonici deve essere già presente la possibilità di recepire la loro strutturazione spazio-temporale.
Iniziamo analizzando il “ritmo” cardiaco, che già contiene suono, elemento ritmico, numero: è un archetipo strutturato, ma pur sempre “un” archetipo fondamentale, acquisito dalla “mente” embrionale all’istante del primo battito del minuscolo cuore. Al ritmo cardiaco sono riconducibili l’archetipo della “serenità” (costituito da più battiti cardiaci in condizioni normali), e l’archetipo della “ansietà” (battito affrettato a causa di paura o ansia). Analogamente, dopo la nascita, verrà archetipizzato il “respiro”, con le sue modalità precipue di variabilità ritmica, di “scambio” con l’esterno, di strutturazione duplice (inspirazione-espirazione).
Anche i moti peristaltici intestinali, connessi con la digestione, la rapida assimilazione, la crescita fisica, contribuiranno alla formazione dell’archetipo “energia”.
Come pure il primo “vagito”, ritmo-suono-senso, espresso dal neonato, che può comprendere sia il tipico pianto “convulso” che il pianto “disteso”. Quindi, probabilmente, viene archetipizzato il primo canto udito, una nenia, forse una ninna-nanna (1), il rintocco della prima campana.
Quindi, come dicevamo, man mano che vengono acquisiti, i cinque sensi determinano singolarmente archetipi dovuti al suono, alla tattilità, al sapore, all’odore, alla luce.
Gli archetipi di “alto” e di “profondo” vengono dal primo approccio con il senso di gravità, forse dal primo sguardo verso il cielo o verso un abisso: a questi sono associati gli archetipi di “salita” e di “discesa”, importantissimi per la musica in quanto immediatamente in relazione con frasi musicali ascendenti e discendenti.
Al momento della prima visione di una “caduta prolungata” di qualcuno o di qualcosa, caratterizzato da un senso di impotenza a modificare ciò che sta accadendo, si imprime nella mente l’archetipo di “ineluttabilità”.
Il primo dolce richiamo materno, con la prima carezza, determina l’archetipo di “dolcezza”.
Il primo spavento dovuto ad un urlo prolungato genera l’archetipo di “terrore”.
La prima reazione emozionale al terrore genera l’archetipo di “forza”.

7.7 – Archetipi strutturali: numerici, ritmici, logici, di segno, di colore

Analizziamo ora quelli che definiremo “archetipi strutturali” (che per noi derivano dalla “metabolizzazione” razionale, successivamente archetipizzata, di archetipi sensorio-emozionali) per la funzione essenziale che svolgono nella logica di ogni espressione mentale (anche musicale): la struttura di ogni stilema e di ogni frase elementare è dovuta ad essi, e spesso le stesse rielaborazioni mentali non sono altro che “espansioni” di archetipi strutturali. Ribadiamo tuttavia che ogni altro archetipo sembrerà avere in sè la possibilità di essere “scomposto” in elementi emozionali, logici, numerici, onomatopeici etc. Ebbene, no! Ciascun archetipo è un “elementale” inscomponibile; come una goccia, che, anche se cade e si “scompone” in altre gocce, non può assolutamente considerarsi “strutturata” da quelle gocce. Il fatto che il cervello umano in via di formazione acquisisca inizialmente per via genetica capacità “strutturali” logico-matematiche, nella nostra concezione, non è indice della possibilità di ritrovare ed esprimere tali capacità senza che sia stato impresso un gran numero di archetipi emozionali che ubbidiscono ad esse: pensiamo infatti che sia possibile ritrovarle e forse “archetipizzarle”, solo successivamente alla “metabolizzazione” razionale di tali archetipi. Anche l’universo, come vedremo, ubbidisce a leggi strutturali logico-matematiche, ma noi potremo rivelarle e conoscerle solo perchè ha avuto in seguito una sua strutturazione fisica.
Della categoria degli archetipi “strutturali”, archetipo fondamentale è senz’altro il “numero” e la “numerabilità”: “Io” = 1;”Io e la Mamma” = 2 e così via. L’archetipo numerico è da considerarsi come la “acquisizione della astrazione quantitativa”; forse è dovuta alla percezione “di tante cose diverse” che raggiunge il bimbo nei primi mesi di vita, confrontata con se stesso, che è “una cosa sola”; l’archetipo numerico si imprime come “unità”, e solo successivamente, con lo sviluppo delle facoltà logico-computazionali, può entrare nella formazione delle operazioni matematiche (somma, sottrazione, moltiplicazione , divisione) . Nella musica, l’archetipo numerico interviene, ad esempio, quando si vuole “segnare” in maniera ritmica ma uniforme un brano musicale (o una sua porzione), o sopratutto per unire due frasi derivanti da archetipi emozionali puri per mezzo di una rielaborazione mentale che lo utilizza. Ma dall’archetipo numerico, per rielaborazione, deriva un archetipo ritmico propriamente detto, quale è possibile udire nelle “basi” musicali, o nelle esecuzioni delle singole parti affidate a strumenti a percussione (batterie, timpani, etc).
La curiosità come stimolo vitale e come emozione, darà forse luogo al primo archetipo logico “domanda”, cui potrà associarsi l’archetipo “risposta”. E’ ipotizzabile una correlazione tra l’archetipo composto (o rielaborato?) domanda-risposta e l’archetipo di respiro (inspirazione-espirazione)? Sembra evidente che l’archetipo di respiro, costituito da due parti (inspirazione-espirazione), è sicuramente il primo elemento di “logica” presente nella memoria profonda della mente; si potrebbe obiettare che anche un battito cardiaco è composto di sistole e diastole: ma la sua struttura è fissa, è impossibile modificare volontariamente la durata di ciascuna delle due parti, come invece già le prime manifestazioni elementari di logica mentale dovranno permettere. Successivamente, quando un bimbo acquista improvvisamente coscienza di sè ed è in grado di “rispondere” ad un richiamo (o addirittura al proprio nome), ecco il contemporaneo apparire e fissarsi dell’archetipo domanda-risposta, che poi dovrà arricchirsi di tutti gli attributi logici man mano che procede lo sviluppo delle rielaborazioni mentali. Probabilmente l’acquisizione dell’archetipo domanda-risposta avviene mediante un meccanismo di arricchimento dell’archetipo di respiro (inspirazione-espirazione).
L’archetipo esprimente emozionalmente il senso di dubbio è forse generato dalla prima “incertezza” della vita (i primi passi insicuri mossi?): la risposta musicale ad esso associata è evidentemente data da una breve sequenza di note musicali “che tornano su se stesse” e che distano l’una dall’altra un semitono, al massimo un tono (ciò derivante, nell’interpretazione psicologica, dalla necessità di “appoggiarsi all’immediatamente vicino” nel momento dell’insicurezza).
L’archetipo “domanda” è strutturalmente molto simile all’archetipo di “dubbio” da cui si differenzia perchè le note “che tornano su se stesse” possono distare anche due o più toni (a seconda del maggior o minor grado di “dubbio” insito nella domanda).
L’archetipo di “impassibilità” o “continuità” o “attesa”: probabilmente, una unica nota prolungata, non di sottofondo, ma ben udibile anche se contemporaneamente ad altre; è caratterizzato dall’assenza di “ritmo”, di interruzioni di frase, e, per tutto il tempo che dura, tutto è cristallizzato come in una “eterna inspirazione”.
Gli archetipi “di segno” e “di colore” dovuti alla astrazione visiva di immagini eventualmente colorate saranno analizzate nel capitolo dedicato alla percezione visiva.
E’ pure ipotizzabile l’esistenza dell’ “archetipo di silenzio” che dovrebbe coincidere con l’archetipo “assenza di archetipo”.

7.8 – Altri archetipi: onomatopeici, comportamentali

Esistono poi gli archetipi “onomatopeici”, impressi nella mente da determinate situazioni dell’uomo o della natura; ad essi si riconduce certa musica che “mima” dette situazioni (rumori di tuono, scalpitìo di cavalli, ritmi di marcia, suoni di tromba per un annuncio, etc).
Man mano che la mente si forma e acquisisce le funzioni proprie, possono imprimersi rielaborazioni di archetipi correlate con logiche comportamentali: il senso del dovere, con le prime “regole” da seguire. Si sviluppa una logica delle azioni e delle situazioni, che poi in musica si tradurrà in elementi discorsivi che intercaleranno le rielaborazioni di archetipi sensorio-emozionali, ma che comunque sarà alquanto difficile distinguere dalle rielaborazioni medesime. Come dicevamo, occorrerebbe fare una ricerca ed una elencazione archetipica completa.

7.9 – Analisi ritmico temporale degli archetipi

Gli archetipi hanno un “tempo proprio” ? Dato che sono stilemi musicali, spesso rappresentabili con più note musicali, è possibile variarne il tempo di esecuzione senza snaturarli?
Diciamo subito che ogni individuo, nel ricevere i propri archetipi, attua modalità sempre diverse, per cui è pensabile che gli stessi archetipi siano “diversi” da uomo a uomo. Ma “quanto” diversi ? E’ presto detto: la loro diversità non deve essere tale da impedirne il riconoscimento; tutti gli uomini debbono poter riconoscere gli archetipi altrui come se fossero i propri. Questo impone che il tempo musicale che scandisce lo stilema archetipico non vari in più o in meno oltre il dieci-quindici per cento del valore normale per ciascun uomo: entro questa fascia siamo certi che il riconoscimento da parte di ognuno sarà possibile. In fondo, la natura stessa ci aiuta: gli uomini possono “riconoscere” i loro simili purchè le differenze tra loro siano contenute.
Ad esempio, i tratti somatici (altezza umana, dimensioni esterne varie di organi, quali bocca, naso, orecchi etc, distanze varie tra organi, quali gli occhi, orecchi etc) non possono superare la soglia indicata: il patrimonio genetico ci assicura che normalmente non possono nascere individui i cui occhi distino tra loro cinque o trenta centimetri. La stessa cosa deve avvenire per gli stilemi archetipici: quindi, dal momento che una composizione musicale è un susseguirsi di forme archetipiche e di loro rielaborazioni, esiste una interpretazione “base” (ben specificata dagli autori, che di solito forniscono il “tempo metronomico”) la quale non può essere troppo variata; questo impone ai Direttori d’Orchestra un rispetto dei tempi metronomici e una moderazione nelle licenze interpretative; si tratta, in fondo, di effettuare i criteri interpretativi laddove si possono fare senza alterare il linguaggio archetipico; ad esempio, la lunghezza maggiore o minore delle corone, il distacco più o meno accentuato tra brani diversi che debbono raccordarsi con una sensibilità “ad libitum”, i “crescendo”, i “diminuendo”, i “fortissimo”, i “pianissimo”, sono tutte cose sulle quali il Direttore può decidere.
Ma la velocità di un intero tempo, o di parti di esso, deve assolutamente rispettare la volontà dell’autore, o, in mancanza di indicazioni, deve rispettare lo stilema archetipico di base: ad esempio, se è “pianto convulso”, è ben noto il tempo “proprio”: non è possibile “raddoppiare” questo tempo senza snaturare il significato stesso della musica che viene proposta. E non soltanto l’interprete ha la possibilità di variare il tempo di tutta una frase musicale, ma può variare, all’interno della frase, il tempo proprio e quindi il ritmo stesso dello stilema archetipico, rendendolo di difficile riconoscimento e assimilazione da parte dell’ascoltatore: ad esempio, una lettura più “veloce”, un ritmo più “rapido” degli archetipi, opera una “compressione” degli stilemi archetipici e delle loro rielaborazioni, con conseguente perdita di definizione dell’intero messaggio musicale, mentre una lettura e un ritmo più “lento” ha il risultato di “snervare” gli stilemi, cioè gli elementi del pensiero musicale, con conseguente perdita di sintesi e quindi difficoltà di comprenderlo.
A questo proposito, si presenta particolarmente interessante uno studio che viene condotto presso alcune Università, e riguardante la possibilità di stabilire univocamente la lettura e l’esecuzione ritmico-temporale degli archetipi di base mediante l’utilizzo della Teoria della Informazione e della Comunicazione. Come è noto, durante una “comunicazione” i segnali emessi dalle sorgenti sonore (o di altro tipo) vengono captati dai ricevitori dopo aver attraversato un mezzo di propagazione; si può schematizzare il processo come una sequenza “sorgente-canale-ricevitore” attribuendo al “canale” tutte le qualità del mezzo in cui avviene la propagazione, quali, ad esempio, attenuazione, distorsione, disturbi sistematici o casuali etc, del segnale (sonoro o elettromagnetico) prodotto dalla sorgente.
Nello studio delle comunicazioni, vengono applicate le teorie di Wiener e di Shannon (1.2), con le rispettive formulazioni matematiche, che forniscono le caratteristiche del segnale ricevuto (in funzione delle alterazioni prodotte dal canale), e danno con sufficiente esattezza informazioni dettagliate sulla sua differenza dal segnale inizialmente emesso. Per ottenere ciò, è necessario interporre, tra sorgente e canale, un “codificatore”, e, analogamente, tra canale e ricevitore, un “decodificatore”: tali strumenti hanno la funzione di “adattare” al canale di trasmissione i segnali emessi e ricevuti; talvolta è necessario trasformare il segnale in “sequenze di numeri digitali”, che si prestano meglio dei segnali analogici alla trattazione (anche probabilistica) della informazione in essi contenuta (3).
Come utilizzare queste teorie per lo studio della “distorsione” degli archetipi?
E’ molto semplice. Sostituiremo la sequenza “sorgente-canale-ricevitore” con la sequenza “compositore-orchestra-ascoltatore”, notando che il compositore è “sorgente” di musica “non distorta”, rilevabile da una lettura assolutamente fedele della partitura musicale e/o da specifiche notazioni appostevi (tempi metronomici, note scritte di carattere psicologico o interpretativo che debbono trovare riscontro oggettivo nella tipologia degli archetipi usati, etc), mentre l’orchestra (col suo direttore) è, in effetti, il “canale” realizzativo che permette all’ascoltatore (“ricevitore”) la ricezione della musica, introducendovi o meno delle differenze (“distorsioni”) rispetto ad una lettura assolutamente fedele.
Le formulazioni matematiche (4) della teoria della comunicazione permettono di rilevare e quantificare le differenze rispetto alle forme archetipiche originarie individuando un “tempo proprio di esecuzione” dell’archetipo che rientri nei limiti della comprensione “psicologica” dell’archetipo medesimo, e permettono di giudicare se l’ascolto può effettivamente consentire la percezione esatta di tali forme (anche se con qualche approssimazione lecita, dovuta alla “interpretazione” direttoriale) oppure se la distorsione introdotta crea delle insanabili fratture a livello psicologico impedendone la comprensione a causa di una perdita di definizione o di una perdita di sintesi del messaggio. Gli studi sono in corso, ma si presentano di notevole interesse.

7.10 – Individuazione e rivelazione degli archetipi

Non dovrebbe essere impossibile nell’ambito della moderna neurofisiologia cerebrale la individuazione e rivelazione di stilemi archetipici, presenti nel sistema recettivo cerebrale sotto forma di rappresentazioni disposizionali, specie se gli stilemi cercati sono quelli dovuti a circuiti neurali innati. Dovremmo sottoporre un soggetto ad analisi cerebrale mediante elettroencefalografo connesso con NMR, od altra apparecchiatura, in grado di individuare e misurare la sua reazione a stimoli profondi. La metodologia, che dovrà essere messa a punto da specialisti, dovrebbe prevedere di sottoporre il soggetto ad una stimolazione neutra di base, intervallata da una serie di stimoli sonori e/o luminosi costituiti da impulsi raffiguranti uno stilema archetipico prescelto (ad esempio l’archetipo di pianto convulso: tà-tatà-tatà-tatà) e aventi il suo ritmo e il “tempo proprio”. Le sequenze di stilemi dovrebbero venire leggermente variate, per ricercare quella tipica propria del soggetto; si tratta poi di misurare la reazione individuale sia alla stimolazione di base che a quella delle varie sequenze di stilemi, per individuare, dalle forme d’onda riemesse, la eventuale forma d’onda “di risonanza” che ci confermerebbe la individuazione dell’archetipo. Può darsi che l’analisi vada condotta sotto ipnosi o sotto leggera anestesia, per interrompere i circuiti coscienti e razionali che potrebbero “mascherare” l’archetipo o impedirne l’emergere: Occorre fare particolare attenzione agli stimoli cui sottoporre il soggetto, dato che dovremo distinguere e riconoscere la “risposta archetipica” da risposte casuali dovute a stimoli sensoriali “periferici” non profondi. Successivamente, se viene determinata una risposta di risonanza, occorre ripetere l’esperienza sottoponendo il soggetto agli stessi stimoli “mimati” musicalmente, cioè riprodotti, nella parte sonora, da diversi strumenti musicali: dovremmo sempre avere la stessa risposta, indipendentemente dagli strumenti usati, dal momento che si cerca un archetipo. La ricerca dovrebbe continuare su diversi soggetti, per una comparazione dei risultati, e sopratutto per rilevare se le risposte di risonanza mostrano una “variazione” di ritmo e di tempo, nell’archetipo prescelto, da individuo a individuo. In ogni caso, non dovremmo rilevare variazioni superiori al dieci-quindici per cento, come sembra indicare la teoria della comunicazione.

7.11 – Arricchimento e universalità dell’archetipo

Altro argomento della massima importanza è la “universalità” dell’archetipo, che deve potersi “riverberare” su ciascun senso preposto alla sua espressione; questa è condizione essenziale perchè dallo stesso archetipo possano scaturire le varie espressioni artistiche (pittura, scultura, letteratura, musica, etc). Abbiamo accennato che l’archetipo inizialmente acquisito mediante acquisizioni ritmico-sonore (“musicali”), viene successivamente “arricchito” da acquisizioni dello stesso tipo ma provenienti da altri sensi. Inoltre, potrebbe darsi che il processo avvenga non solo mediante altre acquisizioni archetipiche ma anche mediante rielaborazioni mentali che si “aggiungono” all’archetipo iniziale. Intendiamoci, come abbiamo detto, l’archetipo universale così “arricchito”, non è da pensarsi come “avente una struttura derivante dalla somma di diversi archetipi” ma di fatto è realizzato da un assieme (configurazione) di sinapsi che controllano rappresentazioni disposizionali permanenti (anche acquisite in tempi successivi).
La definizione “arricchito”, dicevamo, va riferita alle modalità temporali di acquisizione dell’archetipo; facciamo un esempio: l’archetipo di dolcezza, acquisito da un bimbo appena nato e restituito inizialmente mediante un suono (tàa), viene integrato dagli stimoli provenienti da una carezza, e poi da uno sguardo dolcissimo e forse dal profumo della madre: questa “integrazione” dell’archetipo avviene sicuramente in tempi diversi, ed è dovuta ad una formazione di rappresentazioni disposizionali provenienti dai circuiti neurali innati connessi con i diversi organi sensori di ricezione, che viene (a integrazione completata, magari secondo schemi genetici prestabiliti) successivamente “definitivamente archetipizzata” in modo che difatto non esiste più l’ “archetipo incompleto” precedente, anche se sarà neuralmente possibile richiamare le singole espressioni dell’archetipo (che in seguito diverranno le protagoniste delle diverse arti).
Certamente, la espressione dell’archetipo in una opera d’arte necessita di “attuazioni tecnologiche” diverse a seconda del tipo d’arte in cui si esplica. Se è pittura, l’archetipo di dolcezza potrà svilupparsi nei contenuti (ad es. una raffigurazione di donna o uomo che guarda un oggetto del proprio amore con dolce intensità) e allora occorrerà sicuramente una rielaborazione mentale che crei lo scenario ed i protagonisti; oppure potrà svilupparsi nella forma espressiva richiamandosi direttamente all’archetipo (ad es. pennellate molto lievi, con tonalità di colore estremamente vicine che quasi si integrano, a formare una specie di onomatopeia cromatica dell’archetipo musicale); oppure nell’uno e nell’altro modo contemporaneamente. Se è scultura, l’archetipo di dolcezza, analogamente potrà svilupparsi o secondo contenuti raffigurativi, o mediante forme estremamente levigate e quasi senza soluzioni di continuità (senza “scalini”), o con ambedue le modalità. Nella letteratura, poetica e non, l’archetipo di dolcezza si manifesterà sia tramite i contenuti concettuali, che lo “stile proprio” per esprimerli.

7.12 – Gli archetipi composti ed espansi

Assai spesso, nelle espressioni artistiche, e sopratutto nelle composizioni musicali, si trovano stilemi non riconducibili ad un singolo archetipo, che, pur avendo una indiscutibile unicità, purtuttavia risultano come “integrati” da altre forme archetipiche originali, quasi derivassero dalla “fusione” di due o più archetipi: li abbiamo definiti “archetipi composti”. Inoltre si trovano stilemi che offrono forme variate di un archetipo, e non sappiamo se siano rielaborazioni mentali successivamente “archetipizzate” realizzate dalla mente razionale cosciente o siano un prodotto esclusivo del subconscio: li abbiamo definiti “archetipi espansi”. Cercheremo di darne esemplificazione in seguito e li analizzeremo a fondo quando tratteremo con maggior dettaglio le differenze tra le funzioni della mente cosciente e quelle del subconscio durante la estrinsecazione di un’opera d’arte. L’importanza della “associazione” di più archetipi (anche se con le precisazioni di cui a 7.3) o della loro “espansione”, e la possibilità di archetipizzazione di dette “associazioni” assieme alle loro rielaborazioni razionali apparirà in tutta la sua evidenza quando analizzeremo il meccanismo di formazione della grande Arte, consistente in una composizione “unica” a livello subconscio di assiemi di archetipi associati, espansi, e loro rielaborazioni archetipizzate. Una grande espressione artistica (sia essa musicale, o pittorica, etc) può così risultare costituita anche da uno solo (o da pochi) elementi archetipici.

7.13 – Elencazione ed analisi musicale degli archetipi

Elenchiamo ora i principali archetipi trovati e analizziamoli musicalmente. Cercheremo di definirli attraverso gli stilemi suono-ritmo, e, quando possibile, attraverso le notazioni musicali, e loro esempi, che riporteremo tutte assieme in App.1 .
L’archetipo di respiro è forse il più difficile da definire: il suo suono è approssimabile ad uno stilema “aa-aa-ae-ee (inspirazione) – ee-ee-ea-aa (espirazione); la traduzione musicale è difficoltosa, causa la sua estrema variabilità: non è definita alcuna precisa durata, dato che il respiro può essere ampio, disteso, ma anche corto, affannoso; può quindi coinvolgere una intera frase musicale ovvero poche battute. In genere è composto di due parti (stessa logica della domanda-risposta), ma talvolta l’utilizzo è parziale (psicologicamente: solo inspirazione = “vita e attesa”; solo espirazione = “conclusione e morte”). Musicalmente, si parla spesso di frasi “di ampio (o di corto) respiro”, quasi in inconsapevole riferimento all’archetipo.
Il battito cardiaco può dar luogo all’archetipo di serenità se il cuore batte in condizioni normali (stilema: ta – tà, ta – tà, ta – tà;) oppure all’archetipo di ansia, paura, se il cuore batte velocemente (stilema: tattà-tattà-tattà;).
Dal pianto derivano gli archetipi di pianto convulso (stilema: tà-tatà-tatà;) e di pianto disteso (stilema: taàa-taàa;). Nel neonato il pianto è quasi sempre necessità fisiologica; vedremo in seguito il riscontro psicologico nell’adulto.
La prima visione di una “caduta prolungata” di qualcosa o di qualcuno accompagnata da senso di impotenza a modificare ciò che sta accadendo, imprime nella mente l’archetipo di ineluttabilità (stilemi: tata-tàa oppure tatata-tàa); di solito, le prime due (tre) note sono uguali ma possono esservi introdotte rielaborazioni con note diverse, per variare o diluire il messaggio; dipende dal “genio” del compositore vestire l’archetipo di note opportune e inserirlo in un contesto armonico caratterizzante la specifica situazione.
Il primo tenero richiamo materno, quasi una carezza sussurrata, fatta di due note decrescenti distanti un semitono, genera l’archetipo di dolcezza (stilema: tàa), che verrà ben presto riemesso dal neonato: via via che le due note decrescenti distano più di un semitono, la dolcezza diminuisce e diventa richiamo, volto all’ottenimento di qualcosa. Analizzeremo in seguito le rielaborazioni di questo archetipo.
Il primo spavento dovuto ad un urlo prolungato genera l’archetipo di terrore (stilema: taaàa).
La reazione a questo spavento genera l’archetipo di forza (stilema: ttàa, ttàa) arricchito in seguito da elementi onomatopeici.
Dagli archetipi primigeni emozionali vengono poi acquisiti, per elaborazione mentale logico-matematica, gli archetipi numerici: la traduzione musicale dell’archetipo numerico consiste in uno stilema ritmico accoppiato a sequenze di note; possiamo riconoscere l’archetipo unitario (Io=1; stilema: ta), l’archetipo binario (Io e la Mamma = 2; stilema: tàta), l’archetipo ternario (Io e altri = 3; stilema: tàtata), il quaternario (stilema: tàtatata) etc.
Dagli archetipi emozionali di “altezza” e di “profondità” scaturiscono gli archetipi logici di “salita” e di “discesa” (psicologicamente: per esorcizzare e dominare l’emozione con meccanismi razionali), la cui traduzione musicale consiste in scale di note ascendenti e discendenti; e qui è ipotizzabile una differente “velocità” di salita o discesa, data dalla distanza delle note nelle scale musicali ascendenti o discendenti: un semitono, un tono, più di un tono, etc. Questa “velocità” non deve essere confusa con i tempi più o meno veloci della loro esecuzione musicale, che evidentemente sono dovuti a rielaborazioni mentali dell’archetipo.
Dalla emozione dovuta all’incertezza scaturisce l’archetipo logico di dubbio: nella traduzione musicale, una breve sequenza di note “che tornano su se stesse”, che distano l’una dall’altra un semitono, al massimo un tono (stilema: ta-ti-ta).
Quando all’incertezza si associa la curiosità nasce l’archetipo di “domanda”, strutturalmente molto simile all’archetipo di dubbio, da cui si differenzia più o meno nettamente quando le note “che tornano su se stesse” distano più di un tono (quasi che la curiosità vincesse l’incertezza); ma l’archetipo di domanda è un vero archetipo o una “espansione” dell’archetipo di dubbio? O addirittura una sua rielaborazione mentale?
Molto spesso nella musica si trova un archetipo “domanda” seguito immediatamente da una sequenza di note esprimenti logicamente una “risposta”: formano un unico archetipo composto “domanda-risposta”? Di solito, il gruppo (o i due gruppi) di note “che tornano su se stesse” terminano generalmente su una nota uguale a quella iniziale. In ogni caso, la domanda, contenente quasi sempre elementi di dubbio, si esprimerà musicalmente attraverso note distanti un semitono, al più un tono, mentre la risposta, se dubbiosa o evasiva, vedrà analogamente note distanti un semitono od un tono; altrimenti, su risposta sicura, le note potranno anche distare due, tre, o più toni ( psicologicamente: minor necessità – o addirittura rifiuto – dell’ “immediatamente vicino”).
E’ interessante un parallelo con la metrica greca: l’archetipo di dolcezza è nel trocheo o nel dattilo (rielaborazione); l’archetipo di serenità nello spondeo, l’archetipo di ansia, di angoscia è nel giambo più volte ripetuti; l’archetipo di forza solenne (rielaborazione) e di ineluttabilità nell’anapesto.

8.1 – Il laccio della mente razionale

Un bimbo appena nato, e almeno fino a sei mesi, “profuma di archetipi” (sopratutto percettivo-musicali): dopo averli appresi, anche se solo parzialmente configurati ed embrionalmente rielaborati, li riemette con i mezzi a sua disposizione (in prevalenza suoni vocali), prima di iniziare la riacquisizione della strutturazione razionale mentale cosciente definitiva, dovuta alla affabulazione e alla assimilazione sistematica della realtà (1) impostagli dai genitori e dall’ambiente circostante, necessaria d’altronde alla creazione di un linguaggio “di relazione” per mezzo del quale imparerà a comunicare con i suoi simili. Il bimbo non ha bisogno del contributo del subconscio (come l’adulto) per ritrovare emozionalmente i suoi archetipi, anzi, probabilmente non ha ancora neppure il collegamento con la funzione inconscia, che noi ipotizziamo si sviluppi, e in seguito si manifesti, quasi per reazione alla strutturazione mentale cosciente imposta. Inizialmente, un cervello “apprende” per scansioni ritmico-musicali, che divengono il suo “linguaggio assoluto”; questo si riverbera in linguaggi differenziati su tutto lo scibile. Durante il processo avviene, come dicevamo, la strutturazione razionale mentale, che ha come fondamento l’impianto degli archetipi strutturali, ritmici, numerici, logici, “estratti” dagli archetipi sensorio-emozionali e utilizzati in ogni attività mentale. Questi archetipi sono ben noti alla mente, che li utilizza in modo automatico nella sua normale attività; la mente cosciente può (2), con i già visti meccanismi di richiamo delle immagini mentali, essere sede razionale di emozioni dovute alla rielaborazione di archetipi sensorio-emozionali; ma questi debbono forzosamente sottostare, nella loro estrinsecazione cosciente, alle modalità strutturali -ormai acquisite- della mente stessa, che ne condiziona il riaffiorare rielaborandoli logicamente e ne imprigiona in circonvoluzioni razionali tutte le potenzialità esplosive. Questo, per noi, costituisce il cosidetto “laccio della mente razionale”; esso impedirà per sempre, all’essere umano esplicante le normali attività razionali, una libera e automatica riespressione degli archetipi emozionali, che “torneranno fuori”, riaffioreranno nettamente integri e originalmente collegati, solo durante le “genuine espressioni artistiche”, le “folgorazioni” (da noi definite “big-bang”), probabilmente col contributo determinante del subconscio: il comune linguaggio razionale (e molto spesso la frase musicale articolata), anche se di notevole grado espressivo e di grande valore culturale, contiene solo rielaborazioni mentali di questi archetipi. Sembra anche evidente che, prima di apprendere il linguaggio razionale, il bimbo debba apprendere il “linguaggio” del complesso archetipico: è impossibile infatti dare una denominazione esatta (quale quella effettuata tramite parole e concetti) a sensazioni mentali ed emozionali senza possederle già sotto forma di archetipo, anche se embrionalmente rielaborato; certamente, in seguito, l’abitudine a denominare le varie realtà e a usare il normale linguaggio parlato per comunicare le proprie idee e sentimenti, formerà, come abbiamo accennato, una stratificazione permanente, probabilmente nei magazzini mnemonici delle rielaborazioni razionali degli archetipi, che, a nostro parere, impedirà la trasmissione diretta di “messaggi emozionali profondi”, possibile soltanto tramite il “big bang” artistico, con l’intervento del subconscio. Il procedimento descritto viene seguito strettamente dai circuiti neurali nel realizzare le varie rappresentazioni disposizionali: quelle che contengono le informazioni strutturali (numeriche, logiche etc) estratte dagli archetipi sensorio-emozionali, che utilizzerà la mente razionale, sono state fissate nei magazzini mnemonici successivamente alla realizzazione delle rappresentazioni disposizionali direttamente causate dalle acquisizioni sensorio-emozionali e alla loro “metabolizzazione”, e ora fanno come “da schermo” ad esse e al richiamo e alla ri-evocazione che, sotto forma di immagini mentali, il cervello può – tramite le sinapsi forti o deboli – farne.
Una interessante constatazione del “laccio della mente” è possibile farla sui bimbi autistici: molti di loro mostrano grave ritardo nella comunicazione; ancora, a tre anni, sono incapaci di usare il linguaggio; ebbene, alcuni di loro, a quella età, mostrano contemporaneamente una eccezionale abilità per il disegno, riuscendo a fissare, in pochi tratti, interi eventi molto ricchi emozionalmente e ben compiuti dal punto di vista figurativo; ma quando, sui nove-dieci anni, frequentando scuole speciali, apprendono ad usare il ragionamento logico e finalmente cominciano ad usare il linguaggio parlato, perdono purtroppo la grande abilità che mostravano nel disegno, che diviene di qualità scadente e simile a quello dei bimbi normali. Evidentemente, quegli archetipi, che era facile, piacevole e automatico evocare con la partecipazione automatica delle funzioni inconscie, vengono “bloccati” non appena attivate le funzioni-schermo della mente razionale.
Ma chi richiama gli archetipi? La coscienza, il complesso mente – sistema nervoso, il subconscio, indipendentemente tra loro o in connessione ? E’ possibile farlo utilizzando solo i circuiti di by-pass? In neurofisiologia sono già stati elencati e reperiti tutti i sistemi di richiamo, le loro modalità? Quando, nel sistema nervoso umano, divengono effettivamente strutturati e funzionanti i sistemi di reti neurali in grado di discriminare, ricevere, selezionare i diversi archetipi e le loro rielaborazioni mentali se fissate nei magazzini della memoria profonda ? A queste domande non è facile dare attualmente risposta, anche se ci sono interessanti ipotesi che vaglieremo in seguito.

8.2 Le rielaborazioni e le autonome elaborazioni mentali

Diceva Pascal che il cuore ha delle ragioni che la mente non può comprendere: in effetti, aveva avuto per primo l’intuizione dell’esistenza di una divaricazione incolmabile tra i due stati, emozionale e razionale. L’individuo consapevole e autocosciente ha a disposizione una mente razionale che è in grado sia di richiamare le emozioni dal “magazzino” delle rappresentazioni disposizionali che di percepire quanto il subconscio, stimolato dalla concentrazione profonda, restituisce. Ma occorre rimarcare che l’emozione “in sè” è assolutamente “incomprensibile” per la mente razionale: dalla sua “metabolizzazione” è nata la struttura razionale della mente medesima, ma essa ora ne è come prigioniera, e non può far altro che ripercorrere – in fondo, senza comprenderli – i ricordi delle emozioni e tentare di ricostruirli alla sua maniera. La mente razionale, una volta acquisite le capacità strutturali e la possibilità di applicarle alla realtà mediante la formazione di immagini mentali “fatte a sua immagine e somiglianza”, può anche procedere a rielaborazioni mentali delle immagini dovute agli archetipi primigeni emozionali immagazzinati, nonchè ad autonome elaborazioni “tecniche” di archetipi numerici e logici, che in seguito troveremo legate alla formazione del linguaggio orale e dei concetti base per la comunicazione umana, ma non può assolutamente vivere una “emozione” che non comprende e che non è razionalizzabile(non computazionale), anche se da essa ha tratto la linfa logico-strutturale. Quando una mente vuol comunicare ad altri uno stato d’animo emozionale, in realtà non fa altro che richiamare le rielaborazioni degli archetipi emozionali che trova nelle rappresentazioni disposizionali depositate nella sua memoria e cercare di trovare negli altri una eco di rielaborazioni analoghe e scambiare così una parvenza di vibrazione comune. Durante l’evento artistico, poi, la mente può solo “ordinare”, dare una logica (linguaggio) al susseguirsi degli archetipi evocati nel subconscio e trasmettere “inconsapevolmente” il messaggio: tanto chi lancia che chi riceve, inizialmente rielabora, o percepisce solo il linguaggio; ma non può possederne il messaggio se non si pone in un “ascolto inconsapevole”, in cui, finalmente, viene posta a tacere la mente razionale e vengono utilizzati gli strumenti della profonda concentrazione, dell’intuizione, del subconscio. L’attività precipua della mente razionale è la rielaborazione: ora, come dicevamo, è nostra opinione che le rielaborazioni e le autonome elaborazioni mentali formino di fatto una “stratificazione” di rappresentazioni disposizionali che separa la zona dei magazzini della memoria “profonda” (sede delle rappresentazioni disposizionali dovute ad archetipi emozionali puri) dalla zona dei magazzini della memoria “normale” della mente (sede delle rappresentazioni disposizionali dovute alla impressione, sui circuiti neurali modificabili, degli eventi della vita). Se ciò è vero, anche nella musica, le rielaborazioni archetipiche e le elaborazioni tecniche mentali appartengono a questa stratificazione, per cui una realizzazione musicale (o artistica in genere) potrà essere formata sia da archetipi puri, composti o espansi (provenienti dalla memoria profonda tramite il subconscio) che da rielaborazioni razionali o da autonome elaborazioni compiute nelle specifiche sedi mentali, e sarà possibile procedere ad una analisi e classificazione del livello artistico di una composizione (vedi 12.1) a seconda della densità delle diverse componenti.

8.3 – Esempi di rielaborazioni mentali di archetipi

A proposito dell’ “archetipo di dolcezza”: abbiamo detto che è definito dal primo suono-carezza udito, che è “tàa”, due note di cui la prima accentata, distanti un semitono decrescente; questo suono è anche emesso dalla madre mentre si rivolge al proprio bimbo, e il bimbo nei primi mesi di vita lo riemette modulandolo in vario modo. La rielaborazione mentale dell’archetipo iniziale conduce ad una dolcezza che può divenire “decrescente”, cioè via via più “aspra”, se le note distano più di un semitono (dal I° livello al XII°- ottava): in effetti il bimbo riemette suoni di questo tipo quando vuole a tutti i costi attirare l’attenzione. Occorrerebbe analizzare in dettaglio ciascun intervallo di note discendenti e porlo in relazione con frasi musicali che lo contengono, per coglierne con esattezza l’aspetto psicologico e individuarne il significato (vedi App.1) .
Ma il vero archetipo di “asprezza”o di “durezza” (che non sappiamo bene se è archetipo o rielaborazione anch’esso), emesso e riacquisito durante uno “sforzo”, una difficoltà, è definito, inversamente all’archetipo di dolcezza, da due note distanti un semitono crescente, e la sua rielaborazione mentale (che esprime l’intervallo crescente di due note distanti più di un semitono), man mano che l’intervallo aumenta, esprime la crescita della asprezza (dal I° al XII livello – ottava), che diventa durezza, dolore fisico, rabbia, paura, e anche terrore (che noi abbiamo definito autonomamente come archetipo, ma che potrebbe venir approssimato da configurazioni di questo tipo). Abbiamo riportato in App.2-a un interessante esempio di composizione che utilizza numerosi archetipi di asprezza (DVORAK – Nuovo Mondo – inizio 4° tempo).
Persino durante le effusioni amorose di un normale accoppiamento maschio-femmina si odono grida e suoni modulati che quando sono espressione di sensazioni dolcissime mimano esattamente l’archetipo di dolcezza nella sua struttura “più dolce” (i due suoni distano un semitono decrescente) che può divenire via via più “aspro” a seconda della “evoluzione” dell’accoppiamento, mentre quando si raggiunge l’acme e anche successivamente, si possono udire chiaramente le rielaborazioni mentali dell’archetipo di asprezza fortemente crescenti, indice di un piacere “aspro” che ha raggiunto la soglia del dolore fisico.
Tornando all’archetipo di dolcezza, esso può essere inserito in un contesto musicale formato da tonalità minori, e allora diviene dolcezza “triste”; se il contesto è essenzialmente in tono maggiore, la dolcezza diviene “serena”, e anche “gioiosa”; se il contesto musicale è atonale o realizzato elettronicamente (sintetizzatore), allora, per differenziare le due “dolcezze”, ci si affida a strumenti musicali (reali o sintetizzati) diversi, utilizzando anche metodologie onomatopeiche.
L’archetipo di dolcezza può venire “espanso” in tenerezza, mediante una onomatopeia con i moti (fremiti) del corpo che lo caratterizzano (stilema tàatàa – vedi App.1), e la tenerezza può divenire più dolce o più “aspra” man mano che l’archetipo da cui deriva si allontana dal 1° livello; al solito, il contesto musicale dirà se è tenerezza triste o serena.
Analogamente, a proposito dell’ archetipo di pianto convulso e di pianto disteso: nel neonato il pianto può essere necessità fisiologica senza altre implicazioni, almeno nei primi tempi; ma nell’adulto è dovuto a profonda commozione dell’anima e viene necessariamente associato a dolore o tristezza.
In quest’ultimo caso, probabilmente mediante una rielaborazione mentale, può trasformarsi in archetipo (rielaborato o espanso?) di tristezza (stilema: tàatatàa) divenendo portatore di tristezza generalizzata; e, attraverso rielaborazioni che includono musicalmente l’intervento armonico di tonalità minori e di opportuni passaggi cromatici, può permeare tutto un pensiero musicale. Naturalmente, il pianto può essere di dolore, ma anche di rabbia o di gioia: opportune rielaborazioni, e sopratutto il contesto armonico-musicale, esprimeranno con esattezza queste sensazioni.
L’archetipo di pianto è di solito costituito dalla stessa nota ripetuta tre volte, con la possibilità che la seconda e terza nota differiscano di un semitono, o al massimo di un tono dalla prima (confrontare i diversi pianti (embrionali rielaborazioni?) di un bimbo nei primi mesi di vita.
Ad esempio, l’archetipo di pianto convulso si può udire in GRIEG, Peer Gynt, 2° tema del “Canto di Solveig” (App.2-b), mentre l’archetipo rielaborato di tristezza si può udire in BEETHOVEN, 3° Sinfonia (Eroica) – 2° tempo-Marcia funebre, ove la rielaborazione dona una grande solennità; oppure in CHOPIN, Sonata per pianoforte n° 2 in Si bemolle (marcia funebre), ove la rielaborazione dona grande intimità (App.2-c). Un interessante esempio di archetipo di tristezza “espanso” si ha in DVORAK, Danza slava n°10 in Mi bemolle (App.2-d). L’archetipo di ineluttabilità (e sue splendide rielaborazioni) è in BEETHOVEN, 5° Sinfonia, inizio e gran parte del primo tempo (App.2-e). L’archetipo di forza spesso viene rielaborato onomatopeicamente, con strumenti musicali opportuni, che possono metterne in evidenza il carattere di solennità ieratica (sentimento religioso) o laica (trionfale o di altro tipo); esempi in BRAHMS, 4° Sinfonia, inizio 2° tempo, o in HAENDEL, Musica per un fuoco d’artificio reale, inizio (App.2-f).
Dobbiamo avvertire che le notazioni musicali usate dai vari compositori per riprodurre gli archetipi sono estremamente variabili, a seconda dei tempi usati (due o quattro quarti, tre o sei ottavi, etc) e della velocità dei singoli movimenti dovuti al tempo metronomico segnalato nella partitura; ciò che non varia, è la struttura ritmico-sonica dell’archetipo e il suo tempo proprio (salvo lievi dilatazioni o compressioni ininfluenti per la sua percezione). Questo, per spiegare alcune ovvie differenze tra la nostra rappresentazione “standard” degli archetipi di App.1 e le rappresentazioni riportate in App.2.

8.4 – Esempi di rielaborazioni di archetipi logici

Abbiamo detto che il primo elemento di logica è presente nell’archetipo di respiro,che sembra prefigurare la logica dell’archetipo domanda-risposta. In numerosissime composizioni musicali sono presenti rielaborazioni di tale archetipo (e ciò è perfettamente naturale, dato che la mente razionale quasi automaticamente, e – diremmo – volentieri, compie rielaborazioni perfettamente adeguate alla sua struttura). Certamente, per la comprensione esatta del tipo e delle motivazioni della domanda, ed eventualmente della risposta, occorre sempre fare una analisi psicologica delle ragioni che hanno condotto un compositore all’inserimento e all’uso di tale archetipo. Alcuni esempi (vedi App. 2 e 3): BACH, Toccata e fuga in Re minore, inizio. DVORAK (1), Concerto per Violoncello e Orchestra in Si minore, inizio primo tempo.

8.5 – Un esempio di integrazione archetipale: la percezione visiva

Dovendo procedere all’esame delle modalità di “arricchimento” e integrazione degli archetipi ad opera di percezioni sensoriali diverse dal sonoro-musicale e, per noi, acquisite successivamente, può essere interessante compiere una analisi delle ipotesi ed esperienze sulla nascita della percezione visiva e sulle principali teorie esistenti al riguardo.
Analizzando le pitture rupestri vecchie di oltre 30.000 anni si può notare la loro composizione, fatta di segni verticali e linee curve, che rappresentano animali e talvolta rappresentano scene vissute; si pensa che questi messaggi servissero alla comunicazione tra gli esseri primitivi, prima ancora che esistesse un linguaggio della parola adeguato a denominare gli animali o a descrivere le scene; non occorreva una immagine accurata, bastava un segno e un contorno, per richiamare alla primitiva coscienza un animale e il relativo fatto accaduto. In effetti, Hubel e Wiesel(Premi Nobel 1981) (1, 2, 3) dimostrarono scientificamente la rispondenza della corteccia cerebrale a particolari stimoli visivi rappresentati da linee e bordi di particolare orientamento e dimensione: noi diremmo che sono stati ritrovati gli “archetipi di segno” (archetipi o rielaborazioni?) che la mente primitiva umana ha impresso e comunque rielaborato mediante la “metabolizzazione” di una percezione sensorio-emozionale, e che poi divennero per noi “indicazione genetica” per le attuali acquisizioni; pure i singoli colori sono stati “isolati” in tal modo, e sicuramente, in apposite rappresentazioni disposizionali facenti capo alle zone “visive” della corteccia cerebrale, sono contenuti tali archetipi o rielaborazioni, che ci aiutano nel riconoscimento visivo della realtà se richiamate come immagini mentali, o entrano prepotentemente nelle grandi espressioni artistico-pittoriche tramite il subconscio. Per analogia, molti linguisti (ad es. Noam Chomsky) postulano che la struttura profonda del linguaggio umano abbia molte similitudini con la struttura cerebrale e ne rifletta anche grammaticalmente le caratteristiche: per noi questo è naturale, dato che la stessa corteccia cerebrale (sede della mente razionale) si autostrutturò sulle astrazioni logico-razionali delle percezioni sensorio-emozionali, e condizionò così la struttura stessa del linguaggio parlato.
Tornando alla percezione visiva e alle sue implicazioni (4), ad opera degli psicologi dell’arte pittorico-figurativa sono state elaborate, da metà ‘800 ad oggi, varie teorie sulla organizzazione della percezione visiva nell’uomo e sulla sua restituzione in campo artistico. Le due più interessanti sono la teoria del costruttivismo e la teoria della Gestalt. Secondo i Costruttivisti, che si rifanno ai filosofi empiristi, una immagine visiva viene costruita di volta in volta mediante un processo di associazione di sensazioni visive elementari immagazzinate dalla nascita in poi nella memoria; questa teoria, sviluppata sopratutto da Helmholtz e da Gregory, fa discendere la percezione di una immagine visiva per confronto continuo (e soggettivamente pilotato) tra la informazione fornita dall’organo visivo (occhio e contiguo sistema nervoso) e le immagini percepite in precedenza e conservate in memoria: ogni oggetto che cade sotto la vista viene analizzato per confronto con quanto sensorialmente già acquisito, e può (o non completamente) essere riconosciuto e accettato; questa teoria lascia la responsabilità di quanto percepito esclusivamente all’osservatore, e si può definire “cognitivismo empirico”.
La teoria della Gestalt, invece, attribuisce la percezione visiva a schemi innati, uguali per tutti gli individui (Koffka, Wertheimer, Kohler), e di cui è possibile conoscere e studiare le caratteristiche. Questa teoria rifiuta l’idea della percezione visiva come somma delle sensazioni già immagazzinate e quindi scomponibile in esse: la percezione è il risultato della organizzazione di sensazioni innate piuttostochè una associazione di sensazioni empiricamente acquisite.
Le due teorie brevemente illustrate vengono applicate alla analisi delle opere degli artisti ed ognuna può ascrivere punti a suo favore, a seconda dei settori investigati.
Dal nostro punto di vista, notiamo immediatamente in ambedue le teorie la assenza di qualsiasi contenuto emozionale associato alla percezione visiva, quasi che questa fluisse miracolosamente e automaticamente nel cervello umano senza altre implicazioni, e venisse immagazzinata come in spezzoni di films (costruttivismo) o ritrovata e ricompresa seguendo tracce prefigurate (Gestalt). L’errore è sempre lo stesso: si parte dall’arte per analizzare l’arte e di riflesso si fanno ipotesi sul meccanismo umano di percezione e di riespressione, anzichè partire dall’uomo, dalla sua storia evolutiva, dalla sua struttura cerebrale-nervosa, e soprattutto dalle effettive modalità di percezione della realtà che involvono il sistema visivo solo successivamente ad altre percezioni (suono) e non possono quindi prescindere da quanto è stato prima impresso dagli altri centri di acquisizione sensoriale. Anche nella musica si è compiuto lo stesso errore: alcuni fisici e filosofi hanno studiato il fenomeno della acquisizione musicale a partire dalle leggi del suono e dalle qualità dell’orecchio, e individuano nelle caratteristiche “non lineari” dell’udito la causa della “rivelazione musicale”! Certamente, la “non linearità” costituisce fatto sicuramente importante per la distinzione delle singole note e per la costruzione armonico-musicale, ed è pure certo che la natura offre “modalità di acquisizione” che poi entreranno fondamentalmente a far parte delle “tecnologie e metodologie di espressione” individuale, ma non ne è schiava nè rende schiavo il cervello umano di dette modalità. Il suono senza connessione emozionale-cerebrale non diviene “musica”.
Per noi, solo partendo dall’uomo si possono comprendere le creazioni (anche artistiche) dell’uomo. Ribadiamo inoltre che per memorizzare una visione (indipendentemente dalla predisposizione genetica) occorre una percezione sensoria che produca “emozione”, e per “granuli emozionali” – da cui vengono estratti gli archetipi (o rielaborazioni) di segno e/o di colore – potremo poi ricostruire anche visivamente la realtà, o dar vita ad un fatto artistico; una percezione sensorio-emozionale non è mai solo “visiva”: la visione viene dopo il suono, e forse dopo la tattilità, il gusto, l’odorato; l’ “innato” della Gestalt non può essere solo visivo, ma “globale” o quanto meno “globalizzabile”, e per noi è impossibile concepire una teoria della “emozione puramente visibile” per studiare l’arte pittorica e figurativa.

8.6 Un esempio di generalizzazione tattile e visiva

La corrispondenza degli archetipi musicali di dolcezza e di asprezza nella sensorialità tattile umana è molto evidente: basta carezzare con un dito il pelo di un animale o la barba di un uomo alcune ore dopo che è stata fatta (o comunque superfici più o meno levigate) : archetipo di dolcezza, nel verso del pelo; archetipo di asprezza, controverso del pelo o della barba; e addirittura, se l’intervallo tra le due note è proporzionale ad una distanza più lunga da coprire nello stesso tempo, si percepisce la “dolcezza decrescente” e la “asprezza crescente” a seconda della velocità maggiore con cui si saggia il pelo o il contropelo.
La corrispondenza di detti archetipi nella visione e nell’applicazione pittorica ci porta, come abbiamo detto, verso l’osservazione di dipinti con pennellate aventi tonalità di colore estremamente vicine tra loro (aventi massima dolcezza se c’è una “logica” pittorico-figurativa decrescente con colori che vanno dal più scuro al più chiaro, o aventi minima asprezza se c’è una logica pittorico-figurativa crescente), ma che possono via via allontanarsi se la “dolcezza” diminuisce o la “asprezza” aumenta.
Si potrebbe facilmente trovare la corrispondenza nel campo degli odori e sapori, magari con apparecchi di misurazione dei medesimi e dei loro intervalli.
Come abbiamo detto, gli archetipi, inizialmente solo “musicali”, vanno arricchendosi e completandosi mediante le percezioni suddette man mano che cresce nel corpo umano la acquisizione delle sensorialità.

9.1 Archetipi e personalità umana

Come interferiscono le circostanze con l’acquisizione degli archetipi? Facciamo un esempio: quando un bimbo per la prima volta vede (e percepisce come entità a se stante) un animale, lo “assimila” e lo acquisisce nella memoria normale (acquistando la capacità di “riconoscerlo”) senza per questo “archetipizzarlo”; ma se la vista di questo animale è collegata ad una situazione sconosciuta e anormale, cioè ad una “emozione” (più o meno giustificata) dovuta al medesimo, allora entra in ballo l’archetipo di paura, che, se precedentemente impresso e dovuto ad altre percezioni emozionali, si riaffaccerà al comparire di quell’animale o della sua immagine, ma che, se non ancora impresso, si imprimerà per la prima volta nella memoria profonda della mente (mediante rappresentazioni disposizionali da circuiti innati) iniziando la sua strutturazione archetipale da questa visione e non da un suono (urlo) come avevamo ipotizzato nella versione “musicale” del medesimo archetipo. In ogni caso, in seguito, se la situazione di paura era ingiustificata, ci vorrà tutta la forza della parte cognitiva mentale per spezzare il fortuito e malaugurato “legame” tra la rappresentazione dell’animale e l’archetipo di paura!
L’esempio soprariportato, se generalizzato alle varie situazioni e ai vari individui, ci mostra come una particolare e diversa associazione percezione/emozione può contribuire alla costruzione di un “modello della realtà” altamente individualizzato: ora, la personalità umana ha sicuramente presupposti genetici, la sua strutturazione può essere parzialmente predeterminata, ma essa sicuramente risente del “modello individuale della realtà” quale si è venuto formando tramite le varie modalità di acquisizione successiva degli archetipi, che d’altronde influenzano anche le modalità di acquisizione della razionalità, dato che essa deriva dalla loro “metabolizzazione”. Questo mix noi pensiamo essere all’origine della personalità individuale, che verrà man mano influenzata anche dalla “storia” successiva di ciascuno. Constatiamo infatti che, anche se le “emozioni primarie” (o archetipi) sono uguali per tutti, la catena archetipica, che deriva all’essere umano appena nato dal susseguirsi delle acquisizioni, è invece assolutamente diversa, e questo è un fatto veramente fondamentale per la strutturazione della personalità individuale, anche se nell’ambito di uno schema genetico predeterminato; gli archetipi successivi al primo sono racchiusi in configurazioni neuroniche (rappresentazioni disposizionali) tra loro interconnesse, che risentono delle caratteristiche delle configurazioni precedenti: altro è acquisire l’archetipo di terrore dopo l’archetipo di dolcezza, altro è acquisirlo prima. Naturalmente, tutto ciò si riflette anche sul processo di razionalizzazione delle emozioni, per cui può venirne influenzato l’intero sviluppo cognitivo della mente.
In effetti, in accordo con tutte le scuole di pensiero sulla psicologia infantile e dell’età evolutiva, riteniamo anche noi che le acquisizioni della primissima infanzia sono estremamente delicate per lo sviluppo psichico dell’uomo. Non sappiamo se esista una predisposizione genetica che dia una metodologia di acquisizione successiva per gli archetipi e per le varie percezioni che raggiungono il bimbo prima e dopo la nascita, ma certamente, tra le possibili vie di acquisizioni ve ne saranno alcune migliori di altre; e tutto ciò che viene compiuto col minimo di traumi e di soluzioni di continuità dovrebbe essere preferibile.

10.1 Musicoterapia

L’ipotesi archetipica offre una interessante possibilità di interpretare gli effetti musicoterapeutici (1, 2) che sono stati osservati su pazienti di diversa tipologia.
Ci siamo posti la domanda su come possa essere influenzata la personalità, il dominio delle emozioni e il loro estrinsecarsi, in pazienti nei quali la “presentazione” iniziale degli archetipi primigeni sia stata insufficiente o addirittura “distorta” a causa di situazioni naturali che hanno provocato particolari traumi nel sistema di acquisizione e di metabolizzazione archetipica, al punto da favorire la creazione di rappresentazioni disposizionali neurali non congrue, non raffiguranti con esattezza la percezione sensorio-emozionale che le causava. Ebbene, se riusciamo ad individuare la tipologia del trauma, della “distorsione”, pensiamo che, sottoponendo il paziente a brani musicali contenenti le forme archetipiche espresse con esattezza in un contesto melodico-armonico adeguato, sia naturale che si ottenga l’effetto di un “massaggio” archetipico cerebrale, in cui viene riportato a livello normale l’equilibrio emozionale compromesso. Può darsi, però, che l’effetto duri poco: è da tener presente che le “nuove” forme archetipiche indotte dai brani musicali vengono immagazzinate in circuiti neurali modificabili e non permanenti, tantochè le emozioni via via richiamate alla coscienza dopo la terapia possono, dopo un tempo più o meno breve, scomparire, e comunque saranno sempre “sovrapposte” e condizionate da quelle precedenti dovute alle situazioni “distorte”, per cui dovremmo far ripetere spesso e quasi con continuità l’ascolto delle musiche “terapeutiche”: non sappiamo se le nuove forme archetipiche, in cui ormai entra da padrona la mente razionale, possano essere “definitivamente archetipizzate” e sovrapporsi totalmente alle precedenti “distorte” in modo da farle tacere per sempre. Certamente, durante la terapia, sarebbe consigliabile realizzare quell’ “ascolto inconsapevole” cui accennavamo in altro capitolo, e che potrebbe forse favorire una archetipizzazione; bisognerebbe insegnare prima al paziente, da parte del psicoterapeuta, a realizzare quella condizione di lieve perdita della coscienza. Ma sopratutto, individuare i brani musicali adatti a ciascun paziente.
Questo, quando occorra ripristinare un tipo di equilibrio propriamente emozionale.
Quando invece ci sia “distorsione” di tipo logico-strutturale occorrono altri brani musicali: non dimentichiamo che gran parte dei Compositori hanno usato spessissimo le loro eccezionali doti mentali di rielaborazione ed elaborazione autonoma: vedremo questo nel capitolo dedicato all’utilizzo dei diversi archetipi nei diversi periodi storici, dal Gregoriano ad oggi.
Ad esempio, Bach, e sopratutto Mozart, in gran parte delle loro composizioni hanno fatto uso quasi esclusivo di archetipici numerici, ritmici, logici etc e di loro rielaborazioni mentali, escludendo spesso le forme archetipiche emozionali dirette. Questa musica è necessaria per i pazienti affetti da incompleto o distorto uso delle qualità razionali, nella speranza di parziale (ma forse solo temporanea) riabilitazione. Un gruppo di scienziati americani ha constatato che su certi pazienti di non grande quoziente intellettivo l’ascolto di certi brani di Mozart fa aumentare il quoziente anche di nove punti: purtroppo l’effetto dura solo venti minuti. Tutto ciò è agevolmente spiegabile con le ipotesi soprariportate, che indurrebbero a ripetere spesso tale ascolto, ma stavolta non in forma “inconsapevole”, dato che dobbiamo “interessare” alla terapia la mente razionale; comunque, i soggetti da trattare, se giovani e in età scolare, potrebbero sempre sottoporsi ad un ascolto prima del compito di matematica !
Ci sono poi alcuni ascolti emozionali che influenzano il ritmo cardiaco: non dimentichiamo che ciascuno assume l’archetipo di “serenità” dal proprio ritmo cardiaco, e che spesso una esecuzione di brani musicali contenenti tale archetipo si presenta assai differente a causa delle sovrapposizioni introdottevi dagli interpreti, che a volte “snaturano” l’archetipo, o quanto meno lo eseguono con un tempo diverso da quello archetipizzato dal soggetto: sarebbe interessante ripetere l’esperimento con più soggetti contemporaneamente, registrando la modificazione dei loro ritmi; dovremmo trovare risultati diversi per ognuno, con diversità decrescente man mano che il ritmo cardiaco soggettivo è simile a quello presentato dall’interprete del brano musicale ( questo, nell’ipotesi che il ritmo cardiaco soggettivo attuale sia lo stesso di quello che fu “archetipizzato” dopo la nascita).
Altri ascolti influenzano il ritmo respiratorio: questo effetto dovrebbe essere più frequente, data la estrema diversità tra l’archetipo di respiro impresso alla nascita e il ritmo respiratorio attuale, se paragonati poi all’archetipo di respiro inserito nella composizione medesima (vedi 13.1, dedicato al linguaggio strutturale della musica).
Sembra anche che venga influenzata la quantità di endorfine prodotte dall’organismo, durante l’ascolto di talune musiche: dato che queste sostanze combattono il dolore, le musiche atte a incrementarne la produzione dovrebbero essere quelle che contengono archetipi di dolcezza, di grado massimo, in un contesto musicale di tonalità maggiori, e mai drammatico.
Ricordiamo infine che la “terapeuticità” della musica si fonda, per noi, solo e soltanto sul fatto che l’archetipo “sonoro-musicale” è alla base, al centro, della sfera archetipica, per cui esclusivamente per il suo tramite è possibile “manipolare” emozioni e strutture razionali imperfette. Ciascun archetipo viene “arricchito”, come dicevamo, da strutture provenienti da altri sensi, e solo assai tardi diviene “completo”: ma il suo nòcciolo è musicale, e probabilmente solo con la musica si possono avere effetti terapeutici eccezionali. Ciò non toglie che si potrebbe provare su adeguati pazienti un “bombardamento” di archetipi completi, con l’uso contemporaneo di altre forme d’arte esprimenti la stessa tipologia archetipica. Occorrerebbe anche indagare a fondo la cosidetta “Sindrome di Stendhal” e vedere su chi preferibilmente appare, e in relazione a quali specifiche situazioni e visioni.
Gli psicologi oggi parlano (7.4 – 1) di intelligenza “emotiva” e di come si possa raggiungere un equilibrio psichico infrangendo quello che abbiamo chiamato “laccio della mente razionale” mediante la riacquisizione di una sfera emotiva controllata razionalmente : praticamente, la tecnica, per noi, consiste in un “automassaggio di archetipi emozionali” capace di restituire una serenità interiore a volte compromessa dal “troppo” uso della sola sfera razionale.

10.2 – Metodologie di identificazione degli archetipi

Concludiamo questa parte dedicata agli archetipi indicando le metodologie per la loro identificazione. Gli archetipi possono essere identificati:

nelle espressioni sonico-ritmiche delle specie animali viventi, e soprattutto in quelle dei bimbi appena nati, e nei mesi successivi alla nascita, ma prima che si affacci la funzione razionale e si sviluppi un linguaggio strutturato;
nella mente dell’essere umano maturo, ove sono presenti in unione alle loro rielaborazioni razionali, dalle quali vanno separati, e quindi “estratti” e identificati;
nelle genuine espressioni dell’Arte in genere e della Musica in particolare, ove possono essere stati utilizzati ed espressi, ma anche qui spesso mascherati dalle rielaborazioni razionali e dalle autonome elaborazioni mentali dell’Autore.
Gli archetipi da noi elencati sono stati individuati con queste tre metodiche e mediante il loro paragone. E’ opportuno ricordare che gli archetipi, in quanto “grumi emozionali”, debbono il loro impianto cerebrale (e la loro fissazione in rappresentazioni disposizionali neuroniche) a un processo “non computazionale”, non riconducibile ad analisi razionali , e che, anche se inizialmente con caratteristiche solo “ritmo-soniche”, successivamente vengono “arricchiti” e integrati da tutte le altre notazioni sensoriali, prendendo una forma definitiva al termine del processo di acquisizione. Nell’essere umano, il processo di attribuzione agli archetipi di una “valenza psicologica”, provocato dal grado di coscienza raggiunto (la consapevolezza di sé e delle proprie emozioni), consentirà la loro contemporanea esplicazione ed utilizzazione non solo nella musica, ma in tutte le altre arti, e, in forma rielaborata, in tutte le attività della vita.