Ascolto comparato 3° tempo

In questa pagina è possibile comparare le due versioni, osservando allo stesso tempo lo spartito della parte del violoncello

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Analisi delle due interpretazioni

Inizia solenne Rostropovič, con tono misurato e netto, tra le battute 33 e 48, riconfermato quasi gioiosamente (battute 49 – 56) e sottolineato marcatamente e senza fretta (battute 57 – 80);

quanto diversa la Walewska, che sente l’impegno del commiato! Nessuna solennità, piuttosto la determinazione di chi ha preso una decisione fondamentale e definitiva, e si appresta a vivere questo momento con la fronte imperlata di sudore, con l’anima ancora attonita per l’ardire, e in fondo, ancora dubbiosa sulla riuscita; quindi, niente gioia nelle battute 49 – 56, ma come un intimo giuramento, emotivamente spiegato e confermato dalla precipitazione ansiosa delle battute 52 – 69, che viene infine rinsaldato nelle battute 70-80.

E alla ripresa (battuta 111), dopo la breve ma forte preparazione dell’orchestra, il momento delle rievocazioni (battute 120 – 176), che per Rostropovič è nostalgia “tout court”, per la Walewska è invece un richiamo del passato; e mentre Rostropovič ci comunica il suo pianto per qualcosa che ha perduto e che non sa se ritroverà (forse la sua Patria), invece Walewska è tutta presa dal rivivere teneramente struggenti momenti che sa di dover poi abbandonare per sempre: da qui l’accoratezza “terminale”.

Ambedue grandi interpretazioni, comunque, anche se Walewska mostra una aderenza ed una identificazione straordinarie. Un cenno sulla accentazione delle quartine delle battute 143, 144, 147, 148, 151, 152, 155, 156: Walewska la pone spesso sulla seconda nota (cfr. battute 144, 148, 151, 152, 156) quasi a voler reprimere la violenta emozione, mentre Rostropovič, meno emozionato e più nostalgico, la pone sulla seconda nota solo nelle battute 148 e 152. Assai identica è la reazione, il riaversi dal malinconico momento, e l’affidarsi alle certezze dell’orchestra (battute 177 – 204), con un Rostropovitch più scandito più tecnico più ostentato, con una Walewska più velata e come più desiderosa di giungere rapidamente in fondo.

Dopo la preparazione orchestrale (battute 204 – 225), la breve ripresa del violoncello (battute 226 – 245), esposta da Rostropovič quasi con fierezza distaccata, mentre la Walewska è appassionata ed emozionata perché sta per riprendere il faticoso cammino del commiato (battute 246 – 253) che esegue con rassegnata consapevolezza; qui, invece, Rostropovič rallenta molto, esprimendo serenità, costringendo la ripetizione orchestrale del tema (battute 253 – 268) a un tempo decisamente più lento di quello iniziale.

Il seguente tema “della purificazione” (battute 281 – 314) viene eseguito da Rostropovič con grandissima pulizia e diremmo letizia, mentre Walewska lo affronta quasi con ritrosia (quasi recitasse un “mea culpa”), per poi rinfrancarsi un pò dopo la battuta 297 e riprendersi definitivamente dalla battuta 311 e sopratutto dall’inizio dello “spiccato” alla fine del “meno mosso” (battute 315 – 346); e quando lo stesso tema viene ripreso dall’orchestra (battute 347 – 380), Walewska lo sottolinea imperiosamente e in modo struggente al tempo stesso – quasi lavasse per l’ultima volta i piedi dell’anima nel sangue del cuore – e la sua conclusione (la famosa battuta 380) ci colpisce come una stilettata; ma Walewska continua nella corsa appassionata, “per porre definitivamente un abisso tra sé e il passato” (battuta 385-421).

Ben diverso Rostropovič, che affronta con eleganza lo “spiccato” (battute 315 – 331), per poi proseguire serenamente il dialogo con l’orchestra (battute 331 – 346); la ripresa del tema (battute 346 – 380) viene sottolineata con espressività e pathos “professionali”, e così successivamente (battute 385 – 421) anche se un pò affrettatamente, quasi a comunicare sopratutto soddisfazione per una meta sentita ormai vicina.

Continua Rostropovič allo stesso modo, eseguendo la meditazione singola delle battute 425 – 437 in modo distaccato e limpido, per poi iniziare le “sessanta battute” in maniera tranquilla (battute 437 – 457) e successivamente (siamo all’”ermo colle”!) assai serena (notare quell’indugio quasi languido nel secondo movimento della battuta 459), e dopo i famosi trilli delle battute 475 – 480 eseguiti senza particolari notazioni, un lento avviarsi dolce e malinconico (battute 481 – 484) che diviene ancor più lento (battute 485 – 488) e finisce in un ritenuto estremo iniziato prima della notazione (già in battuta 489!) e continuato fino al termine.

Al contrario, la Walewska esegue con grande introspezione anche se senza indugio (tranne che sulla solare prima nota del secondo movimento della battuta 433) l’intera “meditazione” delle battute 425-437, affrontando con disillusa accoratezza “l’avvicinamento” (battute 441 – 456) e poi con fervida ansia i “tratti in salita”; più esitante il primo – battute 457 – 460; più franco il secondo – battute 465 – 467; più soddisfatto il terzo – battute 473 – 474), anche se con lieve rallentamento quasi a trattenere il fiato; denso, puntuto, drammatico il trillo, vissuto come una stasi – un “ricongiungimento” – e, a sorpresa, Walewska inizia la battuta 481 con una lunga acciaccatura (di La diesis, prima del Si) non esistente nella partitura, ma che ha il magico effetto di staccare il momento di stasi dalla ripresa dell’ultima frase, di straordinaria intensità emotiva (notare nel secondo movimento della battuta 483 il sol , legato all’analogo della battuta seguente che viene però eseguito cambiando diteggiatura, e accentuandone così l’emozione) per partecipare all’addio finale; infine la discesa, e l’ultimo grido lacerante.


Gli interpreti

Mstislav Leopol’dovič Rostropovič e Christine Walewska, due grandissime interpretazioni; ma solo quest’ultima riesce a spersonalizzarsi completamente e a “far vivere di vita propria” il Concerto di Dvoràk. I futuri Interpreti dovranno meditare a lungo sul dilemma di sempre: esprimere se stessi o la musica eseguita?