Appendice

1 – IL LINGUAGGIO MUSICALE – introduzione ad una sua possibile interpretazione.

1.1 – Comprensione della musica

Si dice che la Musica è la più completa e complessa delle Arti: possiede molti più colori e sfumature cromatiche della Pittura, molta più plasticità, concretezza e capacità di esprimere la realtà della Scultura, molte più possibilità di analisi ed esplicazione di stati d’animo, di situazioni psicologiche, di drammi individuali e collettivi, della Letteratura. In breve, la Musica sembra comprendere, realizzare, trascendere tutte le altre Arti. Ma mentre per ciascuna di esse è abbastanza codificato il singolo linguaggio e delimitato il campo d’azione delle tecnologie impiegate per la loro espressione, per la Musica è ben diverso: il “rumore” ovvero i singoli “suoni” non sono “arte”, come invece possono già esserlo elementi di pittura quali una semplice linea tracciata da Picasso o elementi di scultura o di letteratura poetica quali un abbozzo di “non finito” michelangiolesco o un “mi illumino di immenso” ungarettiano.

Per la Musica, dicevamo, si tratta di tutt’altro. Occorre dare ai “suoni” una logica coerente e completa, tanto da poter parlare di “composizione di suoni”; poi vedremo se si potrà parlare di “arte” o di semplice “sequenza di rumori”.

Ora, nel tempo, specie ad opera dei grandi Compositori europei, si è lentamente sviluppato un linguaggio espressivo via via più complesso, che dipendeva anche dalla invenzione e dalla elaborazione continua, da Loro effettuata, della “scienza musicale”: non più singoli suoni (magari provvisti di “ritmo”) ma anche linee di suoni (melodie), e poi intersecazioni verticali di linee di suoni (armonie), secondo canoni scientifici che vanno dal post-gregoriano al bachiano “Clavicembalo ben temperato”, alle invenzioni e “arditezze” di Vivaldi Mozart Beethoven Brahms, alle scale senza semitoni degli impressionisti, all’atonalismo, alla dodecafonia , alle sonorità sequenziali di Stockhausen, alla attuale computer music, etc, con tutti i ripensamenti del caso che man mano si sono verificati .

Ma era assai chiaro che si potesse parlare di “arte” solo quando si raggiungeva un livello espressivo tale da comunicare “Qualcosa” (poi vedremo cosa) di Immenso e di Universale a un gran numero di fruitori in grado di riconoscere, con estrema sintonia tra loro, la singolarità e la univocità della propria percezione di quel “Qualcosa”.

Per le altre “arti” era estremamente più facile comunicare un “qualcosa”, perchè i presupposti per capirlo erano già insiti nella mente umana, almeno finchè l’arte percorse il linguaggio della natura; Michelangelo crea il David e ci comunica “qualcosa” che è sintesi inarrivabile di forza, di serenità, di equilibrio: ma può farlo assai facilmente perchè già nella nostra mente sono presenti gli elementi formali e contenutistici del linguaggio usato (il corpo umano in quelle diverse attitudini): si trattava “solo” (scusate se è poco!) di essere capaci di fare e comunicare vera “arte”; analogamente, una opera letteraria o poetica di grande valore, viene compresa perchè già fin dall’infanzia abbiamo appreso parole corrispondenti a elementi reali di vita,e poi abbiamo imparato a combinare le parole elaborando concetti e frasi: si tratta “solo” di farlo in maniera unica, cioè “artistica”.

Ma nella musica la cosa è completamente diversa, perchè sembrano venir meno quei “riferimenti” reali e naturali che servono per la comprensione.

Questo accade anche nelle altre arti, quando la loro evoluzione le conduce dal figurativo all’astratto; però la musica è già come “astratta” fino dal primo suo sorgere !

Certamente, non sono mancati i filosofi, i musicologi, gli psicologi e sociologi della musica, etc , che hanno tentato di analizzare il messaggio musicale tramandato nei vari luoghi e nei vari tempi ,nelle cause e negli effetti, in certi casi aiutandone, in certi casi confondendone (se non mistificandone) la comprensione.

Probabilmente, il primo errore fatto anche dai più grandi, magari in buona fede, fu di tentare di applicare, a tutta la musica di ogni tempo, teorie e valori ritenuti permanenti e assoluti, mentre invece la analisi della musica di ciascun tempo abbisognava forse di teorie e metodologie proprie di quel tempo: era la relativizzazione dei canoni estetici che bisognava perseguire, anche se nessuno ci impedisce di applicare diversi canoni estetici alla stessa opera d’arte; possiamo sempre paragonare “a posteriori” qualità e quantità della comprensione che ciascuno di loro ci ha fornito.

Questa visione può sembrare storicistica, e forse lo è: ma pur dando estremo valore al “momento puro” come nostro unico riferimento di vita istante per istante, cionondimeno non possiamo assolutamente prescindere dal “ricordo” (specialmente quando entra nella costituzione genetica della razza umana), e quindi dal paragone tra i vari “ricordi”, e quindi dalla Storia.

D’altronde, non diversamente opera, ad esempio, la moderna Fisica Teorica quando gli scienziati elaborano teorie parzialmente in grado di spiegare la composizione della materia e predire quali e quante particelle elementari possano scaturire da una certa collisione che avviene ad una determinata energia: ciascuna teoria vale, entro certi limiti, per una banda di energia; certamente, una teoria è maggiormente valida (e per questo riscuote maggiori consensi, l’Autore magari si becca il “Nobel”, un gran numero di sperimentazioni ne vengono attuate) se riesce a coprire una grande banda di energia e a spiegare compiutamente lo scaturire di un gran numero di particelle. Certamente, dato che, man mano che gli anni passano, e la Storia (e con essa la Scienza) si evolve, siamo in grado di elaborare strumenti che consentono di elevare l’energia delle collisioni, e quindi di ampliare la banda di energia entro la quale effettuarle, prima o poi ogni teoria sarà “messa alle corde” dalla realtà che a un certo punto “si stufa” e cessa di seguirla: è allora che necessita un nuovo scienziato in grado di elaborare una nuova teoria,etc. Comunque, nessuno ci impedisce di applicare allo stesso fenomeno diverse teorie e vedere come si comportano, quanto a comparazione tra risultati sperimentali e precisione ed ampiezza delle previsioni; la valutazione del loro comportamento ci fornirà una misura dell’importanza scientifica di ciascuna teoria.

Tornando alla musica, un secondo errore fatto dai musicologi è stato di cercare di spiegare la musica partendo dalla musica anzichè dall’uomo (quasi si trattasse di un “fenomeno a sè stante” creato dai marziani per nostro diletto!) e non aver quasi mai voluto analizzare oggettivamente i presupposti e le condizioni per la percezione individuale di quel “Qualcosa” cui prima accennavamo; in effetti, ogni realtà creata dall’uomo ed ogni analisi di cose umane fatta per l’uomo non può prescindere dall’uomo. Per non compiere questo errore, occorre non trascurare la struttura mentale dell’uomo; occorre voler utilizzare tutte le conoscenze della scienza moderna sul cervello umano (le cosidette “neuroscienze”) sulle modalità di assunzione e di memorizzazione di singoli elementi percettivi dovute alla precipua fisiologia cellulare e alle interazioni biofisiche e biochimiche che la determinano. Il processo di formazione della musica è così compenetrato con l’essenza stessa del meccanismo di apprendimento umano da rendere impossibile ogni seria analisi critica prescindendo da esso.

1.2 – L’apprendimento musicale

L’udito è il senso preposto alla trasmissione dell’elemento sonoro al cervello che sintetizzerà e memorizzerà il messaggio musicale, in attesa di passarlo alla “mente”, preposta alla percezione del “Qualcosa”. Senza l’udito, non esiste possibilità di raccolta e utilizzo degli elementi sonori; e sarà bene che sia un buon udito, per una buona qualità del messaggio trasmesso. Analogamente, senza vista è impossibile gustare la pittura; e che sia una buona vista, perchè un daltonico non trasmette certo al proprio cervello un buon messaggio visivo, almeno dal punto di vista della possibilità individuale di elaborazione e valutazione artistica.

Si dirà che Beethoven era quasi sordo: ma lo divenne quando ormai la sua mente aveva assoggettato il cervello alla sintesi e memorizzazione di un messaggio musicale che poteva anche venire dalla vista e dall’analisi di una partitura scritta anzichè da una esecuzione; inversamente, la musica elaborata dalla sua mente e “percepita” nel suo interno, poteva, tramite l’assoggettamento sopradetto, trasformarsi in partitura scritta, e senza l’ausilio di alcun pianoforte.

Ma è sufficiente la “mente” a “formulare” e “comprendere” un messaggio musicale?

Certamente, un uomo non è solo la sua “mente”: se essa può collocarsi nella parte più alta del cervello (probabilmente la corteccia cerebrale), e utilizzarlo per recepirne le sintesi delle realtà che lo sollecitano, e trasformarle in percezioni, ciò non vuol dire che essa sia avulsa dalle sollecitazioni del resto del corpo e che non abbia interazioni con le sue varie parti.

In effetti, la mente interagisce col resto del corpo per riceverne e sintetizzarne i messaggi ricevuti tramite i vari sensi, anzi potremmo dire che la mente si diffonde a macchia d’olio, dall’alto verso il basso, sulle varie parti del corpo umano via via interessate dalla “emozione” che le ha colpite: il cuore (o i “precordi” (4) degli antichi), gli altri visceri, gli organi sessuali, possono così trasmettere alla mente i messaggi emozionali e le sensazioni raccolte, perchè vengano sintetizzati e immagazzinati nella memoria.

La mente, quindi, può essere sede di pensiero “puro”(non mediato), quando elabora e sintetizza direttamente messaggi; può essere sede di pensiero “impuro”(mediato), quando elabora e sintetizza messaggi non direttamente ma per il tramite dei vari organi suddetti.

Ora, da sempre, la mente intelligente e sede di autonoma elaborazione, è stata collegata direttamente allo “Spirito” (5) dell’uomo, mentre la mente rapita nella elaborazione di messaggi “corporei” cioè provenienti dai vari organi, è stata collegata alla “Anima” dell’uomo.Si è pure detto che all’anima è attribuibile la coscienza della propria esistenza e delle varie sensazioni elaborate e sintetizzate dalla mente, mentre solo al complesso Spirito-Anima è attribuibile la autocoscienza, cioè la coscienza di essere cosciente di tutto ciò.

E’ importante aver puntualizzato quanto sopra, perchè poi porremo direttamente in relazione la percezione di quel “qualcosa”, (che per noi sarà un “discorso artistico” – e quindi musicale), con lo spirito umano e con l’anima umana anzichè con la mente e con i “precordi”. E tutto questo, indipendentemente dal presumere lo spirito e l’anima immortali o meno, che rimane una questione scientificamente non riconducibile alla ragione.

A questo punto, è opportuno prendere in esame gli elementi del linguaggio musicale, cioè le “parole musicali” o i “gruppi di parole” necessari a esprimere un “concetto musicale”: l’assieme dei “concetti” formeranno (vedi le ipotesi di Webern) un “discorso musicale”, o “pensiero musicale”, che potrà essere elaborato dalla sola mente (e allora interesserà lo spirito), ovvero potrà essere elaborato dal complesso “mente-precordi” (e allora sarà provvisto di “stati d’animo” e interesserà anche l’anima).

In qual modo una “nota musicale” espressa da uno strumento, o un “gruppo di note”, può diventare prima “concetto musicale”, poi “discorso musicale” ed essere espresso e successivamente registrato e compreso? Si badi bene che non stiamo parlando di acquisire a memoria una sequenza musicale, come può fare agevolmente un pappagallo o un merlo indiano, ma di “capire” cosa vuole significare quella sequenza, tanto più quando essa vuole trasmettere un “messaggio” dell’Autore della composizione.

1.3 – Gli archetipi

Perchè avvenga tanto la creazione che la comprensione di un discorso musicale,è nostra opinione che debbano essere stati “impressi” preventivamente nella coscienza profonda della mente, o del complesso mente-precordi, del Compositore, dell’Interprete o dell’Ascoltatore, degli “archetipi” (6) ben precisi, che vengono via via richiamati alla coscienza nel corso di una composizione,di una esecuzione,o di un ascolto musicale. Ecco così che il complesso degli “archetipi”, riportati durante un ascolto musicale a livello cosciente dai gruppi di note che li rappresentano e che il compositore pose in successione logica, formano veri e propri “concetti” e possono essere messi direttamente in relazione con il “discorso musicale” contenuto nella partitura: solo in tal modo il discorso musicale (che è la espressione concreta di un “pensiero musicale”) potrà essere compreso, e fornire sensazioni mentali e fisiche univoche e inconfondibili al complesso spirito-anima-corpo (l’Io), che poi sarà in grado eventualmente di riconoscerlo di nuovo, paragonarlo ad altri,etc; in una parola,farne oggetto di “cultura”.

Naturalmente, il discorso musicale non è fatto solo di archetipi , ma anche, e sopratutto, di “rielaborazioni mentali degli archetipi”, che concepiamo come brani di pensiero musicale che sviluppano l’archetipo (o il gruppo di archetipi) evocato, utilizzando sequenze, anche ripetute più volte, di archetipi ritmici puri contenenti le loro stesse note, magari alternate ad altre “di correlazione”; inoltre, non si può escludere completamente la possibilità dell’esistenza di “elaborazioni mentali senza archetipi” concepite per integrare una frase musicale.

Ma gli “archetipi”? Che cosa sono, come si formano, come si imprimono, come si rivelano, come si trasmettono?

Se ammettiamo che il cervello dell’uomo, dopo la sua formazione nell’embrione, è completamente vergine, non v’ha dubbio che sia in grado di registrare “impulsi” fondamentali provenienti sia dall’interno del corpo che dal suo esterno; la fisiologia del cervello ci conferma che le cellule di alcune zone cerebrali sottoposte a neurostimoli esterni subiscono una modificazione permanente di struttura capace di “memorizzare” l’impulso ricevuto: ad esempio, il battito del cuore è forse il primo stimolo (o “archetipo”) di ritmo e di scansione temporale che il cervello acquisisce “dall’interno”; analogamente,il respiro è pure un elemento ritmico, però leggermente diverso, perchè di durata variabile ed entro certi limiti controllabile, e stabilisce il primo contatto con “l’esterno”; il primo pianto del bimbo appena nato accoppia elementi ritmici ad elementi sonori, e così via: il cervello, mentre ha il compito genetico di presiedere a queste funzioni, contemporaneamente le registra nella memoria perchè più avanti la mente possa averne coscienza e farne strumento di “linguaggio”. Potremmo proseguire a lungo con l’elencazione di queste “sensazioni primordiali” o “archetipi”, e forse dovremmo già distinguere tra archetipi di tipo “formale” come un punto luminoso, una linea, un elemento matematico o geometrico, e archetipi di tipo “sostanziale” come uno stimolo fisico doloroso o dovuto alla fame. In ogni caso,l’archetipo è per noi un “elementale” non riconducibile ad altre realtà. Ad esempio, l’archetipo emozionale, potrebbe sembrare strutturato da altri archetipi ritmici (o ritmico-onomatopeici) rivestiti da elementi vibrazionali (note,suoni); in realtà, invece, noi lo pensiamo come una emozione “raggrumata” di elementi ritmici e vibrazionali assolutamente inscindibili oltrechè tipici e univoci. Comunque, sulle percezioni dei primi archetipi e sulle loro rielaborazioni, si inizia dopo la nascita a costruire quel rapporto tra mente e sensazioni interne ed esterne che domani l’uomo utilizzerà per tessere la trama della sua “comprensione”(anche musicale) della realtà e della sua “comunicazione” con gli altri esseri umani. Sembra comunque ipotizzabile che gli archetipi comunque acquisiti e memorizzati possano “riverberarsi” su qualunque senso, e non solo univocamente su quello che ci sembra averli generati, divenendo percepibili dal complesso spirito-anima in maniera “globale”;ad esempio, una linea “geometrica”, che sembrerebbe generata dalla vista, può divenire linea “musicale”: ma qui occorrerebbe analizzare quanto un archetipo può essere “universale”(7) e quanto invece questa caratteristica possa essere dovuta ad una successiva rielaborazione mentale di concetti provenienti da archetipi diversi e “trasposti” per analogia da un settore all’altro dello scibile umano.

Così pure è largamente ipotizzabile che esista un codice genetico degli “archetipi” che li rende “acquisibili” dalla realtà esterna, quasi che,via via che ne vengono elaborati altri,in base a nuove e diverse e più sofisticate capacità di “ricezione”, nel corso della evoluzione umana, essi possano restare “acquisiti” per il susseguente genere umano ; come del pari è ipotizzabile che possa esistere una sorta di “memoria universale” degli archetipi-cellula e delle loro combinazioni in forme cellulari via via più complesse ove la mente, tramite l’inconscio, possa liberamente attingere gli elementi necessari ai processi di comprensione e comunicazione facendoli riemergere nella coscienza individuale man mano che procede nel suo sviluppo: certamente, gli archetipi in essere ad oggi, sono uguali per tutti gli uomini, anche se la capacità di combinarli tra loro ed elaborarne un messaggio varia da uomo ad uomo.

Ora, per dotare l’individuo dell’intera gamma delle percezioni umane(anche musicali), è sufficiente formulare l’esistenza di un gran numero di archetipi “impressi” nella mente (o recuperabili tramite l’inconscio, come prima dicevamo), ovvero è assolutamente necessaria una rielaborazione concettuale dei medesimi a livello cosciente operata dalla mente o dal complesso mente-precordi? La risposta non è facile, e forse esula dai limiti di queste brevi considerazioni. Comunque,ad esempio, i concetti mentali di dolcezza, tenerezza, amore nelle diverse accezioni,solennità, forza, brutalità, ironia, etc vanno sentiti e vissuti fin nei precordi per essere percepiti nella loro interezza – per questo pensiamo che siano o derivino da archetipi – e interesseranno sempre il complesso spirito-anima, e non soltanto l’uno o l’altra; certo, sarebbe suggestivo poter pensare che un archetipo di “dolcezza” fosse trasmesso al figlio dal primo sguardo della madre, e non tramite una rielaborazione concettuale! Sarebbe ugualmente molto bello poter pensare che la nostra mente offrisse alla nostra anima un “tappeto” di archetipi come un variopinto prato fiorito, ed essa potesse scegliere fior da fiore aspirandone i diversi “profumi” e miscelandoli tra loro per essere in grado sempre di riconoscere per confronto ogni profumo composito (e quindi anche l’arte, e la musica)che la realtà gli presenta! Ad ogni modo, tornando al discorso musicale, sicuramente l’Autore vi imprime un messaggio (proveniente dalla rielaborazione “fantastica” di propri archetipi), con modalità che naturalmente debbono essere note anche al “ricevente”, per la sua captazione e interpretazione. Mediante la rielaborazione mentale viene creato il contesto melodico-armonico entro cui sono inseriti e si esprimono gli archetipi, “la piscina entro cui farli nuotare”, per dare un senso logico-razionale a tutto un pensiero musicale basato su di essi, e porre e sviluppare con completezza un discorso musicale che lo rappresenti con efficacia e univocità, mediante la sua estrinsecazione in sequenze logico-formali riproducibili e riassimilabili dall’uditore. Questo,per l’uomo: ma gli animali hanno loro archetipi di riferimento (e ne hanno coscienza)? E’ presumibile di sì, anche se non sono capaci di “messaggio artistico”, perchè, a differenza dell’uomo, non hanno “autocoscienza”, cioè non hanno coscienza di avere la “coscienza dei propri archetipi” e quindi non hanno la fantasia di poterli rielaborare artisticamente. In conclusione, pensiamo che nell’uomo, la musica (come la vita), man mano che si snoda, è un susseguirsi di “situazioni” rette, pilotate, interpretate da un pensiero(musicale) unito alle emozioni dell’anima e alle vibrazioni del corpo: l’archetipo è come un “frattale”, un “elemento finito autostrutturato” congelato, percepito o evocato dalla coscienza profonda dell’Io per assimilare e descrivere embrionalmente ciascuna “situazione”, che successivamente va analizzato e razionalizzato, e attraverso la rielaborazione mentale tradotta in linguaggio (musicale), va “disgelato” e cosparso per l’intero pensiero(musicale) espresso.

1.4-Individuazione delle tipologie degli archetipi

Gli archetipi fondamentali acquisibili sono uguali per tutti gli uomini; questo, perchè le sollecitazioni primordiali cui viene sottoposta la memoria elementare appena formata nonchè le modalità di assunzione di tali sollecitazioni sono le stesse per tutti; resta da domandarci se è possibile che nel corso dell’evoluzione del genere umano se ne aggiungano altri , o avvenga una loro “modificazione” (mutazione genetica?) che in qualche modo li arricchisca, aggiungendo, alla struttura primitiva impressa nelle cellule cerebrali, delle modalità nuove che li rendano più “universali”,e che permettano ulteriori progressi nelle possibilità di aggregazione tra loro che

la mente, o il complesso mente-precordi, successivamente svilupperà nella elaborazione del discorso artistico.

Resta da chiederci ancora se esistono archetipi semplici e archetipi composti: è senz’altro ipotizzabile che una rielaborazione mentale inconscia di archetipi semplici possa divenire “archetipo composto”(insieme logico e congruente di archetipi che si autostrutturano in uno unico perdendo la loro individualità ma conservando al suo interno una qualche identità “di partecipazione”) quando assuma una sua assoluta e inalterabile incisività, tipicità ed espressività; ma,mentre l’archetipo fondamentale è identico per tutti, l’archetipo composto può essere diverso da uomo ad uomo, a seconda del grado di sviluppo individuale delle potenzialità di “archetipizzazione”. E’ chiaro anche che la comprensione della musica formata da archetipi composti risulta sicuramente più difficoltosa, e dipende dal fatto che l’ascoltatore sia già in possesso di tali archetipi,o di archetipi composti assai similari che lo conducano ad un sufficiente (anche se non completo) grado di comprensione di ciò che il Compositore voleva significare.

A volte,poi, si trovano “espansioni” di archetipi: la mente prende l’archetipo base evocato e invece di imprimerlo nella composizione così com’è, e magari farne elaborazioni o ripetizioni variate etc., lo “allarga” fino a fargli comprendere una intera forma tematica; può questa struttura essere “archetipizzata” e divenire “archetipo espanso”? Comunque, se così fosse,non sarebbe tanto semplice distinguerlo dalla rielaborazione.

Cercheremo ora di elencare i principali archetipi che ci sembrano essere presenti nelle rappresentazioni disposizionali costituenti la memoria della coscienza profonda mentale, avvertendo che tale studio è appena al principio e che occorrerebbe fosse compiuto in maniera rigorosa e completa da parte di specialisti.

Iniziamo con quelli che definiremo “archetipi strutturali” per la funzione essenziale che svolgono nella logica del discorso musicale: la struttura di ogni frase elementare è dovuta ad essi, e spesso le stesse rielaborazioni mentali non sono altro che “espansioni” di archetipi strutturali. Ribadiamo tuttavia che ogni altro archetipo sembrerà avere in se la possibilità di essere “scomposto” in elementi strutturali, emozionali, onomatopeici etc; ebbene, no ! ciascun archetipo è un “elementale” inscomponibile; come una goccia, che, anche se cade e si “scompone” in altre gocce, non può assolutamente considerarsi “strutturata” da quelle gocce .

Di questa categoria, archetipo fondamentale è senz’altro il “numero” e la “numerabilità”: l’ “Io” = 1;”Io e la Mamma” = 2 e così via. Così pure, come dicevamo, il “ritmo” cardiaco, che già contiene numero, suono, elemento ritmico:è un archetipo strutturato, ma pur sempre “un” archetipo fondamentale, acquisito dalla “mente” embrionale all’istante del primo battito del minuscolo cuore. Al ritmo cardiaco sono riconducibili l’archetipo della “serenità” (costituito da più battiti cardiaci in condizioni normali), e l’archetipo della “ansietà”(battito affrettato a causa di paura o ansia). Analogamente,come abbiamo già detto, verrà archetipizzato il “respiro”, con le sue modalità precipue di variabilità e di “scambio” con l’esterno. Come pure il primo “vagito”, ritmo-suono-senso, espresso dal neonato, che può comprendere sia il tipico pianto “convulso” che il pianto “disteso”.

Cosi’ pure, man mano che vengono acquisiti, i cinque sensi determinano singolarmente archetipi dovuti alla luce, al suono, all’odore, al sapore, alla tattilità.

E, probabilmente, viene archetipizzato il primo canto udito, una nenia, una ninna nanna,il rintocco della prima campana.

Gli archetipi di “alto” e di “profondo” vengono dal primo approccio con il senso di gravità, forse dal primo sguardo verso il cielo o verso un abisso: a questi sono associati gli archetipi composti di “salita” e di “discesa”, importantissimi per la musica in quanto immediatamente in relazione con frasi musicali ascendenti e discendenti.

L’archetipo esprimente il senso di dubbio è forse generato dalla prima “incertezza” della vita: ad esso si può pensare associata una breve sequenza di note musicali “che tornano su se stesse” e che distano l’una dall’altra un semitono, al massimo un tono (ciò derivante dalla necessità di “appoggiarsi” all’ “immediatamente vicino” nel momento dell’insicurezza).

La curiosità darà luogo al primo archetipo “domanda” o “punto interrogativo”, cui potrà associarsi l’archetipo “risposta”, o “punto esclamativo”. L’archetipo “domanda” è strutturalmente molto simile all’archetipo di “dubbio” da cui si differenzia perchè le note “che tornano su se stesse” possono distare anche due o più toni. Molto spesso nella musica si trova un archetipo “domanda” seguito immediatamente da un archetipo “risposta”: formano un unico archetipo composto? La “domanda”, esprimente quasi sempre un dubbio, conterrà, come abbiamo detto, note distanti un semitono od un tono; la “risposta”, se dubbiosa o evasiva, vedrà, analogamente, le note distanti un semitono od un tono; altrimenti, su risposta sicura,le note potranno anche distare due o tre toni (non necessità dell’ “immediatamente vicino”).

Occorrerà inoltre definire gli archetipi “emozionali”: il primo dolore fisico (ma anche la prima carezza o il primo solletico sulla pelle) sicuramente generano una sensazione che rimarrà impressa e che farà da battistrada ad altre sensazioni di dolore, di beatitudine, di gioia, di ilarità, non solo corporee ma anche dell’anima; ecco profilarsi gli “stati d’animo” quali rielaborazioni mente-precordi degli archetipi emozionali.

Man mano che la mente si forma e acquisisce le funzioni proprie, possono imprimersi archetipi comportamentali; il senso del dovere, con le prime “regole” da seguire;si sviluppa una logica delle azioni e delle situazioni, che poi in musica si tradurrà in elementi discorsivi che intercaleranno gli archetipi emozionali ed eventualmente -se esistono- gli archetipi “composti”,ma che comunque sarà alquanto difficile distinguere dalle rielaborazioni.

Esistono poi gli archetipi “onomatopeici”, impressi nella mente da determinate situazioni dell’uomo o della natura; ad essi si riconduce certa musica che “mima” dette situazioni (rumori di tuono, scalpitìo di cavalli, ritmi di marcia, suoni di tromba, etc).

E’ pure ipotizzabile l’esistenza dell’ “archetipo di silenzio” che dovrebbe coincidere con l’archetipo “assenza di archetipo”.

Come dicevamo, occorrerebbe fare una ricerca ed una elencazione completa, al di là di queste brevi note.

1.5 – Rivelazione degli archetipi

Non dovrebbe essere difficile alla moderna neurofisiologia la individuazione e rivelazione degli archetipi: Si tratta,in fondo, di sottoporre un soggetto ad analisi cerebrale mediante elettroencefalografo od altra apparecchiatura in grado di misurare la sua reazione agli stimoli profondi, e sottoporlo ad una stimolazione neutra di base intervallata da una serie di stimoli “primordiali” sonori o luminosi del tipo di quelli descritti nel precedente paragrafo, misurando l’intensità della reazione individuale sia in condizioni di base che durante lo stimolo: dalla forma d’onda emessa in condizioni di risonanza, in corrispondenza dei picchi d’onda, dovremmo ritrovare gli archetipi. Può darsi che l’analisi vada condotta sotto ipnosi, e, in ogni caso, occorre porre particolare attenzione a quali stimoli sottoporre il soggetto, dato che dovremo distinguere la risposta data in presenza di un archetipo da risposte a stimoli sensoriali “periferici” non profondi. Successivamente occorre sottoporre il soggetto agli stessi stimoli profondi “mimati” musicalmente, cioè riprodotti da strumenti musicali: se l’archetipo è “universale”, dovremmo avere la stessa risposta. La ricerca dovrebbe continuare con la comparazione dei risultati su diversi soggetti, per analizzare la rispondenza dei picchi d’onda provocati dagli stessi archetipi e mettere in luce se c’è diversità di risposta in intensità e forma d’onda allo stesso stimolo. Certamente gli specialisti potranno mettere a punto procedure apposite con la massima scientificità.

1.6 – Gli archetipi e la musica

Nella musica, come abbiamo detto, ogni archetipo è formato da una o più note uguali o diverse (in gruppo autodefinito) che possono venire poste in sequenze strutturate a similitudine degli archetipi logico-matematici.

In alcuni casi, un insieme di “sequenze” può anche divenire – se ne possiede le potenzialità – “archetipo composto” (e restare in tal modo impresso nella memoria della coscienza profonda), ovvero può invece subire soltanto una maggiore strutturazione discorsiva melodico-armonica (rielaborazione mentale) da parte del Compositore, influenzata sopratutto dal suo carattere e dal suo bagaglio culturale. Certamente, è molto probabile che un discorso musicale formato quasi interamente da archetipi semplici e composti, messi assieme da una scarna ma geniale componente rielaborativa, possa risultare qualitativamente e artisticamente superiore ad un discorso formato da pochi archetipi fondamentali ampiamente strutturati e discorsivamente rielaborati dalla mente del Compositore; questa seconda possibilità incontra talvolta il favore degli uditori: è quanto avviene nelle varie forme della moderna musica rock.

Volendo ora analizzare un pò più da vicino la nascita degli archetipi,sorgono alcune domande:

le singole note musicali, anche reperite tra suoni naturali, sono singoli archetipi? Ovvero l’archetipo generico di “suono” viene “rivestito” successivamente da suoni di diversa altezza (frequenza) e di diverso timbro? Il silenzio è un archetipo? Esiste “l’archetipo di silenzio” e coincide con l’ “assenza di archetipo”? Esiste l’archetipo “rumore di fondo” ?

Certamente, l’archetipo non è di per se polifonico, tonale,atonale, seriale, dodecafonico; però, durante la stesura di una composizione, un complesso di accordi può aver origine a causa della evocazione di archetipi derivati da suoni naturali; ora, anche i suoni emessi da strumenti inventati dal genio umano possono originare accordi: è largamente ipotizzabile che gli archetipi evocati nella mente dall’ascolto di tali accordi “artificiali” siano gli stessi dei precedenti.In effetti,è da tener presente che gli strumenti musicali sono nati come realtà determinate dagli archetipi umani, di cui “mimano” la struttura: il violino e gli archi l’archetipo del respiro (che si fa voce umana nel violoncello), i fiati le varie “voci” (anche animali) della natura, gli strumenti a percussione gli archetipi di rumore ritmico e aritmico (cuore, tuono etc); l’uomo li ha come “reinventati inconsciamente” perchè aveva “bisogno” di quel tipo di richiamo, della loro potenza evocativa, per riascoltare ed esprimere i propri archetipi. Certamente, gli strumenti hanno una loro essenza, una loro voce che proviene da una geniale rielaborazione tecnologica del materiale che li costituisce, che sarà sempre diversa dalla “voce” di un archetipo espressa dal più profondo cosciente con meccanismi interni al complesso mente-precordi, e non esterni, come il suono di uno strumento.

Un’altro interrogativo riguarda gli accordi di suoni quando si pongono in relazione con sensazioni di serenità o di tristezza, come avviene rispettivamente per gli accordi “maggiori” e “minori”: sono “archetipizzati” tali accordi ?

Il fatto che le tonalità basate su accordi minori diano luogo a stati d’animo di accoratezza triste ha sicuramente una base biochimica ed organica, non diversa da quella che vede le mucche dare più latte se stimolate da brani musicali sperimentalmente determinati.

Certamente, misteriose ancora sono le modalità scientifiche di “aggregazione” degli archetipi da parte della mente, e sopratutto il loro trasferimento, da parte della fantasia, sui piani artistici, ben distinti da quelli reali : ma forse il complesso spirito-anima nel momento dell’estasi artistica (musicale), sia durante una creazione che durante un ascolto, vive effettivamente una sua indiscutibile realtà : il nostro “vivere nel corpo” e “per il corpo”, assoggettando perfino l’anima (se non lo spirito) a questa vita, ce lo fa troppo spesso dimenticare!

E’ stato detto (Eggebrecht), inoltre, che la musica è emozione, mathesis, tempo, cioè “emozione matematizzata nel suo proprio tempo”: difatto, durante la creazione di una opera musicale, il complesso mente-precordi scavando tra gli archetipi emozionali fornisce l’ “emozione”; mentre la mente, elaborando con criteri matematici gli archetipi numerici e ritmici fornisce la base logica del discorso armonico-melodico che si snoda in un tempo proprio, indipendente dal tempo del vissuto individuale. Inversamente , durante l’ascolto, l’opera musicale agisce sull’uditore in maniera globale; essa deve in genere essere riascoltata più volte per permettere la individuazione dei diversi elementi costitutivi melodici, armonici, ritmici, temporali, che la compongono: successivamente ciascun elemento viene posto in relazione con gli archetipi in possesso dell’uditore, e, una volta acquisito il discorso musicale e la sua logica, l’opera viene “compresa”. Le differenze tra il messaggio inviato dal Compositore e quello ricevuto dall’Uditore,se si eccettuano le particolarità introdottevi dall’Interprete, dipendono esclusivamente dalle modalità individuali di rielaborazione degli archetipi, che possono risentire della cultura dell’uditore e del tempo in cui vive.

Ci possiamo chiedere come nasca un’opera d’arte; pensiamo che la sua genesi sia comune in tutte le forme artistiche: una “visione profonda”, un “big bang” esplode nello spirito dell’Artista, si ripercuote nella sua anima, si abbatte sul suo corpo, suscitando reazioni globali che evocano nel complesso mente-precordi gli archetipi logico-matematici, emozionali,etc ad essa collegati. Subito dopo la mente li afferra, componendoli tra loro per dar vita ad una embrionale strutturazione del materiale evocato, e successivamente ad una sua rielaborazione, cui partecipano gli elementi culturali posseduti dall’Artista, che ne marcano prepotentemente la qualità. A questo punto, sgorga in un “unicum” l’opera d’arte: dal musicista esce musica, dal pittore pittura, dallo scultore scultura, e così via. Difatto, noi pensiamo l’archetipo come un “elementale universale” dalle sfaccettature corrispondenti ai vari tipi di linguaggio artistico. Ci potremmo chiedere se l’archetipo può essere direttamente alla base del normale linguaggio di comunicazione tra esseri umani: riteniamo di no, dato che il comune linguaggio è stato insegnato e appreso utilizzando rielaborazioni cerebrali-razionali standardizzate e codificate che affondano le loro radici negli archetipi ma che difatto formano come una stratificazione, una sedimentazione che separa la coscienza profonda e la sua memoria (sede degli archetipi) dalla mente che esprimerà i normali concetti-base del linguaggio umano.Ma allora,il linguaggio umano nelle sue varie forme, quando diviene opera d’arte? E l’opera d’arte, quando diviene “Arte”? Per noi, quando le forme archetipiche profonde, evocate dal “big bang”, vengono direttamente alla luce in maniera non mediata, vengono poste in sequenza assolutamente nuova, e rielaborate secondo schemi originali che creano cultura e sopratutto “dipendenza di linee culturali future”. Appartengono ad una “vera” opera d’arte l’”alto livello estetico” e la ricerca del “bello”? La soggettività e la relatività di tali concetti, e la loro variabilità nel tempo,ci permette di utilizzarli solo quali iniziali elementi di analisi e di paragone tra diverse opere d’arte, la cui grandezza, come dicevamo, sarà solo misurata, in seguito, dalla influenza sul periodo d’appartenenza e dalla durata degli effetti sui fruitori, che dovranno risultarne culturalmente ristrutturati.

Può l’opera d’arte nascere senza il coinvolgimento diretto degli archetipi? In effetti, possono essere concepiti brani di linguaggio staccati l’uno dall’altro, a formare (anche con metodologie stocastiche) insiemi definiti di rumori colori suoni parole “senza senso comune” ma comunque esistenti e riproducibili. La mente umana può essere capace di elaborazioni particolari derivanti da regole matematiche che essa stessa ha creato: in musica, la dodecafonia lo dimostra, e molte opere di Webern sembrano derivare soltanto da geniali elaborazioni mentali di suono, ritmo, silenzio, anche se potrebbero nascondere archetipi non ancora identificati; certamente, la “emozione” è più distante, sembra limitarsi soltanto a uno “stupore” provocato dall’assieme sonico, quasi che non facesse più parte del linguaggio proprio del pensiero musicale espresso.

1.7-Esempi di traduzioni musicali degli archetipi.

Archetipi vitali:

Archetipo di respiro: aa-aa-ae-ee (inspirazione) ee-ea-aa-aa (espirazione). E’ uno degli archetipi più difficili a definire e individuare; la funzione respiratoria, assieme a quella cardiaca, è essenziale per la vita, e sicuramente viene archetipizzata: ma la sua traduzione musicale, data la variabilità controllata del respiro, è estremamente difficoltosa. In quanto a reperire l’archetipo nelle composizioni musicali, la difficoltà consiste nel fatto che non è definita una durata nè una “lunghezza” precisa di esso: il respiro può essere ampio, disteso, ma anche corto, affannoso; la sua durata può quindi coinvolgere una intera frase musicale oppure poche battute: essendo poi composto di due parti (quasi una logica di domanda-risposta) sono da attendersi utilizzi anche parziali (solo inspirazione = “vita e attesa”; solo espirazione = “conclusione e morte”). Certamente, da sempre si è parlato di frasi musicali e composizioni “di ampio (o di corto) respiro”, quasi con inconscio riferimento all’archetipo.

Archetipo di battito cardiaco: abbiamo preferito porlo tra gli archetipi emozionali (vedi: serenità o ansia).

Archetipi emozionali:

Archetipo di pianto convulso: ta-tatà-tatà

Archetipo di pianto disteso: tàaa-tàaa

Nel neonato il pianto può essere necessità fisiologica senza altre implicazioni,almeno nei primi tempi; ma nell’adulto è dovuto a profonda commozione dell’anima e diviene necessariamente associato a dolore o tristezza.In quest’ultimo caso,può diventare archetipo espanso di tristezza (tàatatàa). E allora si scioglie in tristezza generalizzata,e, attraverso rielaborazioni mentali (con l’intervento armonico di tonalità minori e opportuni passaggi cromatici), può permeare tutto un pensiero musicale.Occorre notare che il pianto può essere di dolore,ma anche di rabbia o di gioia:sarà compito di opportune rielaborazioni e sopratutto del contesto musicale comunicarci con esattezza queste sensazioni. L’archetipo di pianto è generalmente costituito dalla stessa nota ripetuta tre volte, potendo la seconda e la terza differire di un semitono, al massimo di un tono (confrontare i diversi pianti di un bimbo nei primi mesi di vita).Esempi: GRIEG,Peer Gynt:2°tema del “Canto di Solveig”(pianto convulso); BEETHOVEN,3°Sinfonia(Eroica) Marcia funebre-inizio (rielaborazione in tristezza solenne);

DVORAK,Danza slava n°10 in mi bemolle(interessante esempio di rielaborazione di archetipo espanso).

Archetipo di “ineluttabilità”: tata-tàa oppure tatata-tàa. Si imprime nella mente al momento della prima visione di una “caduta prolungata” di qualcuno o qualcosa (che termina sulla nota finale);è caratterizzato da un senso di impotenza a modificare ciò che sta accadendo. Esempi:BEETHOVEN,inizio5°Sinfonia.

L’archetipo di solito ha le prime tre note generalmente uguali, ma possono esservi rielaborazioni per variare o diluire il messaggio.

Archetipo di dolcezza o tenerezza: tàa .E’ la prima carezza, il primo dolce richiamo materno, con eventuale risposta;le due note differiscono generalmente di un semitono, la prima nota è più alta della seconda. La dolcezza può anche essere più “aspra” perchè rivolta all’ottenimento di qualcosa, e allora le note differiscono anche di un tono.

Archetipo di dubbio: ta-ti-ta;

Archetipo di serenità: ta-tà,ta-tà,ta-tà;

è il battito del cuore in condizioni normali.

Archetipo di ansia, paura:tattà-tattà-tattà;

è il battito veloce del cuore.

Archetipo di terrore: taaàa. E’ il primo spavento dovuto probabilmente ad un urlo prolungato.

Archetipo di forza: tàaa. Stessa nota ripetuta anche più volte con vigore da strumento opportuno (vedi archetipi onomatopeici); particolari rielaborazioni fanno uso anche di note diverse. A volte si associa a senso di solennità (archetipo o rielaborazione?) che potrà essere ieratica (sentimento religioso) o laica (trionfale o di altro tipo).Esempi: BRAHMS-4° Sinfonia-inizio 2°tempo; HAENDEL: Musica per un fuoco d’artificio reale-inizio.

Archetipi strutturali: i numerici, i logici

La traduzione musicale di archetipi numerici si ha nel ritmo accoppiato a sequenze di note: Archetipo unitario ripetuto (Io = 1); è una nota ripetuta a cadenza costante.

Archetipo binario (Io e la Mamma = 2); è una coppia ripetuta di note.

Archetipi ternario e quaternario; è una terzina, una quartina ripetute, e così via.

Archetipi di “altezza” (salita), di “profondità” (discesa): brani di scale musicali ascendenti o discendenti, la cui “velocità” è data non dal tempo di esecuzione ma dalla distanza delle note (un semitono, un tono, più di un tono).

Archetipi logici: citiamo il “domanda” e il “domanda-risposta” costituiti rispettivamente da un gruppo (due gruppi) di note “che tornano su se stesse” e generalmente terminano su una nota uguale a quella iniziale. Esempi: DVORAK,Concerto per Violoncello e Orchestra-inizio primo tempo.

Potremmo proseguire a lungo negli esempi; ripetiamo che occorre compiere un lavoro sistematico e definitivo da parte dei musicologi e degli psicologi della musica per giungere alla individuazione della traduzione musicale degli archetipi; successivamente gli Esperti di fisica biologica, di neuro-informatica, di neurologia potranno tentarne la ricerca della rispondenza a livello encefalico.

2. – L’ELABORAZIONE MUSICALE E LA SUA EVOLUZIONE NELLA CONCEZIONE ARCHETIPICA.

2.1 – Cronologia storica

Vediamo brevemente i lineamenti evolutivi della elaborazione musicale dalla sua nascita ad oggi. Orfeo e la sua lira: la musica si fa mito e mistica esoterica; Orfeo ne accarezza le corde e le fa vibrare, come un dio le colonne del proprio tempio… Ancora non si scorgono segni di elaborazione musicale nella Grecia arcaica fino a Pitagora che postula di “associare la musica ai rapporti numerici insiti nella armonia dell’Universo” o a Platone che intende la musica come armonia-rhytmos-logos, elementi affiancati e interconnessi; certo, se il logos succhia dal “Mondo delle Idee” (o, come diremmo noi, dalla “memoria universale”), verrebbe quasi prefigurata la derivazione degli archetipi da quella sorgente. Proseguendo, non molto sappiamo della musica nell’antica Roma, e assai estranea ci sembra la musica giapponese, cinese, indiana, perchè anche se gli archetipi sono gli stessi in ogni tempo ed in ogni luogo (a parte, come abbiamo detto, un loro possibile “sviluppo”) certamente le elaborazioni sono state differenti, dato che diverso dal nostro è stato l’approccio ai problemi post-percettivi emozionali e logici.

La musica del filone europeo inizia di fatto col canto Gregoriano, ispirato alla più profonda spiritualità cristiana: gli archetipi sono estremamente rarefatti e si cerca forse una “corrispondenza” tra sonorità esterne guidate e ingabbiate tra le pareti dei templi e sonorità interne all’Anima da trasformare in elementi di ascesi.

Il post-gregoriano, i Trovadori, la musica delle Corti due-trecentesche: si inizia il riferimento a valori non solo dello spirito, con la comparsa nella musica dei primi archetipi emozionali e l’inizio di aggregazioni di realtà materiali e spirituali compresenti, mentre l’elemento logico razionale che lega i vari momenti musicali è ancora estremamente semplice e non eccessivamente strutturato.

Ed ecco , con Johann Sebastian Bach, il “laccio” della mente: la grande strutturazione del discorso musicale;la ricerca di logica del linguaggio (ma anche con indiscussi elementi emozionali) e la codificazione degli elementi armonici nello sviluppo teorico del sistema tonale, che vede nell’Arte della Fuga una delle pietre miliari del cammino della musica.Ancora, l’ultimo contrappunto sul nome B-A-C-H (le cui lettere corrispondono nella nomenclatura tedesca alle note musicali Si bemolle, La, Do, Si) assomma alla strutturazione logica della grande Fuga gli elementi simbolici legati al nome del Compositore e altri ancora; ma se Bach ha potuto costruire una architettura musicale “preconfezionata” , oggi è possibile fare di più: con adeguato software informatico in grado di individuare le tonalità e mantenere i rapporti cromatici, è possibile ricostruire la logica dell’intera quadrupla fuga e successivamente sostituire le quattro note B-A-C-H con altre quattro qualsivoglia ottenendo un’altra quadrupla fuga; questo procedimento può essere ripetuto per tutti i gruppi di quattro note che si possono formare dalle dodici note fondamentali, ottenendo un numero di fughe pari (come ci insegna il Calcolo Combinatorio) alle Disposizioni semplici di dodici oggetti presi quattro a quattro, e cioè 12x11x10x9 = 11.880 fughe ! Tra queste, probabilmente, ne troveremmo alcune forse più significative di quella originale, a causa degli archetipi da queste evocati e “ritrovati” per via logico-informatica anzichè per volontà espressa del Compositore. A tanto il “laccio” della mente può condurci ! In ogni caso occorre notare, a riprova della grandezza di Bach, che Egli non si fece prendere totalmente e strettamente dalla logica delle architetture che Lui stesso creava: quasi in ogni fuga ci sono degli elementi e concetti musicali “estranei” che piombano come meteore e che determinano intrusioni armonico-melodiche che alterano e deviano genialmente il corso “automatico” della fuga medesima. Ad esempio,dal Clavicembalo ben temperato, nella Fuga II°,3 (tre voci) l’esposizione del tema-soggetto è così fatta: soggetto-risposta-soggetto rovesciato; è veramente inconsueta la presenza da subito del soggetto rovesciato! Ancora, in Fuga II°,5 (quattro voci) le anomalie non si lesinano: il controsoggetto derivato dalla coda del soggetto (senza effetti di monotonìa, come di solito); il controsoggetto non in contrappunto doppio (anarchia pura!); le quinte prese per moto retto, non in parti interne (!); eppure è una fuga stupenda che esprime chiaramente la differenza tra arte e mestiere.

Da Bach a Mozart attraverso un lento cammino evolutivo: pochi anni e in realtà un abisso, che vede la nascita del formalismo settecentesco e del “cicisbeismo”; in musica ciò si ripercuote sia nella sospensione del processo di ampliamento evocativo degli archetipi emozionali, sia nella semplificazione delle architetture logico-musicali bachiane, sia nella creazione di forme musicali adatte sopratutto a fare da “sottofondo” a scenari di comodo , salvo fortunatamente alcune grandi eccezioni (Haydn, Haendel).

Con Mozart,”si cambia musica”:se Egli certo non fu indenne dalle mode della sua epoca e dalla cultura barocca in gran parte delle sue composizioni, purtuttavia riuscì a infrangere il “laccio” bachiano e a ritrovare la “vena” emozionale; fu aiutato anche dalle sue attitudini “libertine”? Certo è che tutta la musica successiva gli deve molto, e l’ultima sua composizione(la Messa da Requiem) è opera dal respiro immenso in cui l’accorato dolore si mescola alla più alta speranza , quasi che dalla coscienza della fine scaturisse la consapevolezza di un nuovo Inizio: forse con Lui nasce l’autentico ideale romantico.

In effetti,il Romanticismo si propone subito come l’affermazione di un diritto all’irrazionalismo, quasi un rigurgito possente degli archetipi emozionali troppo a lungo tenuti a freno;ed ecco Schubert e Beethoven: poesia e idea hegeliana nell’ambito di una concezione assolutamente personale in cui domina sopratutto l’emozione di una poetica, di un ethos, di una volontà corale e generalizzata segnate dal genio.

Ma solo Brahms (parzialmente anticipato da Schumann) raggiunge la completezza delle vibrazioni dell’anima individuale: gli archetipi emozionali più profondi vengono evocati in una sintesi che vede compresenti tutte le sfumature affettive; Brahms è un atto d’amore universale che abbraccia con la sua inimitabile poetica ogni momento di vita; Egli riconduce ogni sentimento, anche di vigore o di tragedia, ad un intimo dramma la cui chiave puoi conoscere solo se passi con estrema umiltà attraverso le strade elaborate e fiorite, a volte lineari a volte tortuose e faticose , che Lui stesso ti indica e a cui ti obbliga.

Ed ecco sorgere sulla scia brahmsiana (8) le Scuole Nazionali: la completezza delle vibrazioni dell’anima popolare raggiunge il massimo, mentre si cercano e si individuano gli stati d’animo e i modi di sentire comuni a tutto un gruppo etnico; è il momento del grande riscatto, della liberazione di energie genuine tenute a lungo compresse e soffocate, del “sentirsi fratelli”, nella ricerca di un destino comune, di una vita che conduca a modelli di identificazione corali e condivisi dal proprio gruppo: la Patria, la Famiglia , l’Onore. I grandi Compositori delle Scuole Nazionali trasmettono nelle proprie musiche queste emozioni, assieme agli stati d’animo più ricorrenti e vissuti, fornendoci una chiave unica e straordinaria per l’accesso al cuore di ciascun popolo: chi li ascolta e li fa propri, quando visiterà le nazioni o i luoghi che furono sede di tanto commossa ispirazione, non potrà mai più prescindere dal loro modo di sentire, quasi fossero stati individuati e associati gruppi di archetipi con modalità assolutamente caratteristiche e tipiche della etnia cui si riferiscono. Le Scuole Nazionali Francese, Spagnola, Russa, Norvegese, Finlandese, Slavo-Boema, Americana, etc, forniscono e utilizzano forse il massimo evocativo degli archetipi emozionali. L’Italia purtroppo non ha avuto nell’Ottocento una Scuola Nazionale di Musica Classica , se si eccettuano le poche composizioni sinfoniche dei pur grandi operisti , e le loro “Ouvertures” che a volte raggiungono intensità e profondità tutt’altro che trascurabili (9). Bisognerà attendere il Novecento, con Respighi, Pizzetti, e soprattutto Casella, per vedere riaccendersi la tradizione musicale italiana affievolitasi dopo Vivaldi.

Ed ecco, – dopo le Scuole Nazionali e dopo Mahler Strauss Berlioz – propiziati da Wagner Franck Faurè, gli Impressionisti, e poi gli Espressionisti, come reazione-ripudio di un linguaggio ultracodificato (la “superfetazione cromatica”, derivata dalla descrizione puntuale dei diversi e variegati stati d’animo vissuti dal Compositore durante l’identificazione profonda con gli elementi dell’Anima Nazionale determinanti l’opera d’arte musicale), e come riaffermazione romantica di un rapporto individuale con l’oggetto artistico: persino il sistema delle tonalità viene infranto, con la introduzione di una nuova “scala” in cui vengono aboliti i semitoni, con conseguenze determinanti sul piano armonico e assolutamente nuove sul piano delle elaborazioni musicali di particolari “atmosfere”: eppure gli archetipi sono sempre gli stessi !

Quasi contemporaneamente, la parentesi marxista: con Shostakovich ,il tentativo (impostogli) di individuare e affermare una completezza di vibrazioni dell’anima “collettiva”, ed il suo personale dramma per salvaguardare la propria originalità.

Gli rispondono, da par loro, Bartòk e Stravinskij. Ma già incalza l’atonalismo e la dodecafonia come ricerca di nuovi canoni estetico-musicali: è il cammino verso la musica “astratta”, ove l’archetipo puro, quasi senza mediazioni logico-strutturali o rigurgiti mentali e culturali, si proietta direttamente nell’opera artistica.

E poi Stockhausen, e la musica elettronica.

Oggi, anche la musica “multimediale”: essa ha un senso solo in quanto ogni “media” utilizzato per trasmettere il messaggio si ricolleghi agli stessi archetipi: sarà vera arte se l’Autore riuscirà a individuarli e a rappresentarli contemporaneamente ciascuno col suo proprio linguaggio nell’ambito del singolo “media” espresso, senza commistioni o errori.

2.2 – Considerazioni finali

Tornando,per concludere, alla grande epopea artistica donataci dalla elaborazione musicale, è chiaro che chi non riconosce l’esistenza di un unico linguaggio che sta alla base di ogni musica può essere indotto a pensare che non esista “la” musica, ma “musica”, o “le musiche”, in dipendenza dei diversi tempi e luoghi di manifestazione del fenomeno musicale. Certamente, per alcuni secoli, il sistema tonale scientificamente codificato fu creduto connaturato con la musica stessa, e sembrò unificare definitivamente il linguaggio e addirittura coincidere con esso; ma quando si constatò che si poteva fare Arte con l’atonalismo o con la musica elettronica apparve chiara l’anomalìa: o si trovava un altro elemento unificante, o si doveva parlare di “musiche”. Certamente, la differenziazione delle etnìe ha dato luogo a principi formativi diversi che dobbiamo in ogni caso accettare; ma la possibilità di analizzarli comprenderli e confrontarli risiede solo nella ipotesi dell’esistenza di un unico linguaggio archetipico di base, anche se possono integrarlo le rielaborazioni e le autonome elaborazioni mentali.

Per noi,quindi, la musica è linguaggio articolato su archetipi di base (10) attraverso i quali è possibile formare concetti puramente musicali ed esprimere pensieri musicali: la loro correlazione con i concetti ed i pensieri propri della razionalità umana è possibile solo e soltanto a livello archetipico, mai a livello contestuale. E’ da notare che da uno stesso archetipo semplice o composto o da uno stesso gruppo di archetipi possono derivare più concetti musicali che ne contengono l’identica essenza ma che si differenziano per la diversa “attinenza” delle componenti archetipiche all’intero pensiero musicale rielaborato e sviluppato dall’Autore.

Può una interpretazione musicale “falsare” il messaggio dell’Autore? Pensiamo che ciò sia possibile, dal momento che l’archetipo, sia esso usato “al naturale”, o espanso, o rielaborato, ha un suo “tempo proprio” non troppo variabile senza conseguenze. Ad esempio, una lettura più veloce opera una “compressione” degli archetipi e delle rielaborazioni con conseguente perdita di definizione del messaggio, mentre una lettura più lenta “snerva” gli elementi del pensiero musicale con conseguente perdita di sintesi e quindi difficoltà di comprenderlo.

E la musica vocale? Pensiamo la voce umana come operatore duplice, utilizzato contemporaneamente: a)-per l’enunciazione di un tema musicale, a mò di strumento; b)-per l’esplicazione di un pensiero razionale. Per cui, allo stesso tempo, identici archetipi danno luogo a discorsi musicali e a discorsi razionali; ma è piuttosto il testo che (ovviamente) commenta la musica, a riprova del fatto che non c’è alcun bisogno di “traduzione” letteraria di un testo musicale per comprenderlo, anche se ciò è possibile.

Nessuno, naturalmente, vuole disconoscere i meriti e la grandezza del “Teatro musicale”, il Melodramma, che può raggiungere grandissimi livelli espressivi ed artistici (e in Italia l’Ottocento ed il primo Novecento lo ha dimostrato), ma solo anche con l’ausilio di mezzi “extramusicali”. E non alludiamo soltanto al “testo cantato”, che può non essere del tutto “extramusicale” almeno nella misura in cui la voce sia “strumento” e non soltanto mezzo di espressione razionale di concetti e di emozioni, ma sopratutto alle tecnologie di espressione scenografica. In ogni caso, la “vera” musica non ne necessita.

Comunque, dall’Ottocento in poi, nella più alta tradizione musicale europea, il “puramente musicale” equivalse al “puramente strumentale”, tollerando la voce umana solo se utilizzata come strumento. Allo stesso modo, si vide un intervento “extramusicale” quando nacque la musica “a programma”, gridando all’indebito inquinamento e alla corruzione effettuata prima sul Compositore e successivamente sugli ascoltatori. Eppure nessuno nega la grandezza di alcuni Poemi Sinfonici di Dvoràk, di Strauss, di Rimskij Korsakov!

In ogni caso, in seguito, il concetto di “extramusicale” si estese ben presto, nella concezione di molti musicologi, a tutte le “interferenze” in grado di condizionare in qualche modo la musica e allontanarla dal “puramente musicale”, quali persino il carattere e la cultura individuale dei compositori, e le sollecitazioni dell’epoca in cui vissero.

Nel nostro intendimento, il conflitto tra “musicale” ed “extramusicale” si risolve solo con l’ipotesi archetipica, che riconduce ad una unica radice l’elemento artistico, per cui, in realtà, TUTTE le musiche sono “a programma” (costituito dal susseguirsi degli archetipi evocati), e contemporaneamente NESSUNA musica è “a programma” (dato che ogni canovaccio intellettuale precostituito può esprimersi musicalmente solo per mezzo degli archetipi).

Pensiamo che la diatriba tra il “puramente musicale” e l’ “extramusicale” sia dovuta ancora una volta al fatto di aver voluto analizzare la musica partendo dalla musica e non dall’uomo: nella nostra concezione, il “puramente musicale” è attributo che dovrebbe spettare al solo archetipo; di conseguenza, persino le rielaborazioni mentali sarebbero già “extramusicali”. In ogni caso, non ha senso parlare di coincidenza tra “puramente musicale” e “puramente strumentale”, dato che ogni strumento è stato creato artificialmente dall’uomo per esprimere e “mimare” gli archetipi, ed è già di per sé da concepirsi “extramusicale”; sotto quest’aspetto, non c’è differenza tra un violino e il cannone usato da Tchaikowskji al posto del timpano nella sua “Ouverture 1812”. Infine, ad esempio, è sintomatico ed esilarante il fatto che persino di Beethoven sia stato detto che la sua musica è densa di elementi “extramusicali” perchè “erompe da uno stato di tensione dettato dalla volontà”, per cui la sua opera risulterebbe “spostata dal terreno puramente musicale ed estetico alla sfera etica e dell’impulso morale”(Handschin) ! Per noi, niente di più umoristico e lontano dalla verità: pensiamo invece che le componenti etiche, l’impulso morale, lo stato di tensione dettato dalla volontà, siano gli elementi che via via presentandosi nell’animo (mente-precordi) del Compositore, determinarono la scelta e l’utilizzo degli archetipi che hanno dato vita a concetti, discorsi e pensieri “puramente” musicali, quali quelli da Lui espressi. Certamente, riconosciamo che i grandi ideali cui Beethoven si ispira e che manifesta con tanta nettezza e vigoria, saranno sempre presenti -quasi come un canone- in tutta la sua opera, e ne determineranno la grandezza, ma ne segneranno inequivocabilmente anche i suoi limiti: al di là di quegli ideali c’è l’uomo, la cui intimità misteriosa, preclusa a Beethoven, si rivelerà interamente per la prima volta -come abbiamo detto- solo con Brahms.

Concludendo questi brevi cenni, la infinita riconoscenza dei cultori della musica vada a quanti Compositori, Interpreti, Esecutori, ci hanno rivelato e tramandato l’Arte musicale, permettendoci, attraverso i comuni archetipi e tramite le loro geniali rielaborazioni ed elaborazioni mentali,di percepire un “Qualcosa” che abbiamo riconosciuto inequivocabilmente come parte inscindibile del nostro Io.

Note nel testo:

(1) – Vedi Appendice 1-7

(2) – Vedi Appendice 1-8a

(3) – Vedi Appendice 1-8b

(4) – Abbiamo usato questo antico termine ( che per noi sarà costituito dall’interazione visceri-encefalo, come diremo in seguito) perchè lo riteniamo concettualmente più adatto adenominare la sede delle emozioni, sia evocate che percepite, che non il “cuore”, troppo delimitato e incompleto; riteniamo infatti che una emozione o stato d’animo possa interessare contemporaneamente, sia pure in maniera diversa e adeguata a ciascuna situazione, il cuore, gli altri visceri, gli organi di senso in genere, compreso i sessuali. E’ da tener presente che la moderna neurofisiologia individua la sede delle emozioni nell’encefalo, nelle strutture temporali e limbiche, nell’amigdala, mentre la mente, per ciò che concerne la parte più propriamente cognitiva, utilizzerebbe la corteccia cerebrale. Noi riteniamo che, per quanto riguarda la parte emozionale, l’uomo riceva i propri archetipi dall’ esterno o dall’interno del proprio corpo, li percepisca attraverso gli organi di senso, li ritrasmetta alle strutture encefaliche sopra citate, che sono preposte a individuare e classificare gli archetipi emozionali e favorirne l’incasellamento controllato nella memoria profonda, e che hanno il compito e la funzione di evocare e far riaffiorare detti archetipi al momento della “visione profonda”, del “big bang” che presiede la nascita del fatto artistico; in questo senso è da intendersi per noi il ritenere che l’origine delle emozioni è nell’encefalo”. Naturalmente, durante la normale percezione delle emozioni nel corso della vita umana, queste vengono “riconosciute” (e propagate nei visceri più predisposti a sentirle) proprio da quelle strutture encefaliche, mediante paragone con gli archetipi già immagazzinati.

(5) – Abbiamo distinto nel corpo umano la “mente”, il complesso “mente-precordi”, il “corpo” propriamente detto (le membra). Il cervello umano, con tutte le sue attribuzioni (zone della memoria profonda, della memoria normale, stratificazioni varie), è il “sostrato corporale” di cui si serve la mente per elaborare il pensiero, che può essere anche “pensiero emozionale” se elaborato dal complesso mente-precordi, con contenuto emozionale variabile a seconda del livello di “interessamento” dei precordi.

Abbiamo inoltre introdotto la nozione di “Spirito” umano (collegato alla mente) e di “Anima” (collegata al complesso “mente-precordi”): la necessità di questa introduzione è dovuta al fatto che, mentre il corpo umano propriamente detto ha una collocazione spazio-temporale definita, la mente umana, al contrario, può risiedere nel cervello, (e quindi nel corpo) ma anche proiettarsi fuori di esso; ciò avviene spesso, sia in si tuazioni normali, (quando, esprimendo il proprio pensiero, essa permea di sè altre menti), sia in situazioni particolari (ad esempio, inducendo alla ipnosi altre persone, o quando avvengano fenomeni di telepatia o altro).

Definiremo quindi “Spirito” dell’uomo la sua mente in proiezione esterna.

Analogamente, il complesso mente-precordi può proiettarsi anch’esso all’esterno del corpo umano, tutte le volte che si esprima e si partecipi ad altri un pensiero contenente emozioni (situazione normale) o inducendo ipnosi o forme telepatiche con coinvolgimento emozionale (situazione particolare). Definiremo quindi “Anima” dell’uomo il suo complesso mente-precordi in proiezione esterna.

Per il Materialista puro, lo “spirito” e l’ “anima” così definiti, sono mortali, e subiscono lo stesso processo di degenerazione e disfacimento del corpo umano.

Per lo Spiritualista, lo “spirito” e l’ “anima” sono da considerarsi appartenenti ad un altro universo, e, a differenza del corpo umano, non degenerabili, e quindi immortali, e possono “proiettarsi” anche a distanza dando luogo ai fenomeni detti di “ubiquità”, “bilocazione”, “sdoppiamento”, durante i quali verrebbe proiettato all’esterno il complesso mente-precordi compreso la volontà e l’autodeterminazione cosciente, mentre il corpo rimane temporaneamente in posizione di “catalessi” (specie di sonno profondo caratterizzato da estrema rigidità delle membra corporee, che termina al “rientro” dalla proiezione esterna).

Per l’Uomo di Cultura e di Scienza, che deve, fino a prova contraria, restare in posizione di “dubbio scientifico”, le definizioni e concezioni del Materialista e dello Spiritualista vengono considerate “di comodo”, e non implicano nè debbono implicare alcuna scelta, tra l’una e l’altra convinzione, in grado di

modificare il proprio orientamento e comportamento nella formulazione delle proprie teorie filosofiche o scientifiche, o nella interpretazione di situazioni sperimentali; se ciò non avvenisse, dovremmo parlare di “scienziati materialisti” o di “scienziati spiritualisti”, e questo costituirebbe una grave “contraddizione in termini”, a un passo dalla malafede scientifica.

(6) – L’archetipo si forma e si fissa, nelle strutture cellulari preposte alla formazione della memoria profonda della mente, quando uno stimolo “originale” si presenta per la prima volta sulle terminazioni nervose ad esse afferenti, inviato dai sensi che lo hanno raccolto all’esterno (o all’interno) del corpo umano; per stimolo originale si intende una sequenza di onde elettromagnetiche (che i neuroni con un meccanismo di polarizzazione-depolarizzazione ritrasmetteranno al cervello) assolutamente nuova, non riconducibile ad altre già registrate nella memoria medesima.

Per “stimolo originale” si intende quindi qualcosa di originato da una “emozione primaria” dovuta ad agenti interni o esterni al corpo umano, ma comunque capaci di indurre nel cervello umano una modificazione permanente di struttura di alcune celle della memoria profonda (gli eventuali codici genetici possono soltanto predisporre, non attuare). Quanto tempo può durare l’acquisizione degli archetipi dopo la nascita? E mentre è ancora incompleta tale acquisizione, in che modo agisce la memoria dei normali avvenimenti della vita attuata da settori cerebrali sicuramente diversi da quelli che registrano gli archetipi? Probabilmente, vengono impressi momenti staccati, non collegati da strutture mentali di numerabilità, di giudizio, di logica, di raffronto emozionale, ed è per questo che i ricordi della primissima infanzia ci appaiono molto particolari, quasi “flash” diversi dall’uno all’altro essere umano, e acquistano una maggiore logicità e raffrontabilità anche emozionale man mano che sono stati acquisiti i principali archetipi. Abbiamo parlato di “emozioni primarie”: chiariamo meglio il concetto dicendo che i principali archetipi acquisibili sono identici da sempre per ogni individuo, da quando il cervello umano ne ha consentito l’acquisizione; ma la modalità di acquisizione è sempre la stessa? Potrebbe avvenire che una distorta o insufficiente “presentazione” dell’archetipo determinasse in seguito una effettiva differenza da uomo a uomo delle possibilità di controllo e coordinamento logico-emozionale di tutte le percezioni memorizzate dall’essere umano? In ogni caso, riteniamo che il periodo delle acquisizioni archetipali sia un momento molto delicato dell’intera fase evolutiva dell’uomo. Gli archetipi vengono poi “rielaborati mentalmente” quando debbono formare la base di un pensiero, e non sappiamo se anche la rielaborazione mentale può venire archetipizzata, e se possano quindi esistere “archetipi composti” formati assieme alla rielaborazione. Difatto, un unico archetipo che sembra strutturato da altri è in realtà un’unica struttura, ma può “partecipare” di elementi di altri archetipi (quali quelli numerici o ritmici o altri); in ogni caso, conserva una sua “unicità”, come un insieme numerico che si sovrappone o partecipa ad altri insiemi (intersecandoli) mediante gli stessi elementi, pur restando assolutamente “univocamente definito”; resta a vedere come si possono richiamare i distinti archetipi e a “chi” rispondono; ma per mezzo delle reti neurali che formano la struttura cerebrale e che permettono la “distinta sovrapposizione” degli stimoli registrati o ancora da registrare, non dovrebbe essere difficile stabilire i distinti legami e le gerarchie spazio-temporali di risposta, necessarie alla logica metodologica del “richiamo”, della “evocazione”.

Chi richiama gli archetipi? La mente ? Il complesso mente-precordi? Quando divengono effettivamente strutturati e funzionanti i circuiti neuronali in grado di ricevere e selezionare i diversi archetipi e le loro rielaborazioni mentali ? Non è facile rispondere a queste domande. E’ nostra ferma convinzione, inoltre, che le rielaborazioni mentali quali quelle legate alla formazione del linguaggio umano e alle logiche di base per la comunicazione tra uomo e uomo, formino di fatto una “stratificazione”, una sedimentazione che separa la zona della memoria profonda (sede degli archetipi puri) dalla zona della memoria normale della mente, ove avviene la elaborazione e la espressione dei concetti-base del linguaggio umano. Se ciò è vero, anche nella musica le rielaborazioni mentali appartengono a questa stratificazione, per cui una realizzazione musicale (o artistica in genere) potrà essere composta sia da archetipi puri provenienti dalla memoria profonda e che la mente (cosciente o inconscia) “lancia” direttamente, sia da rielaborazioni mentali compiute nella loro sede razionale.

(7) – Altro argomento della massima importanza è la “universalità” dell’archetipo, che deve potersi successivamente “riverberare” su ciascun senso preposto alla sua espressione: questa è condizione essenziale perchè dallo stesso archetipo possano scaturire le varie espressioni artistiche (pittura,scultura, letteratura, musica).

E’ nostra convinzione che lo stesso archetipo, inizialmente acquisito per via ritmo-sonica, vada successivamente “arricchito” con altre acquisizioni attinenti il suo significato, quali scaturiscono dai singoli sensi che per la prima volta

ricevono e ritrasmettono al cervello i relativi segnali.

L’archetipo arricchito può configurarsi come “archetipo composto”? E il processo avviene già mediante una rielaborazione mentale compiuta da strutture embrionali ma già predisposte? E tale rielaborazione si “aggiunge” all’archetipo iniziale per formare così un archetipo definitivamente arricchito, e quindi “composto”? Non è facile rispondere a queste domande. Secondo noi, l’archetipo “composto” non è da pensarsi come “avente una struttura”: una goccia non è “strutturata” da altre gocce. La definizione “composto” va riferita alle modalità anche temporali di acquisizione. Facciamo un esempio: l’archetipo di dolcezza, acquisito da un bimbo appena nato mediante un suono (tàa), viene integrato dagli stimoli tattili provenienti dalla prima carezza, e poi dagli stimoli visivi provenienti da uno sguardo dolcissimo (della madre), e forse dagli stimoli odorosi del suo profumo e dagli stimoli gustativi del suo latte. Questa “integrazione” dell’archetipo avviene sicuramente in tempi diversi, ma è forse dovuta ad una embrionale rielaborazione mentale che viene (a integrazione completata, magari secondo schemi genetici prestabiliti) successivamente “definitivamente archetipizzata”, in modo che difatto non esiste più “l’archetipo incompleto” precedente. Certamente, la espressione dell’archetipo in una opera d’arte necessita di “attuazioni” tecnologiche diverse a seconda del tipo di arte in cui si esplica. Se è pittura, l’archetipo di dolcezza

potrà svilupparsi nei contenuti (ad es. una raffigurazione di uomo o donna che guarda un oggetto del proprio amore con dolce intensità) e allora occorrerà sicuramente una rielaborazione mentale che crei lo scenario e i protagonisti; oppure potrà svilupparsi nella forma espressiva (ad es., pennellate molto lievi con tonalità di colore molto vicine, che quasi si integrino: una specie di onomatopeia visiva dell’archetipo musicale); oppure nell’uno e nell’altro modo contemporaneamente. Se è scultura, l’archetipo di dolcezza potrà analogamente svilupparsi o secondo contenuti figurativi o mediante forme estremamente levigate e quasi senza soluzioni di continuità (senza “scalini”), o con ambedue le modalità: Analogamente, nella letteratura, poetica e non, avremo sia i contenuti concettuali che lo “stile proprio” per esprimerli.

Ma come avviene sequenzialmente l’ “arricchimento” di un archetipo? Per noi, secondo la “sensorialità crescente” del cervello che lo acquisisce, che si autostruttura secondo gli schemi genetici dal momento delle prime formazioni cellulari in poi: prima lo scambio del suono-ritmo, poi della tattilità, poi dell’odorato, del gusto, e in ultimo della vista: secondo questa concezione avremmo una acquisizione e configurazione (ma non strutturazione !) “sferico-concentrica” degli archetipi : al centro la sfera musicale (col suono-ritmo già configurato di archetipi numerici e logici), e via via per sfere concentriche le altre acquisizioni (nell’ordine: tattilità, odorato, gusto, vista).

In effetti, abbiamo un originale e significativo riscontro evolutivo: l’uomo primitivo inizia ad esprimersi “artisticamente”a partire dalla sfera archetipicale più esterna, la vista (pittura rupestre), per poi passare al gusto e odorato (offrendo alla propria donna cibo e fiori via via più elaboratamente), in seguito passare alle arti fittili (statuette di divinità e statue-stele) e infine al suono (flauto di Pan).

(8) – Anche la Scuola Nazionale Boema appartiene chiaramente alla scia brahmsiana; e non poteva essere diversamente, specie per il caso di Dvoràk, considerando la benevolenza quasi paterna che Brahms aveva per lui. Ma nel caso del Concerto per Violoncello Op.104 avviene una cosa straordinaria: le posizioni si rovesciano,l’Allievo ha superato il Maestro. Infatti Brahms espresse, riferendosi a questa opera, stupore e come una sorta di invidia per non averla scritta lui: ma Egli non sarebbe stato capace, per impossibilità costituzionale, di realizzare qualcosa di simile. Perchè ?

Primo, per il suo linguaggio e per la struttura stessa delle frasi musicali; linguaggio sfumato e dolcissimo fatto di impasti orchestrali generalmente omogenei e mai in contrapposizione drammatica tra loro, capace di evocare profondissime sensazioni mentali cui si adeguano successivamente le emozioni, delicatamente poggiate su di esse , intrecciate ma distinte; le frasi musicali poi, sempre molto articolate e generalmente assai lunghe e complesse , vedono la componente archetipica raramente stagliarsi

solitaria, ma quasi sempre avviluppata a quella rielaborativa, e ciò forma il tratto caratteristico della musica brahmsiana, ma ne delimita gli effetti che risultano quasi mai dirompenti. Anche nei momenti più impegnati e drammatici (come ad es. nell’”Ouverture Tragica”) la frase inizialmente netta viene successivamente rielaborata mentalmente e come assimilata, per proseguire secondo logiche espressive di grande vigore strutturale, ma con perdita di immediatezza e di emotività.

Secondo, per la differente identificazione con l’oggetto compositivo, che in Brahms è continuamente coscientemente filtrata dai moti dell’anima, mentre in Dvoràk c’è sempre distinzione tra momenti “coscienti” e marcati da vibrazioni intime, e momenti autorivelantisi, che utilizzano l’anima del Compositore solo come mezzo medianico di supporto alla loro autonoma estrinsecazione; conosceremo ben presto questo secondo tipo di identificazione, ad esempio in molte opere di Debussy (“La mer” , i “Trois nocturnes”) .

(9) – questo fatto permette a molti Critici musicali italiani di snobbare” la stagione delle Scuole Nazionali limitandola ad un episodio meramente marginale nel corso della evoluzione del pensiero musicale, nonchè di atteggiarsi a puristi per non aver conosciuto la “contaminazione” da queste provocata; si sentono quindi, perchè esenti dal “peccato originale”, in diritto di pontificare sulle interpretazioni di Direttori d’Orchestra e sulle scelte di Direttori Artistici ! Chiediamo perdono al mondo per il loro atteggiamento, perchè non sanno quel che si dicono. Ben diverso sarebbe stato il loro comportamento se l’Italia avesse avuto una Scuola Nazionale Romantica.

(10) – Si possono pensare le strutture musicali come costituite da una struttura base di riferimento, formata da un archetipo di respiro (o da una sua rielaborazione), all’interno della quale compaiono archetipi numerici, ritmici, logici, emozionali. Ogni complesso di due note distanti un semitono decrescente e non segnate ritmicamente può costituire archetipo di dolcezza, che può divenire via via più “aspra” se le note distano più di un semitono. Se le note sono molto segnate ritmicamente possono costituire archetipo di pianto convulso, o di ansia, o di terrore, o altro; se invece il segno ritmico è debole, l’archetipo può essere di pianto disteso, o di tristezza, o di serenità; gli archetipi di forza e di ineluttabilità hanno loro caratteristiche ben riconoscibili. Ogni complesso di più di due note di altezza crescente (decrescente) può costituire archetipo di salita (discesa) con eventuale rielaborazione. Ogni gruppo di note “che tornano su se stesse” può costituire archetipo di dubbio (se le note sono molto vicine tra loro, di solito un semitono); se invece le note sono più lontane tra loro (un tono o più), possono formare archetipo di domanda (o domanda-risposta se i gruppi sono due, con concatenazione logica); possono esservi anche qui rielaborazioni degli archetipi, a variarne e modularne l’espressività. Gli studi per individuare nuovi archetipi sono tuttora in corso.

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