Parte 3°: L’Arte, La Musica, L’Esistente

11.1 – Il “Big-Bang”: nascita del fenomento artistico puro

Cercheremo di analizzare il momento più grande dell’essere umano, quello in cui esplica la sua creatività. Occorre notare che esistono diversi “gradi di creatività”, a seconda del diverso coinvolgimento mente-cervello-sistema nervoso. Cominciando dal meno elevato, potremo distinguere:

1) Creatività esclusivamente razionale (o razionale-elaborativa). Vi intervengono solo autonome e automatiche elaborazioni mentali, a mò di frasi logiche (filosofia), logico-numerico-computazionali (matematica), logico-strutturali (fisica, chimica, scienza in genere); in questo settore le realizzazioni prescindono dalla necessità di “emozioni”, tutto si svolge come secondo uno sviluppo programmato. Occorre tener presente però che nessuna delle grandi e fondamentali “intuizioni” della Scienza è stata raggiunta con questo tipo di creatività. Tali intuizioni vanno comunque espresse e vengono pedissequamente e analiticamente riformulate dalla mente umana con metodologie proprie di questo settore.

2) Creatività razionale-rielaborativa. Per la mente razionale umana, oltre la possibilità delle elaborazioni autonome, si affaccia ora quella dell’utilizzo delle facoltà rielaborative, da lei applicabili agli archetipi emozionali contenuti nelle rappresentazioni disposizionali realizzate sia dai circuiti neurali innati che modificabili, che sono interconnesse e collegate ai centri dell’apprendimento tramite sinapsi più o meno “forti”. In questo tipo di creatività che si riscontra essenzialmente nella letteratura in genere, nel teatro, in parti “standard” e convenzionali della poesia, della musica, delle altre arti, intervengono, nel linguaggio, oltre alle frasi logico-numerico-strutturali, anche frasi emozionali esposte però con canoni puramente razionali. Si possono trovare in questo settore espressioni rielaborate di archetipi emozionali puri, di archetipi espansi, composti, ma mai l’espressione archetipica emozionale primigenia.

3) Creatività archetipale. Si scatena mediante il meccanismo che abbiamo denominato “big bang”, la grande esplosione, la “folgorazione”: scatenata nel subconscio, essa si propaga in tutto l’essere umano, abbraccia e utilizza tutti i suoi recessi, tanto quelli del sistema nervoso che dei visceri e degli arti, interessando sia le strutture neuroniche in gruppi (della regione subcorticale) che quelle, più recenti, aventi strutture stratiformi (paleocortecce e neocortecce). Affiorano, e sono utilizzati con un meccanismo ignoto, gli archetipi emozionali puri, gli archetipi espansi e composti presenti nelle relative rappresentazioni disposizionali, che vengono come incastonati in una grande composizione, e ricompaiono poi a livello cosciente, in un susseguirsi e integrarsi assolutamente originale e di volta in volta sempre diverso.

La grande Arte, come la grande Scienza, nasce con il nucleo formato da espressioni archetipiche emozionali; ad esso si affiancano le espressioni rielaborative che tentano di serrare ferreamente in una logica le esplosioni alogiche e atipiche: delicata è la funzione dell’Artista, chiamato prima a sentire e poi a mediare. La sua grandezza consiste nel trovare il “supremo equilibrio” tra le diverse espressioni.

Ma vediamo con maggior dettaglio in chi, come, dove nasce il “big-bang”. Il perchè della sua essenza è già stato sufficientemente illustrato. Ricordiamo che da sempre l’uomo sapiens ha fatto “arte”, anche quando non possedeva una mente completamente strutturata, e ha conservato (per fortuna!) questa attitudine anche quando la mente razionale formò il famoso “laccio”: non potendo costituzionalmente “comprendere” le emozioni, la mente razionale umana poteva solo “organizzarne logicamente” i riflessi contenuti nelle rappresentazioni disposizionali neuroniche, in attesa che si “liberasse” il meccanismo di autoespressione delle grandi emozioni primigenie che in origine (nei primitivi, nei bimbi) era sempre in azione, e ora (negli adulti di oggi) veniva invece come represso e condizionato a ben precise situazioni e, probabilmente, persone.
Ma quali situazioni, quali persone ? Rimandiamo per adesso l’analisi di situazioni e persone “normali”, e vediamo invece quelle “straordinarie”.
La persona straordinaria è il grande Artista, posto in una situazione straordinaria. Ricordiamo che non sempre (anzi, raramente!) Egli partecipa di tale situazione, che si verifica soltanto quando, a seguito di lunga e profonda concentrazione, cerca di raccogliere e sintetizzare (in parte razionalmente, in parte intuitivamente) i motivi e i contenuti più riposti del proprio “sentire”: è allora che giunge un “raptus”, una “folgorazione”, un “big-bang” che Gli toglie ogni coscienza e ogni possibilità razionale di “azione immediata”, costringendolo ad “ascoltarsi inconsapevolmente”. Chi ha vissuto ciò, lo descrive come uno stato di suprema completezza, insieme a suprema gioia e suprema sofferenza , al cui termine, angoscioso e al tempo stesso esaltante, viene riacquistata la coscienza: ora, finalmente, troveremo ivi traccia concreta dei grandi archetipi, sistemati in modo da rappresentare univocamente e in modo assolutamente originale quei “motivi” presenti nella concentrazione che precedette il big-bang; ora finalmente e lentamente la coscienza da intuitiva tornerà razionale, e potrà impossessarsi dei grandi archetipi, quasi Tavole della Legge che il novello Mosè si è trovato tra le mani, imperscrutabilmente e misteriosamente scritte!
Ma dopo la concentrazione profonda che precede ogni grande fatto artistico, come si attiva nell’artista il processo creativo sfociante nel big-bang? Via via che necessita evocare e articolare una emozione in termini sempre più reali, l’individuo autocosciente attiva, sia tramite la mente razionale che la mente inconscia, circuiti di by-pass che comprendono rappresentazioni disposizionali connesse con organi sempre più “esterni” e sempre più vicini al confine corporeo, la pelle; il processo può giungere fino a comprendere gli stessi sensi, e allora il circuito neurale non è più ” di by-pass” ma è l’intero sistema nervoso, compreso i circuiti neurali (pilotati dal cervelletto) connessi col subconscio: ciò avviene in alcuni “raptus” in cui il coinvolgimento del corpo diviene totale e anzi viene temporaneamente posta “in sonno”, in “stand-by”, la stessa mente razionale.
Di dove proviene il big-bang artistico? Proviene dall’esterno della mente o dall’interno di essa? Come possiamo essere certi che non sia un prodotto esclusivamente razionale? Osserveremo che, prima che intervengano le rielaborazioni mentali ad opera delle strutture cognitive cerebrali, il big-bang si manifesta come una intensa emozione che pervade tutto il complesso mente-corpo. Ma se esso avesse una genesi corporea esterna alla mente cosciente razionale, sarebbe percepito prima nei sensi, come ogni stimolo fisico-sensorio-emozionale usuale che tramite i sensi è raccolto dalla mente e catalogato nelle rappresentazioni disposizionali dei circuiti neurali a ciò preposti, e questo non avviene. Se invece esplodesse nell’interno, dovremmo dedurre che la mente cosciente razionale è capace di “creare” emozioni (anzichè solo percepirle tramite i sensi, catalogarle, richiamarle o rielaborarle), e neanche questo è vero. Bisogna dedurne allora che il big-bang avviene in un luogo cerebrale che è contemporaneamente esterno e interno al complesso mente cosciente-corpo, cioè nel subconscio, che durante il “raptus” lavora in modo autonomo sulla traccia dei contenuti della concentrazione profonda precedente. Alla fine, il risultato di questo lavoro diviene emozionalmente percepibile alla coscienza dell’essere umano (e subito dopo alla sua mente razionale) per mezzo di un circuito neurale modificabile (non sappiamo se ancora identificato) riferentesi al subconscio medesimo, in grado di fissare in rappresentazioni disposizionali particolari le “visioni emozionali” dovute al big-bang, che, dicevamo, fu provocato da una condizione di “concentrazione profonda” che mise in connessione i vari e specifici circuiti di by-pass necessari per ridestare le diverse rappresentazioni disposizionali presenti nel sistema nervoso dell’Artista, ricollegandole tra loro in modo da “porre a disposizione” del suo subconscio tutti i diversi tipi (e le diverse gradazioni) di emozioni da Lui possedute e collegate in qualche modo al fatto artistico volutamente cercato attraverso la concentrazione profonda.
A questo punto, il “risveglio” della mente razionale, che ora si trova nella condizione ideale per poter iniziare la rielaborazione di tutto il materiale contenuto nel sopracitato circuito neurale modificabile, trasmesso dal subconscio: e nasce la grande Opera d’Arte.
Fin qui la persona straordinaria. Ma come utilizzano il subconscio le persone “normali”, non necessariamente artisti, comunque in grado di recepire almeno parzialmente il messaggio e i significati della grande Arte ? Sicuramente, essi, per recepire, “comprendere a fondo” e gustare il prodotto artistico, dovrebbero porsi come in un “ascolto inconsapevole”, inizialmente non legato a schemi razionali coscienti e quindi dipendente dal subconscio. Ma purtroppo, il grado di “raptus” è generalmente leggero, data la scarsa abitudine alla concentrazione profonda; esso lascia poi più o meno rapidamente il posto ad una completa riapparizione della mente razionale, la quale con immensa voluttà, quasi vendetta, supplirà, alla scarsità e debolezza di tracce lasciate dai grandi archetipi emozionali durante il “raptus”, mediante il richiamo “artificiale”, dalle zone di memorizzazione, degli archetipi simili posseduti (da lei individuati) e di tutte le relative rappresentazioni disposizionali modulate (evocazione degli “stati d’animo”), rielaborando tutto quanto secondo il livello culturale individuale, che interviene sensibilmente a “mascherare” i veri significati, e, spesso, a creare l’illusione di una “vera” comprensione. Certamente, non è facile “sentire” un’Opera d’Arte, e con la sola mente razionale è addirittura impossibile, dato che essa può solo farci “capire” ciò che vuole lei!
Questo, in ogni caso, ci sembra, con tutte le difficoltà conseguenti, il “meccanismo” di attuazione dell’Arte, nel rapporto creatore/recettore.
E nei fatti di tutti i giorni, come interviene il subconscio? E’ verosimile che la qualità comunemente definita “intuizione”, e che non ha nulla a che vedere con i processi razionali, utilizzi lo stesso circuito neurale ad esso collegato. Analogamente, mentre i processi deduttivi della mente sono frutto della sua attività cognitiva razionale e dei circuiti neurali relativi, ai processi induttivi partecipa probabilmente anche il circuito connesso al subconscio.
Quale, infine, il substrato fisiologico del big-bang? Abbiamo ipotizzato che la sede del subconscio sia connessa col cervelletto, che ha struttura e funzioni anche indipendenti dal cerebrum, sede della mente razionale. E’ largamente ipotizzabile che durante la attivazione delle funzioni connesse alla concentrazione profonda, necessarie per attivare la funzione inconscia, si possa realizzare un collegamento diretto tra la struttura computazionale esterna dei microtubuli attivanti il subconscio e il “magazzino” di rappresentazioni disposizionali neurali dovute alle emozioni, dimodochè possano sussistere le condizioni per il verificarsi della “folgorazione”, e ciò con assoluta esclusione del cerebrum, bypassandolo completamente. Quando “tutto è pronto”, mediante un segnale di scambio tra struttura esterna e struttura interna dei microtubuli, si attiverebbe in essi l’effetto di “coerenza quantistica su grande scala”, con la nascita del “fatto artistico”, che verrebbe fissato subito in rappresentazioni disposizionali dai circuiti neurali connessi con le zone del subconscio medesimo; successivamente, al “risveglio” dalla folgorazione, tali circuiti neurali sarebbero automaticamente riconnessi al cerebrum, e la mente cosciente ne acquisirebbe la percezione e inizierebbe il processo di razionalizzazione, estrinsecazione, traduzione in linguaggio appropriato utilizzando anche le specifiche tecnologie e metodologie di espressione, tipiche del settore cui appartiene il fatto artistico realizzato. E’ stato anche ipotizzato che la grande Arte si realizzi solo quando avviene il passaggio da un tipo di “rappresentazione digitale” ad un tipo di “rappresentazione analogica”: per noi questo è possibile se al momento della “folgorazione” sussiste una effettiva trasformazione “in analogico” delle rappresentazioni disposizionali connesse con le zone del subconscio.
Qual’è la differenza tra un Artista e una persona “normale”? Anche nella persona normale, come dicevamo, possono attivarsi le zone cerebrali subconsce eventualmente connesse col cervelletto, probabilmente solo per le funzioni intuitive e automatiche. E’ nostra opinione che, oltre avere una straordinaria predisposizione, anche genetica, l’Artista possegga una eccezionale attitudine alla concentrazione e alla meditazione, accompagnata da una straordinaria “passione” creativa che condiziona la sua stessa volontà e lo costringe a dedicarsi completamente al proprio sogno artistico (o scientifico): la sua capacità di concentrazione si fa nel tempo così profonda da scatenare il meccanismo del raptus, pilotato dalle zone del subconscio, ma anche con coinvolgimento corporeo globale (**).

12.1 – I diversi modi di “fare arte”: la gradazione del livello artistico

Abbiamo visto i diversi tipi di creatività, a seconda delle diverse zone cerebrali interessate; ad essi, naturalmente, corrispondono diversi risultati artistici; ma occorre tener presente che una grande opera d’arte non è mai il risultato di un sol tipo di creatività, bensì la fusione armoniosa e sommamente equilibrata dei tre tipi elencati. Ciò non toglie che un artista raggiunga soltanto raramente una armonizzazione di queste componenti, e invece, a volte per pigrizia, per calcolo, per abitudini acquisite successivamente, e trascurando l’approfondimento meditativo che potrebbe condurlo a quella sintesi “automatica” scatenata dal vero “big-bang”, si abbandoni alla componente che al momento più gli conviene (e che di solito è di tipo razionale elaborativo o rielaborativo). Quando questo avviene, l’artista fa soltanto “accademia”, si limita a “copiare se stesso”: ma se è un grande artista, al pubblico piacerà lo stesso, perchè il suo “stile” discorsivo, il suo tratto, le brillanti invenzioni razionali, nasconderanno ai più la povertà di ispirazione emozionale della sua opera. Il grande Picasso è veramente grande solo in alcune sue opere, caratterizzanti ciascuna i diversi periodi artistici da lui vissuti; ma certo, anche nelle opere prive di “creatività archetipale”, il suo disegno, il suo colore, il suo modo di realizzare una estrema sintesi razionale riuscendo a farla sembrare vera ispirazione, mostrano la straordinarietà della persona. Allo stesso modo, Mozart non sempre è sommo, perchè da quel grande umorista che era, spesso dava ciò che gli chiedevano (musiche “di maniera”), facendo molta meno “fatica” psichica; ma quando voleva esprimersi al massimo, diveniva immenso, anche se ciò non era facile nel suo secolo, che predisponeva più alla rielaborazione di fantasia e di maniera che non alla concentrazione profonda.
Quindi, a parer nostro, una analisi del livello artistico raggiunto da una opera non può prescindere dalla:
a) individuazione degli archetipi emozionali puri, espansi e composti presenti, e contemporanea analisi della unicità delle espressioni globali archetipiche evocate, allo scopo di determinarne il livello “assoluto” raggiunto: chiaramente, la grande Arte richiede che le sequenze di tali espressioni, normalmente ricorrenti in molti pregevoli lavori, siano ora realizzate in modo assolutamente originale, univoco, e, con quelle tipicità, addirittura per la prima volta, in modo da costituire nel presente autentica “scuola” culturale, e assieme “creazione di dipendenza di linee culturali future”; b) individuazione di rielaborazioni mentali delle forme archetipiche di cui sopra: qui la razionalità può raggiungere vette eccelse, intervenendo a creare ritmi, metodologie, tecnologie di espressione attuate con modalità nuove e originali, che a volte mascherano la stessa forma archetipica da cui derivano;
c) individuazione di elaborazioni mentali autonome, in cui sono assenti archetipi emozionali o loro rielaborazioni, ma che consistono in sequenze di archetipi puramente logici, numerici, ritmici, di segno etc che la razionalità può porre in forme anch’esse assolutamente originali.
Certamente, come dicevamo, la Grande Arte dovrebbe mostrare sia i segni di una “folgorazione” che ha evocato e “archetipizzato” in maniera unica insiemi di archetipi emozionali, che i segni di una rielaborazione razionale straordinaria, intervallata da autonoma elaborazione, in modo da formare un complesso eccezionale, in cui la presenza delle tre componenti suddette sia affiancata da una logica espositiva e compositiva originale, mai vista finora, e irraggiungibile nei secoli a venire, anche se la “scuola” necessariamente derivante metterà in luce solo successivamente queste qualità, tentando di codificarle in canoni razionali: ciò favorirà sia la nascita parallela di epigoni manieristi, sia, successivamente, la comparsa, di artisti ribelli che, attingendo il supremo livello, ripeteranno ancora la Grande Esperienza in modo nuovo e diverso.

13.1 – Il linguagio strutturale di base della musica e delle altre arti

Si dice che la Musica è la più completa e complessa delle Arti: possiede molti più colori e sfumature cromatiche della Pittura, molta più plasticità, concretezza, immediatezza nell’esprimere la realtà della Scultura, molte più possibilità di analisi ed esplicazione di stati d’animo, di situazioni psicologiche, di drammi individuali e collettivi della Letteratura.
In breve, la Musica comprende, realizza, trascende tutte le altre Arti; e ora ne sappiamo il perchè: essendo il cuore dell’archetipo emozionale primigenio composto di suono-ritmo, è naturale che contenga la sintesi assoluta dell’espressione umana, e che la manifesti nella elaborazione musicale.
Ma come è legata l’elaborazione musicale all’organo per eccellenza delegato a ricevere, a confrontare, ad analizzare le espressioni ritmiche e sonore, cioè all’udito? In effetti, anche se una parte degli archetipi possono, prima della nascita, imprimersi “per vie interne”, per mezzo delle onde elastiche che avvolgono e percorrono l’embrione fin dal concepimento, successivamente, dopo la nascita, occorre un sensore preposto alla loro trasmissione al sistema nervoso e cerebrale: senza l’udito, non esiste quasi possibilità di raccolta e utilizzo degli elementi sonori; e sarà bene che sia un buon udito, per una buona qualità del segnale trasmesso.
Analogamente, senza vista è impossibile dipingere, o gustare una pittura; e che sia una buona vista, perchè un daltonico non trasmette certo al proprio cervello un corretto segnale visivo, almeno dal punto di vista delle possibilità individuali di elaborazione e valutazione artistica.
Si dirà che Beethoven era quasi sordo: ma lo divenne quando ormai la sua mente aveva assoggettato il cervello e il sistema nervoso alla percezione di un messaggio musicale che poteva anche venire dalla vista e dall’analisi di una partitura scritta anzichè dalla sua esecuzione strumentale; per cui, inversamente, nel momento del big-bang operato dal subconscio, aveva tutti gli strumenti tecnologici per poterlo memorizzare e di seguito fissare sulla carta.
Queste considerazioni ci conducono a rimarcare l’estrema importanza dei singoli sensi (ben funzionanti) almeno per tutto il periodo delle acquisizioni archetipiche della mente umana, guidate certo geneticamente, ma effettuabili solo alla condizione di trovare una puntuale rispondenza con gli organi sensori delegati al controllo della loro successiva evocazione ed espressione. D’altronde, il problema della riespressione delle forme archetipiche (anche e sopratutto nella loro componente psicologica) aveva trovato nel tempo soluzioni via via più soddisfacenti e complete: in Musica, dopo la voce umana, sono stati “inventati”, appunto, degli strumenti “artificiali”, proprio allo scopo di riesprimere e “riudire” i propri archetipi. Gli strumenti a percussione, il flauto primitivo, poi gli strumenti a corda, etc, nacquero per “riascoltarsi”, e per “mimare” psicologicamente gli stilemi archetipici, anche in forme onomatopeiche. In effetti, è largamente ipotizzabile che archetipi derivati da suoni naturali (ad esempio, il tuono) possano venire evocati da strumenti creati dall’uomo (quali il tam-tam, i timpani). La onomatopeia sonora si fa poi evidente se accostiamo il suono del respiro e del vento agli archi e in special modo ai violini (esprimenti psicologicamente il “respiro dello spirito”), la voce umana al violoncello, le varie voci (anche animali) della natura ai fiati, i rumori ritmici e aritmici (cuore, tuono, etc) agli strumenti a percussione. L’uomo ha come “reinventato inconsciamente” gli strumenti musicali perchè aveva bisogno di quel tipo di richiamo, della loro potenza evocativa per “vestire” di suoni aventi valenza psicologica i propri archetipi, e riascoltarli espressi per mezzo di quelle modalità tecnologiche. Certamente, gli strumenti hanno una loro essenza, una loro voce propria che proviene dalla geniale elaborazione del materiale che li costituisce, che sarà sempre diversa dalla “voce” di un archetipo quale scaturisce dal subconscio con meccanismi interni al complesso cervello-cervelletto-sistema nervoso: ma l’Arte, per esistere e manifestarsi, necessita di un supporto anche materico, come l’uomo.
Tornando alla musica, vediamone le strutture di riferimento. Occorrerà compiere una vera e propria “analisi logica” della struttura, dato che l’individuazione degli archetipi e delle loro rielaborazioni consente di rivelare il linguaggio logico-emozionale, e da questo risalire al messaggio di base insito nella composizione, anche se tuttociò dovrà essere corredato da una approfondita analisi delle tecnologie di espressione espressamente usate per rendere più originale e puntuale il messaggio stesso.
Noi concepiamo le strutture musicali come costituite da una struttura base di riferimento costituita da un intero archetipo di respiro (o una sua rielaborazione), all’interno della quale compaiono archetipi emozionali, numerici, ritmici, logici.
E’ da tener presente che l’archetipo di respiro (inspirazione-espirazione) è in stretta connessione con l’archetipo logico domanda-risposta, e talvolta può “comporsi” e sovrapporsi ad esso, per la necessità di esprimere “contemporaneamente” due o più contenuti mentali o emozionali diversi. Perciò occorre dividere il brano analizzato in sequenze di archetipi inspirazione-espirazione, vedere se in alcune c’è rispondenza psicologica con archetipi domanda-risposta, e successivamente analizzare l’interno di ciascuna sequenza. Vi troveremo in genere gli archetipi emozionali, costituiti da singole (o gruppi di) note come descritto in (9), intervallati dai numerici, ritmici, logici.
E qui occorre fare attenzione.
Ricordiamo che:
a) ogni singola nota può essere semplicemente archetipo numerico o ritmico, ma può essere anche archetipo emozionale (ad es. di forza) e solo la rispondenza psicologica potrà dirlo;
b) ogni complesso di due note (con accento sulla prima) distanti uno (o più) semitoni decrescenti (crescenti) può costituire archetipo di dolcezza (asprezza) di diverso livello;
c) ogni complesso di più di due note di altezza crescente (decrescente) può costituire archetipo, con o senza sua rielaborazione, di salita (discesa), con velocità diversa se le note distano tra loro un semitono, un tono, più di un tono.
d) ogni gruppo di note che “tornano su se stesse” possono formare un archetipo di dubbio (su note molto vicine tra loro) o di domanda, o loro rielaborazioni, o loro “sovrapposizione” (composizione).
In App.3 riportiamo un esempio di analisi archetipico-psicologica. Di questo tipo è l’esame preliminare che occorre compiere sulle partiture musicali per iniziarne la comprensione.
E’ particolarmente interessante il seguente parallelo. Quando si trovarono le prime sequenze di geroglifici nelle tombe dei Faraoni, non fu così evidente di associarle immediatamente ad un preciso “linguaggio” in grado di trasmettere un determinato messaggio, fino alla “Stele di Rosetta”, che consentì una precisa traduzione di concetti ivi contenuti: certamente, il singolo geroglifico era composto di segni, colori, raffigurazioni simboliche, che già di per sè (come nella musica) sembravano esprimere “qualcosa”; non solo, ma di secolo in secolo mutava lo stile (non l’essenza!) della rappresentazione di ciascun geroglifico, e questo fu scambiato (come nella musica) per cambiamento di linguaggio, e quindi di messaggio, mentre era solo un cambiamento di “tecnologia e metodologia di espressione” dei vari concetti.

14.1 – Evoluzione della elaborazione musicale nell’ipotesi archetipica

Vediamo brevemente alcuni lineamenti evolutivi della elaborazione musicale. Non conosciamo bene la situazione esistente fino alla Grecia antica; certamente, Pitagora, tra i primi, si pose il problema, postulando di “associare la musica ai rapporti numerici insiti nell’armonia dell’Universo”; Platone poi, parlò della musica intendendola come “armonia-rhytmos-logos”, da lui ritenuti elementi costituenti, affiancati e interconnessi: i due filosofi prefigurano quindi già la possibile esistenza di archetipi numerici, ritmici, emozionali-razionali (logos), e, nel caso di Platone, da ricollegarsi al “mondo delle idee” o, come direbbero alcuni del nostro tempo, alla “memoria universale”. Proseguendo, non molto sappiamo della musica nell’antica Roma, mentre assai diversa dalla nostra ci appare la musica giapponese, cinese, indiana e asiatica in genere, dato che, anche se gli archetipi – salvo lievi differenze – sono gli stessi in ogni tempo e in ogni luogo, le rielaborazioni possono essere molto diverse, perchè molto diverso dal nostro è stato sicuramente l’approccio ai problemi logici ed emozionali post-percettivi.
La musica della antica Europa può considerarsi iniziare di fatto col canto gregoriano, ispirato alla più profonda spiritualità cristiana: qui gli archetipi sono estremamente rarefatti e vengono come cercate delle rispondenze tra sonorità esterne dei templi e sonorità interne dell’anima, da trasformare in elementi di ascesi mistica.
Il post-gregoriano, i Trovadori, la musica delle Corti due-trecentesche: inizia il riferimento a valori non soltanto spirituali, con l’utilizzo frequente di archetipi emozionali e l’inizio di rielaborazioni musicali che risentono della aggregazione di realtà materiali e spirituali compresenti, mentre l’elemento logico-razionale che lega i vari momenti è ancora estrema-mente semplice e non eccessivamente strutturato.
Ed ecco, con Johann Sebastian Bach, comparire il “laccio” della mente: un discorso musicale grandemente strutturato; la ricerca di una logica del linguaggio (anche se intessuta di indiscussi anche se rari elementi emozionali) e la codificazione degli elementi armonici nello sviluppo teorico del sistema tonale, che vede nell’Arte della Fuga una delle pietre miliari del cammino della musica: ad esempio, l’ultimo contrappunto sul nome B-A-C-H (le cui lettere corrispondono nella nomenclatura tedesca alle note musicali Si bemolle, La, Do, Si) assomma alla strutturazione logica della grande Fuga gli elementi simbolici legati al nome del compositore, e altri ancora. Ma se Bach ha potuto costruire una architettura musicale che appare quasi “preconfezionata”, oggi è possibile fare di più: con adeguato software informatico in grado di individuare le tonalità e mantenere i rapporti cromatici, è possibile ricostruire la logica dell’intera quadrupla Fuga, e successivamente sostituire le quattro note B-A-C-H con altre quattro qualsivoglia, ottenendo un’altra quadrupla Fuga; questo procedimento può essere ripetuto per tutti i gruppi di quattro note che si possono formare dalle dodici note fondamentali, ottenendo (come ci insegna il Calcolo Combinatorio) un numero di fughe pari alle Disposizioni semplici di dodici oggetti presi quattro a quattro, e cioè 12X11X10X9 = 11.880 Fughe! Tra queste, probabilmente, potremmo trovarne alcune forse più belle e significative di quella originale, a causa degli stilemi archetipici “ritrovati” per via logico-informatica anzichè per volontà espressa del compositore. A tanto il “laccio della mente” può condurci! In ogni caso, occorre notare che, a riprova della grandezza di Bach, Egli non si fece prendere totalmente e strettamente dalla logica delle architetture musicali che creava: quasi in ogni fuga ci sono degli elementi e concetti musicali “estranei” che piombano come meteore determinando intrusioni armonico-melodiche che alterano e deviano genialmente il corso “automatico” della fuga medesima. Ad esempio, dal Clavicembalo ben temperato, nella Fuga II°,3 (tre voci) l’esposizione del tema-soggetto è così fatta: soggetto-risposta-soggetto rovesciato, ed è veramente inconsueta la presenza da subito del soggetto rovesciato! Ancora, in Fuga II°,5 (quattro voci) le anomalie non si lesinano: il controsoggetto derivato dalla coda del soggetto (senza effetti di monotonìa, come di solito); il controsoggetto non in contrappunto doppio; le quinte prese per moto retto, e non in parti interne (!). Eppure è una fuga stupenda che anche nelle anomalie rilevate esprime chiaramente la differenza tra arte e mestiere.
Da Bach a Mozart attraverso un lento cammino evolutivo: pochi anni, e in realtà un abisso, che vede la nascita del formalismo settecentesco e del “cicisbeismo”; in musica ciò si ripercuote sia nel rallentamento del processo di utilizzo degli archetipi emozionali, sia nella semplificazione delle architetture logico-musicali bachiane, sia nella creazione di forme musicali adatte sopratutto a fare da “sottofondo” a scenari di comodo, salvo fortunatamente alcune grandi eccezioni (Haydn, Haendel).
Con Mozart, certo, si “cambia musica”: se egli non fu indenne dalle mode della sua epoca e dalla cultura barocca in gran parte delle sue composizioni, purtuttavia riuscì a infrangere definitivamente il “laccio” razionale creato da Bach e a ritrovare la “vena” emozionale; fu aiutato anche dalle sue attitudini “libertine”? Certo è che tutta la musica successiva gli deve molto, e l’ultima sua composizione (la Messa da Requiem) è, almeno nelle parti originali, opera dal respiro immenso, in cui l’accorato dolore si mescola alla più alta speranza, quasi che dalla coscienza della fine scaturisse la consapevolezza di un nuovo inizio: forse con Mozart nasce l’autentico ideale romantico.
In effetti, il Romanticismo si propone subito come l’affermazione del diritto all’irrazionalismo, quasi un rigurgito possente degli archetipi emozionali troppo a lungo tenuti a freno; ed ecco Schubert e Beethoven: poesia e idea hegeliana, nell’ambito di una concezione assolutamente personale in cui domina sopratutto l’emozione di una poetica, di un ethos, di una volontà corale e generalizzata segnate dal genio.
Ma solo con Brahms (parzialmente anticipato da Schumann) si raggiunge una completezza di vibrazioni dell’anima individuale: gli archetipi emozionali, puri ed espansi, vengono evocati in sintesi rielaborative che vedono compresenti tutte le sfumature affettive. Brahms è l’espressione di un atto d’amore universale che abbraccia con una inimitabile poetica ogni momento di vita: egli sa ricondurre ogni sentimento, anche di vigore o di tragedia, ad un intimo dramma completamente conoscibile solo al prezzo di percorrere con grande umiltà le strade elaborate, a volte lineari, a volte tortuose, cui la sua musica obbliga l’ascoltatore.
Ed ecco sorgere, sulla scia brahmsiana, le Scuole Nazionali; con esse, la completezza di vibrazioni dell’anima popolare raggiunge il massimo: si cercano e si individuano gli stati d’animo e i modi di sentire comuni a tutto un gruppo etnico; è il momento del grande riscatto, della liberazione di energie genuine a lungo tenute compresse, della ricerca di un destino comune e di modelli di identificazione corali e condivisi dal proprio gruppo. I grandi Compositori delle Scuole Nazionali trasmettono nelle loro musiche queste emozioni, cercando di individuare, associare, esprimere i relativi gruppi di archetipi con modalità e metodologie assolutamente caratteristiche della etnìa cui si riferiscono. Le Scuole Francese, Spagnola, Russa, Norvegese, Finlandese, Slavo-Boema (*), Americana, etc, testimoniano il grande pathos evocativo raggiunto, e forse mai finora superato.
Subito dopo le Scuole Nazionali, Mahler Strauss Berlioz, cui seguono – propiziati da Wagner, Franck, Faurè – gli Impressionisti, e poi gli Espressionisti, quasi reazione-ripudio di un linguaggio ultracodificato, dal cromatismo ormai esasperato, e come riaffermazione romantica di un rapporto individuale e quasi medianico con l’oggetto artistico: persino il sistema delle tonalità viene scardinato, con l’introduzione di una nuova “scala” nella quale vengono aboliti i semitoni, con conseguenze determinanti sul piano armonico e assolutamente nuove nel campo delle tecnologie di espressione musicale volte alla costruzione ed elaborazione di particolari e originali “atmosfere” entro le quali alloggiare i vari archetipi.
Poco dopo, la parentesi marxista: con Shostakovich, il tentativo (quasi completamente impostogli) di individuare e affermare una completezza di vibrazioni dell’anima “collettiva”, ed il suo personale dramma per salvaguardare almeno in parte la propria originalità compositiva.
Gli rispondono, da par loro, Bartòk e Stravinskij. Ma già incalza l’atonalismo e la dodecafonia come tecnologie di espressione di nuovi canoni estetici: è il cammino verso l’astrattismo musicale, ove l’archetipo puro, quasi senza mediazioni rielaborative o rigurgiti mentali e culturali, si proietta direttamente nell’opera d’arte.
Poi Stockhausen, la musica elettronica, la musica multimediale…..l’avventura continua.

14.2 – Conseguenze sulla musicologia

Interessanti sono anche alcune conseguenze della teoria degli archetipi sulla musicologia.
Alcuni musicologi (1) sono stati indotti a pensare che non esista “la” musica, ma esista “musica” in genere, o “le musiche”, in dipendenza dei diversi tempi e luoghi di manifestazione del fenomeno musicale. Questa è chiaramente la deduzione di chi non riconosce l’esistenza di un unico linguaggio che sta alla base di ogni musica, e di chi non riconosce l’esistenza di un unica “modalità cerebrale” che presiede alla formazione di qualunque espressione artistica. Pensiamo un pò alla aberrazione di concepire le “pitture”, le “sculture”, le “letterature”, come momenti staccati e quasi dovuti a divertimento singolo o casuale necessità, e non come generati da un insopprimibile bisogno dell’uomo di percepire misteriosamente, comprendere coscientemente e infine esprimere la Grande Arte come momento di una continua evoluzione della propria psiche verso la assimilazione e la identificazione autocosciente con la Natura (prefigurata ed espressa nel mondo delle idee, nella memoria universale).
Tornando alla musica, per alcuni secoli, certamente, il sistema tonale scientificamente codificato fu creduto connaturato con la musica stessa, e sembrò unificare ed esprimere definitivamente il suo linguaggio, e addirittura coincidere con esso; ma quando si constatò che si poteva fare Arte anche con l’atonalismo o con la musica elettronica, apparve chiara l’antinomia: o si trovava un altro elemento unificante, o si doveva veramente parlare di “musiche”. Certamente, la differenziazione delle etnìe ha dato luogo a principi formativi diversi che dobbiamo in ogni caso accettare; ma a parer nostro, la possibilità di analizzarli, comprenderli, confrontarli, risiede solo nella ipotesi dell’esistenza di un unico linguaggio archetipico di base, anche se possono integrarlo rielaborazioni e autonome elaborazioni mentali che risentono quasi cromosomicamente delle differenze “autoctone” tra gruppi di individui della specie umana. L’articolazione su archetipi consente di formare concetti puramente musicali e quindi pensieri musicali: la loro correlazione con i concetti ed i pensieri propri della razionalità umana è possibile solo e soltanto a livello archetipico, mai a livello contestuale. E’ inoltre da notare che da uno stesso archetipo puro, espanso o composto, come pure da uno stesso gruppo di archetipi, possono scaturire più concetti musicali che contengono una identica essenza ma che si differenziano per la diversa “attinenza” delle componenti archetipiche all’intero pensiero musicale elaborato e e sviluppato dall’Autore.
Un esempio di correlazione tra pensiero razionale e musicale si ha nella musica vocale: in effetti, noi pensiamo la voce umana come operatore duplice utilizzato contemporaneamente o per l’enunciazione di un tema musicale, a mò di strumento, o per l’esplicazione di un pensiero razionale; per cui, allo stesso tempo, identici archetipi danno luogo contemporaneamente a discorsi musicali e a discorsi razionali; ma è piuttosto il “testo” che (ovviamente) commenta la musica, a riprova del fatto che non c’è alcun bisogno di “traduzione” letteraria di un testo musicale per comprenderlo, anche se ciò è possibile.
Nessuno, naturalmente, vuole disconoscere i meriti e la grandezza del “Teatro musicale”, il Melodramma, che può raggiungere grandissimi livelli espressivi ed artistici (e in Italia, l’Ottocento ed il primo Novecento lo ha dimostrato), ma solo con l’ausilio anche di mezzi “extramusicali”: E non alludiamo soltanto al “testo cantato”, espressione di concetti razionali letterari e di emozioni ivi contenute, ma sopratutto alle tecnologie di espressione scenica. Certo, la “vera” musica non ne necessita.
Abbiamo accennato ai mezzi “extramusicali”: ecco un equivoco ancora presente tra i musicologi sofisti, che cercarono di distinguere il “puramente musicale” dall’ “extramusicale”, nell’intento di riuscire a definire e isolare la “vera” musica dagli elementi “inquinanti”. Dall’Ottocento in poi, nella più alta tradizione musicologica europea, il “puramente musicale” equivalse al “puramente strumentale”, tollerando la voce umana solo se utilizzata come “strumento”. Allo stesso modo, si vide un intervento “extramusicale” quando nacque la musica “a programma”, gridando all’indebito inquinamento e alla corruzione effettuata prima sul Compositore e successivamente sugli ascoltatori, Eppure, nessuno oggi nega la grandezza di alcuni Poemi Sinfonici (Rimskij-Korsakov, Dvoràk, Strauss etc), musica “a programma” per eccellenza.
In ogni caso, in seguito, il concetto di “extramusicale” si estese ben presto, nella concezione di molti musicologi, a tutte le “interferenze” in grado di condizionare in qualche modo la musica e allontanarla dal “puramente musicale”.
Anche il carattere, la cultura individuale dei Compositori e le sollecitazioni dell’epoca in cui vissero furono messi “sotto accusa”: è, ad esempio, sintomatico ed esilarante il fatto che persino Beethoven venga considerato “inquinato” e che la sua musica sia riconosciuta densa di elementi extramusicali perchè “erompe da uno stato di tensione dettato dalla volontà”, per cui la sua opera risulta “spostata dal terreno puramente musicale ed estetico alla sfera etica e dell’impulso morale” (2)!

Noi pensiamo che la diatriba tra il “puramente musicale” e l’ “extramusicale” sia dovuta ancora una volta al fatto di aver voluto analizzare la musica partendo dalla musica e non dall’uomo: il “puramente musicale” è attributo che dovrebbe spettare al solo archetipo e forse alle sue rielaborazioni. Nel nostro intendimento, il conflitto tra “musicale” ed “extramusicale” si risolve solo con l’ipotesi archetipica, che riconduce ad una unica radice il fatto artistico, per cui, in realtà, TUTTE le musiche (come del resto tutte le espressioni artistiche) sono “a programma” (costituito dal susseguirsi degli archetipi evocati), e contemporaneamente NESSUNA musica è “a programma” (dato che ogni canovaccio intellettuale razionalmente precostituito può esprimersi musicalmente – o in altra forma d’arte – solo per mezzo degli archetipi).
Quanto poi alla coincidenza tra “puramente musicale” e “puramente strumentale”, sarà sufficiente ricordare che ogni strumento musicale è stato creato artificialmente dall’uomo per esprimere e “mimare” i propri archetipi, ed è già di per sè da concepirsi “extramusicale”. Sotto questo aspetto, non c’è differenza tra un violino e il cannone usato da Tchaikowskij al posto dei timpani nella sua “Ouverture 1812”.
Per tornare infine a Beethoven e alla sua presunta “extramusicalità”, dovuta alla “colpa” di derivare la non meglio definita “attività puramente musicale” dalle proprie concezioni etico-morali (quindi, musica “a programma”!) ribadiamo che mai è stato detto nulla di più umoristico, ascientifico, lontano dalla verità: per noi invece, le componenti etiche, l’impulso morale, lo stato di severa tensione dettato dalla volontà, sono gli elementi tipici e caratteriali del compositore sui quali si è svolta quella “meditazione profonda e continuata” che ha determinato l’evocazione conscia e inconscia, e successivamente la scelta e l’utilizzo, dei relativi archetipi che hanno dato vita a concetti, discorsi e pensieri “puramente” musicali, quali quelli da lui espressi. Certamente, riconosciamo che i grandi ideali cui Beethoven si ispira e che manifesta con tanta nettezza e vigoria, saranno sempre presenti – quasi come un canone – nella sua opera, e ne determineranno la grandezza, ma ne segneranno inequivocabilmente anche i limiti: al di là di quegli ideali c’è l’uomo, la cui intimità misteriosa, forse preclusa a Beethoven, si rivelerà per la prima volta – come abbiamo detto – solo con Brahms.
E’ nostra opinione che la musicologia, sconfinata nella filosofia musicale, e coltivata essenzialmente da persone di grande cultura letteraria ma uscite dai Conservatori di Musica, o da Corsi di Perfezionamento in Musicologia (da seguire dopo una Laurea in Lettere), debba cambiare rotta e divenire finalmente scienza, utilizzando tutte le risorse e le metodiche che questa può riservare. Certamente, se la Musica è l’Arte-sintesi, base della conoscenza umana (“intima essenza del mondo”, come la definisce (3) Schopenhauer), essa abbisogna, per essere intesa, di studiosi in grado di analizzarla con ogni strumento che la scienza (matematica, fisica, biofisica, neurologica etc) pone a loro disposizione, andando ben al di là della sola analisi delle metodologie espressive, come accaduto finora.

15.1 – La natura e l’arte. Il mondo delle idee (e la memoria universale) quali sorgenti degli archetipi emozionali. Le diverse ipotesi (materialista e spiritualista) sulla realtà del’uomo

Il discorso sulle capacità umane di esprimere il mistero dell’Arte, e quindi della Musica, rischierebbe di restare a metà se non facessimo alcune considerazioni e ipotesi sulla sua genesi e sulla sua realtà nella Natura; occorre tentare di ricomporre il quadro generale, anche per dare un senso compiuto all’immenso processo evolutivo che ci vede protagonisti.
Una prima considerazione che balza subito agli occhi è l’aver riconosciuto che l’Arte non è una astrazione della Natura, non è una nostra “invenzione mentale” volta a immaginare e rappresentare le nostre possibilità di avvicinarci indefinitamente alla perfezione estetica, ma, attraverso gli “archetipi arricchiti” (che in realtà sono “granuli di Arte concentrata”), entra in ciascuno di noi quale componente basilare di tutte le nostre emozioni, quindi fa parte intimamente della Natura, della nostra Natura. Perchè, allora, non siamo tutti “Artisti”?
Indubbiamente, perchè per scatenare il richiamo artistico tramite il big-bang occorre una profonda meditazione su ciò che vorremmo esprimere, e quindi necessitano doti di cultura, volontà specifica, determinazione, concentrazione etc che non tutti hanno, e che si acquistano con un lungo esercizio, sia razionale-mentale sia propriamente “fisico”, che permetta di acquisire le necessarie cognizioni, le metodologie, nonchè le tecnologie ed i mezzi di espressione. Certamente però, tutti, in maggior o minor grado, possiamo “riconoscere” la vera Arte attraverso i nostri archetipi. Occorre infine considerare che la definizione di “Arte” deve estendersi ad ogni forma dello scibile e del realizzabile in cui si possono raggiungere straordinari risultati in forme assolutamente originali: il procedimento di “innesco” è tuttavia sempre lo stesso, concentrazione e poi big-bang inconscio.
L’altra considerazione essenziale è la necessità di investigare scientificamente il nostro modo di essere, la nostra stessa esistenza in rapporto a ciò che ci sembra esterno e forse non lo è.
Ciò che diremo, cercheremo di basarlo su contenuti scientifici, avvertendo debitamente quando saremo costretti a formulare ipotesi non ancora verificate scientificamente, o quando riporteremo ipotesi fideistiche, a esemplificazione delle diverse concezioni filosofico-religiose oggi esistenti. Purtroppo, la scienza è appena agli inizi, per ciò che concerne la percezione conscia e inconscia dell’uomo e i suoi necessari rapporti col “quid percipibile”: se le nostre acquisizioni archetipiche non computazionali hanno, come pensiamo, valenza psicologica, con quale “realtà esterna” comunica la nostra psiche ?
Il mondo reale, l’universo in cui siamo immersi, lo spazio-tempo che ci ospita, tuttociò sembra all’origine delle nostre percezioni, che ci pervengono “vestite di materia” e ci colpiscono, restando impresse indelebilmente; ma tra esse ci sono quelle che ci fanno “vibrare”, che implicano il “sentimento emozionale”, che infine ci consentono la “coscienza di stare provando emozioni”.
Proviamo ad elencare le realtà che ci sembra debbano necessariamente esistere per spiegare la complessità della psiche umana, che abbiamo pensato provvista di mente razionale conscia e inconscia, avente qualità per acquisire e contenere il computabile ed il non computabile, strutturale ed emozionale.
Le idee reali preesistevano alla nascita del nostro universo (big-bang fisico) e alla nascita della vita? Noi pensiamo di sì, e che alla base di tutto ci debba essere un “Contenitore Universale” (che Platone chiamò “Mondo delle Idee”), provvisto di “memoria”, in cui sono contenuti gli Archetipi emozionali primigeni, ma anche le logiche per una loro continua rielaborazione e utilizzo.
Abbiamo visto che gli archetipi hanno un loro “scheletro” di tipo logico-matematico: questo ci costringe a supporre che “forme matematiche pure” costituiscano il “cuore” del Mondo delle Idee. Questo “mondo delle forme matematiche pure” si è riverberato innanzitutto nel nostro “spazio-tempo fisico” strutturando concettualmente l’Universo che ci ospita e ponendosi alla base delle sue “leggi fisiche”; e contemporaneamente ha provveduto, nel corso dell’evoluzione della nostra specie, alla “costruzione e strutturazione razionale” della nostra mente (1) (formazione operazionale della neocorteccia cerebrale), per mezzo della continua e successiva “metabolizzazione” degli archetipi emozionali via via impressi.
In effetti, il mistero della “comprensione” razionale delle leggi matematiche, che inizia solo a un certo punto dell’evoluzione (comparsa dell’uomo sapiens), nonchè del ritrovamento delle stesse leggi alla base del mondo fisico nel quale noi stessi abbiamo avuto origine, prova che il “mondo delle forme matematiche pure” preesisteva sia al big-bang fisico che alla formazione della vita; è difficile immaginare che subito dopo il big-bang fisico possano essere comparse formazioni materiali aventi forma sferica, traiettorie di particelle aventi forma circolare, etc senza l’ipotesi generale che l’idea-forma matematica del numero p greco costante che regge quelle realtà non preesistesse alla loro comparsa; stesso discorso per il numero e di Nepero, o per la costante di gravitazione universale,etc. Spesso, poi, nel cammino scientifico, è accaduto di ritrovare delle proprietà logico-matematiche generali (forme pure) durante la elaborazione teorica di ipotesi fisiche, elaborazione impossibile a compiersi senza quel tipo di strutturazione generale: tali proprietà preesistevano, e sono restate imprevedibilmente nascoste fino al loro ritrovamento da parte di una mente razionale anch’essa già strutturata (lo scienziato) che le ha intuite e rivelate a tutti. Certamente, come abbiamo notato, non sempre le “leggi matematiche della fisica”, che noi ricaviamo dalle nostre qualità mentali razionali, coincidono alla perfezione con le leggi fisiche: ad oggi non sappiamo se ciò è dovuto ad una nostra limitazione mentale nella ricostruzione razionale delle forme matematiche, oppure se è una caratteristica del nostro Universo legata al principio della sua “irreversibilità”, che oggi la scienza sta riconoscendo basilare (2) per spiegare alcune presunte “discontinuità”. Con grande probabilità, come dicevamo, ciò è dovuto alla mancanza di una teoria fisico-matematica che introduca stabilmente alla sua base il “non computazionale”, e che possa descrivere anche l’ “irreversibilità”.
Ora, ammettendo che al cuore del mondo delle idee siano situate e preesistano delle “forme matematiche pure”, abbiamo visto che il loro genere può essere computazionale (razionalizzabile) e non computazionale (intuibile dalla coscienza); ma, evidentemente, le “emozioni” (o gli “archetipi emozionali”) essendo strutturate sia in modo non computazionale che computazionale dalle forme matematiche pure, debbono anch’esse preesistere al momento percettivo mentale; anzi, potremmo dire che esse sono “idee emozionali” che divengono “emozioni” al momento della loro percezione da parte dell’essere vivente, e poi, addirittura, che ogni idea può essere percepita dalla psiche solo se diviene emozione.
Ecco quindi che il complesso dell’esistente (3) per noi potrebbe così strutturarsi: con ideale raffigurazione sferica (vedi fig.5), più vicina al centro, la sfera delle “forme matematiche pure”, poi, concentricamente, la sfera delle “idee-emozioni”, e in ultimo le sfere dello “spazio-tempo fisico” non vivente e dello “spazio-tempo cosciente” (vivente, al quale apparteniamo, come ultimo anello della catena evolutiva). Da notare che ciascuna “sfera” si attualizzerebbe a partire dal centro comune a tutte le altre e parteciperebbe fin dall’inizio alla strutturazione archetipale.

Praticamente, potremmo quindi concepire l’attuale patrimonio psichico dell’uomo-universo come costituito da un insieme di archetipi che avrebbero subìto una successiva continua implementazione: gli archetipi matematico-strutturali preesistenti si sarebbero via via dotati degli elementi logici e ritmici, e successivamente, emozionali-musicali, arricchendosi contemporaneamente delle altre qualità artistico-naturali (7.11), e infine “vestendosi” di materia e di vita. Ma allora la nostra psiche, in realtà, non potrebbe che essere il riflesso locale parzializzato e attualizzato nello spazio-tempo vivente, di una Psiche Universale preesistente che conteneva gli archetipi emozionali primigeni che si sono poi “realizzati”, “inverati” in noi.
Riteniamo che quanto sopra appartenga al campo scientifico, e non fantascientifico: solo che la scienza deve ampliare i suoi confini, le sue prospettive, includendo il non computazionale in maniera “strutturale” nelle proprie teorie scientifiche globali. Persino uno scienziato come Penrose (4) riconosce e auspica questa evoluzione radicale della scienza per farla uscire dal “ghetto”, dal “laccio” esclusivamente razionale-computazionale che sembra affliggerla, preconizzando l’avvento di una fisica ancora sconosciuta (descritta da forme matematiche non computazionali), che stia a cavallo tra i livelli classico e quantistico, e che spieghi compiutamente il funzionamento dei sistemi biologici (come i nostri cervelli) che sembrano effettivamente utilizzarla.
In attesa che la scienza si evolva, cosa hanno detto al riguardo la filosofia e le religioni?
La differenza sostanziale consiste nell’approccio etico-morale, nel tentativo generalizzato di individuare codici comportamentali insiti nella Natura e nell’Uomo. La filosofia, poi, tenta di analizzare ogni situazione in cui si debba regolare razionalmente il flusso delle sequenze emozionali-razionali in base a regole generali di convivenza e di organizzazione (problemi della conoscenza, etica, filosofie politiche, filosofia del diritto, dottrine economiche, sociologia) o di espressione artistica (estetica). Le religioni invece spostano l’accento sul problema morale, sull’esistenza delle Idee “assolute” di Bene e di Male, che nelle religioni cosidette “rivelate” (ebraismo, cristianesimo, islamismo) diviene un assunto dogmatico da accettare fideisticamente assieme a complessi di regole da seguire, necessarie per il conseguimento delle finalità che ciascuna religione promette; in altre religioni (induismo, culti teosofici, etc) le idee di Bene e di Male sono considerate “relative” e complementari l’una all’altra secondo livelli individuali per cui il “male” è solo un “minor bene”, e costituisce un passo necessario per una continua evoluzione dell’individuo verso condizioni di spiritualità crescente. Ma ciò che caratterizza tutte le religioni (e le distingue in genere dalla filosofia) è l’Idea di Dio, cioè di un Essere Creatore di natura “spirituale”, e sopratutto Immortale.
Questa idea è alla base della diatriba fideistica tra Materialisti e Spiritualisti.
Per il Materialista puro, la psiche umana è mortale, e subisce lo stesso processo di degenerazione e disfacimento del corpo fisico; la “Psiche Universale” da noi ipotizzata, è realmente esistente solo fino a che sussiste una psiche umana e si estingue con l’eventuale sua fine.
Per lo Spiritualista, Dio coincide con la “Psiche Universale”, ritenuta immortale come la psiche di ciascun individuo, che viene pensata appartenere ad un altro “universo” e non al nostro spazio-tempo, nel quale peraltro si trova ad operare con la mediazione del corpo fisico.
La caratteristica essenziale dell’incarnazione umana consisterebbe nel riprodurre (e ritrovare) nell’uomo le idee-emozioni che sono preesistenti nella Psiche Universale. Lo Spiritualista distingue, nell’ambito psichico, lo “spirito” (che attinge la propria “essenza” nel mondo delle “Forme Matematiche Pure” e delle “Idee”) e l’ “anima” (che attinge la propria “essenza” nel mondo delle “Idee-Emozioni”); la psiche umana così formata (Spirito + Anima) avrebbe una “vita propria” indipendente dal corpo che la alloggia, con possibilità di proiettarsi e “materializzarsi” autonomamente anche nel nostro spazio-tempo.
Naturalmente, l’uomo di cultura e di scienza, deve restare, fino a prova contraria, nella posizione di “dubbio scientifico” (persino nei confronti della stessa scienza!), e non può che considerare le “fedi” materialiste e spiritualiste come posizioni “di comodo”, senza lasciarsi condizionare in alcun modo nella formulazione delle proprie teorie filosofiche o scientifiche, o nella interpretazione di situazioni sperimentali, anche se può esprimere una personale preferenza per l’una o per l’altra convinzione.

16.1 – Conclusioni

La Natura come mimesi dell’Arte: così Platone, che pensa le Idee assolutamente preesistenti ad ogni manifestazione sensoriale di esse, e infinitamente più complete e perfette. Addirittura, quando un artista copia (mima) la natura, compie opera iniqua e insignificante, quale è, appunto, la copia di una copia.
In questa visione, che definiremmo di “integralismo estetico”, manca la constatazione che solo per mezzo delle manifestazioni sensoriali possiamo avere coscienza e conoscenza dell’esistenza delle Idee, che altrimenti ci sarebbero sconosciute e quindi di nessuna utilità; quanto all’artista, una cosa è quando “computazionalmente pantografa la realtà”, una cosa è quando si abbandona (usando il subconscio) alla “violenta percussione”, al big-bang diretto proveniente dagli archetipi emozionali, che sono un pò come i “quanti” del mondo delle Idee. Probabilmente, solo una “scienza autocosciente” (1), solo nuove teorie fisiche basate su una matematica non computazionale e capace di descrivere compiutamente l’irreversibilità dello spazio-tempo quale scaturisce anche dai fenomeni di complessità (2) che presiedono a numerose manifestazioni del non-vivente (big-bang fisico, fenomeni di transizione di fase, rotture spontanee di simmetrie, etc) e del vivente (da materia inanimata a materia vivente, dal vivente al vivente-cosciente nei suoi diversi gradi, ai fenomeni di “organizzazione”, etc), solo, dicevamo, l’uscita definitiva dal “laccio” della mente computazionale divenuto quasi “pregiudizio”, potrà consentirci un soddisfacente grado di interpretazione previsionale del nostro stato di realtà.
Per adesso, dobbiamo superare il “laccio” con l’aiuto delle Idee-emozioni non computazionali, e qui il contributo della Musica è determinante, dato che la sua “sfera” è essenzialmente “di mediazione”, è anello di congiunzione tra la sfera delle forme matematiche pure e la sfera delle idee-emozioni, e gli archetipi musicali sono in effetti base strutturale e linguaggio puro della mente cosciente, costituendo, a nostro parere, l’unica possibilità per le riacquisizioni (geneticamente guidate) delle qualità intellettive dell’uomo dal momento del suo concepimento in poi.

FINE

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  4. Penrose, R. : Ombre della mente, pp.493-99, Ediz. Rizzoli, Milano 1996
  5. Hameroff, S.R. e Watt, R.C. : Do anesthetics act by altering electron mobility? “Anesth. Analg.”, 62, pp. 936-40, 1983
  6. Aspect, A. e Grangier, P. : Experiments on Einstein-Podolsky-Rosen-type correlations with pairs of visible fotons, in “Quantum concepts in space and time” a cura di R. Penrose e C.J., Isham, Oxford University Press, 1986

6.1

  1. Harrer, G e Harrer, H.: Music, emotion and autonomic function, in “Music and the Brain”, a cura di M. Critchley e R.A. Henson, pp. 202-215, William Heinemann Medical, London 1977
  2. Ferrari, T. e Bramanti, G.: Come ascoltare e capire la musica classica, B.U.R., Ediz. Rizzoli, Milano 1988
  3. Rattalino, P.: Il linguaggio della musica, Ediz. Garzanti, Milano 1997

7.4 Golemann, D.: Intelligenza emotiva, Ediz. Rizzoli, Milano 1997

7.6 Zolla, E.: Archetipi, Ediz. Marsilio, Venezia 1996

7.9

  1. Wiener, N: Cybernetics, John Wiley, New York 1948
  2. Shannon, C.E.: A Mathematical Theory of Communications, Bell System Technical Journal, Vol.27,379, 1948
  3. Fano, R.M.: Trasmission of informations: A statistical theory of communications, John Wiley, New York, 1961
  4. Tacconi, G.: Private communication, Cattedra di Sistemi di Telecomunicazioni – Fac.Ingegneria, Università di Genova, 1996

8.1

  1. Restak, R.M.: The mind, Bantam Books New York, 1988
  2. Blakemore, C.: The Mind Machine , BBC Books, New York, 1988

8.4 Uccelli, F.: Il commiato di Anton Dvoràk, Ediz. Ceccherini, Firenze, 1997

8.5

  1. Hubel, D.H.: Eye, Brain, and vision, Scientific American Books/Freemann, New York, 1966
  2. Ramachandran, V.S.:Perceiving Shape from Schading, Scientific American, 259, pp.58-65, 1988
  3. Gregory, R.L. : Eye and Brain: The Psycology of Seeing, McGraw-Hill, New York, 1966
  4. Maffei,L., Fiorentini,A.: Arte e cervello, Zanichelli Editori, Bologna 1995

10.1

  1. Revesz, G. : Psicologia della musica, Ediz.Giunti-Barbera, Firenze, 1954
  2. Valseschini, S.: Psicologia della musica e musicoterapia, Armando Editori, Roma 1983

14.2

  1. Dalhaus, C., Eggebrecht H.H.: Che cosa è la musica?, Universale Paperbacks “Il Mulino”, pp.7-12, Bologna 1988
  2. Handschin, J. : Profilo storico della musica, Ediz. 1964, Paris
  3. Schopenauer, : Il Mondo come volontà e rappresentazione, Paris, Ediz.1859

15.1

  1. Penrose, R. : Ombre della mente, pp.452-458, Ediz. Rizzoli, Milano 1996
  2. Prigogyne, I. : La nascita del tempo. Ediz.Bompiani, Milano 1996
  3. Penrose, R. : Ombre della mente, pp.500-504, Ediz.Rizzoli, Milano, 1996
  4. Penrose, R. : Ombre della mente, pp.472-476,Ediz.Rizzoli, Milano, 1996

16.1

  1. Leroi-Gurman, A., : Le radici del mondo : dalla ricerca preistorica uno sguardo sulla totalità dell’uomo, Jaca Book, Milano 1983
  2. Miller,W. : Computational complexity and numerical stability, SIAM J.Comp.,4 (1975), pp.97-107.