Fabio Uccelli

 

La musica
all'origine della conoscenza umana

                                                       a Giovanni Platone Cecchini

 

EDIZ. TECNICONSULT – FIRENZE

Giugno 1998

[i] Premessa

Quanto esposto in questo libro, che si prefigge di dare una risposta ragionevole agli interrogativi posti dal sorgere e dallo sviluppo della conoscenza nell’uomo, si basa sulle ultime esperienze e acquisizioni scientifiche nei diversi campi che la riguardano; le ipotesi che ne trarremo sono le più attuali e le più probabili, e pongono in una nuova e originale luce i problemi della conoscenza.
E’ scientificamente acquisito che la conoscenza umana deriva da una elaborazione sistematica delle percezioni sensoriali, attraverso un lungo e automatico processo di analisi delle medesime che ha determinato, nel corso della evoluzione della specie vivente, la forma, la natura, la sostanza stessa dei “sensori cerebrali” delegati a riceverle. E’ pure noto che le prime “percezioni” che raggiungono gli esseri viventi sono trasmesse da mezzi elastici (acqua di mare, liquido amniotico, etc.) e sono di tipo ritmo-sonico (musicale), come ad esempio il battito del cuore materno.
E’ inoltre scientificamente acquisito che l’evoluzione degli esseri viventi ha determinato un progressivo aumento di “coscienza”: la coscienza puramente emozionale degli animali preistorici, inizialmente necessaria solo alla sopravvivenza e alla perpetuazione della specie, si è implementata man mano che si sviluppava l’encefalo e che si formavano la corteccia e la neocorteccia cerebrali, e si è così arricchita delle qualità razionali proprie dell’uomo sapiens, che ha raggiunto la “consapevolezza di sé”, la coscienza di essere cosciente di sé e delle proprie emozioni: questo fatto ha determinato una progressiva “psicologizzazione” delle percezioni emozionali medesime consentendo loro di raggiungere la attuale intensità, strutturazione e completezza.
Nel libro in oggetto si prende in esame in maniera scientifica il meccanismo di trasformazione delle percezioni sensoriali in emozioni e lo sviluppo della razionalità, dei relativi sistemi di memorizzazione, nonché la qualità - propria della mente razionale umana - di ricreare artificialmente le emozioni percepite per farne oggetto di comunicazione, di cultura, di arte; si ipotizza inoltre che la qualità strutturante computazionale e algoritmica sia stata man mano acquisita dalla mente umana mediante una estrazione e acquisizione (anche genetica) delle componenti logico-matematico-fisiche contenute nei segnali che hanno provocato la nascita delle emozioni medesime, ed abbia dotato la mente di una facoltà “razionale”, divenuta successivamente autonoma, che ha permesso all’uomo le sue precipue attività filosofico-scientifiche.
L’analisi della conoscenza umana viene poi estesa alla attività psichica, e viene analizzata sia l’attività psichica conscia che quella “non conscia” (svolta tramite il subconscio) con ipotesi varie sulla loro nascita e collocazione nell’ambito del cervello umano; si riportano anche le ultime ipotesi e teorie scientifiche sulla nascita e collocazione della coscienza, con indicazioni per la loro verifica.
Si analizzano inoltre i caratteri “computazionali” e “non computazionali” sia della mente umana che della realtà esterna (spazio-tempo fisico) riportando numerose esperienze scientifiche, e si pone l’attività psichica razionale-emozionale umana in stretta correlazione con tali caratteri ricavandone originali deduzioni che ne interpretano le caratteristiche fondamentali.
Si ipotizza inoltre che le percezioni emozionali si impiantino nel cervello degli esseri viventi mediante “granuli emozionali” (“archetipi”), e che essi siano alla base di ogni scambio emozionale e artistico, e che tali archetipi, inizialmente solo ritmo-sonici (praticamente, musica con elementi strutturanti logico-matematico-fisici), possano successivamente “arricchirsi” di tutte le componenti e le qualità derivanti dai vari sensi degli esseri viventi e soprattutto dell’essere umano, e acquistare successivamente una “valenza psicologica” in funzione dell’incremento del grado di coscienza, che nell’uomo giunge fino alla consapevolezza di sé e delle proprie emozioni: ogni fatto, sia umano che artistico, verrebbe così acquisito dalla nostra psiche tramite sequenze di archetipi “arricchiti” e psicologicamente “significanti”, successivamente rielaborati dalla mente razionale.
Viene poi data una completa tipologia degli archetipi e viene ipotizzata la possibilità di ritrovarli realmente nella mente umana tramite le più moderne apparecchiature scientifiche (EEG, NMR, etc) mediante una opportuna metodologia ivi esposta.
Viene successivamente riportata una teoria della personalità umana basata sulla dinamica delle acquisizioni archetipiche, caratteristica di ciascun uomo, che spiegherebbe la diversità e le anomalie delle varie personalità esistenti.
Viene inoltre fornita, sempre tramite l’ipotesi archetipica, una chiave di comprensione dei meccanismi su cui si basa la musicoterapia, ipotizzando nei pazienti una “distorsione” (acquisita originariamente, o su trauma) degli archetipi di base, con possibilità di loro “correzione” mediante sovrapposizione continuata di archetipi ritmo-sonici “esatti”, cioè “non distorti”.
Si analizza infine il fenomeno artistico nelle sue diverse gradazioni, rivelandone il linguaggio strutturale. Completano il libro il rapporto tra Arte e Natura, considerazioni generali sulla possibile sorgente “esterna” degli archetipi emozionali, e sulla realtà unitaria dell’uomo nel suo rapporto con l’universo cui appartiene.
Nella Appendice, un esempio di analisi archetipico-psicologica di un brano musicale.

[i] Introduzione

Si può dire ormai scientificamente accertato che la ragione umana ha basi neurali che intersecano strettamente quelle che registrano le emozioni: Infatti, nel cervello dell'uomo, si possono notare aree cerebrali evolutivamente più antiche (formatesi in relazione all'impatto intuitivo-emozionale con la realtà) ed aree più recenti (sviluppatesi in seguito e dovute alle primitive rielaborazioni razionali) che sono compiutamente collegate alle precedenti.

Ciò significa che nel corso dei millenni la razionalità umana si è sviluppata soltanto successivamente all'approccio intuitivo-emozionale che i nostri progenitori hanno avuto con l'ambiente che li circondava. Possiamo dedurne quindi che ogni organizzazione logico-formale della razionalità umana deriva da astrazioni qualitative e quantitative, compiute sul complesso della percezione emozionale, realizzate in tempi più recenti di quelli in cui venivano percepite, memorizzate e utilizzate solo singole pulsioni, e ci conduce ad affermare senza ombra di dubbio che le basi razionali della conoscenza umana sono nelle emozioni.

Di fatto, dopo il concepimento, l'essere umano, ripercorrendo sotto la guida genetica l'intero arco evolutivo, inizia nel grembo materno la formazione delle proprie strutture cerebrali e quindi la acquisizione delle capacità emozionali e razionali; ora, dato che le prime percezioni che riceve (emozioni primarie) sono legate al suono (onde elastiche), mentre solo successivamente alla sua nascita percepirà completamente la luce (onde elettromagnetiche), e tale processo è sempre stato lo stesso fin dai primordi dell'umanità, non è un paradosso affermare che la musica, intesa come ricezione, rielaborazione e organizzazione del mondo sonoro, sta alla origine della razionalità e quindi della conoscenza umana.

PARTE PRIMA - IL PERCIPIENTE

 

[i] 1.1 - Una questione di linguaggio

La comunicazione tra esseri umani si basa sulla esistenza di un linguaggio comune che permette lo scambio di emozioni e di concetti razionali elaborati dai singoli. Il livello di comunicazione può essere molto diverso: si va dal semplice scambio di opinioni o di rapporti emotivi comuni, fino al più profondo e complesso modo di scambiarsi messaggi scientifici o artistici di altissimo livello. La conoscenza del linguaggio è assolutamente necessaria per comprendere appieno i messaggi che gli individui desiderano scambiarsi. Questo, valido per la normale vita di relazione, è ugualmente valido nel campo artistico, dato che ogni manifestazione ed espressione artistica è essenzialmente comunicazione di messaggi di un uomo verso altri uomini. Difatto, è impossibile concepire una opera d'arte senza ipotizzare l'esistenza e la possibile comprensione di un messaggio in essa contenuto, cosa che presuppone l'esistenza di un linguaggio comune tra l'artista e coloro che si avvicinano alla sua opera; questo linguaggio, necessariamente, va rivelato, studiato, compreso a pieno: solo dopo potremo capire l'opera d'arte. E' assolutamente impossibile pensare ad un rapporto individuale tra ciascun fruitore e l'opera d'arte: essa può dare sensazioni e suggestioni che possono indurre erroneamente il fruitore a credere di averla compresa anche senza conoscerne coscientemente il linguaggio (e perciò indurlo a credere di poterne fare a meno).

Questa situazione è frequente, purtroppo, nella Musica, che è forse la più "malcompresa" tra le Arti. In realtà, per parlare di linguaggio, occorre che questo sia condiviso e compreso da molte persone contemporaneamente, in modo che ciascuno possa trovare anche negli altri le necessarie conferme del "suo" sentire; certo, nel caso delle Arti, un linguaggio, per poter essere classificato "universale", cioè "di tutti", dovrebbe potersi basare su un livello culturale medio tale da garantirne una acquisizione ad alti standard, mentre può darsi che la differenza di livello culturale tra le persone influenzi il grado di comprensione e renda difficoltoso il dialogo tra fruitori in cerca di conferme. Comunque, l'opera d'arte poggia la sua universalità, e l'essere riconosciuta tale, proprio sulla certezza di una individuazione univoca dovuta alla sua formulazione in un linguaggio comune a un gran numero di persone. Come sappiamo, oggi la Filosofia della Scienza tenta di ricondurre ad una unità le numerose e ampie divaricazioni necessariamente provocate dall'estremo sviluppo e approfondimento delle singole branche della scienza: analogamente, deve essere ricostituita (e ricondotta ad unica genesi) l'unità di espressione del linguaggio umano nelle diverse attività di tutto lo scibile, e sopratutto nelle Arti. Questo porta al mistero della Musica, alla necessità di trovare le radici del suo modo di esprimere un messaggio nelle stesse radici di espressione del linguaggio delle Arti Figurative, della Letteratura, della Poesia. L'uomo è sempre lo stesso, le modalità di espressione dovute alla sua precipua e particolare costituzione sono sempre le stesse, qualunque messaggio o contenuto emozionale voglia o debba inviare ai suoi simili, anche nel "momento assoluto" della creazione artistica.

Perciò, è opportuno investigare la struttura del cervello umano e cercare di comprendere le modalità di acquisizione e di razionalizzazione degli elementi di realtà comuni, che sono alla base della formazione del linguaggio e quindi della capacità stessa di comunicazione tra gli esseri umani; troveremo che tale struttura è realizzata in modo da favorire l'impianto e il successivo riutilizzo di "percezioni emozionali originarie"(che noi denomineremo "archetipi") contenenti sia la base dei più profondi sentimenti che delle più elevate astrazioni razionali dell'uomo.

[i] 2.1 - Struttura, funzioni e topografia celebrale nell'uomo

L'uomo è dotato (1, 2) di un sistema nervoso centrale e di uno periferico. Il sistema nervoso centrale (fig.1) comprende il cervello propriamente detto costituito dal complesso dei due emisferi cerebrali destro e sinistro (cerebrum) strettamente collegati dal corpo calloso, il diencefalo col talamo e l'ipotalamo, il mesencefalo, il midollo allungato, il cervelletto (cerebellum) e il midollo spinale.

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Il sistema nervoso periferico è costituito dall'insieme di tutti i nervi e le terminazioni nervose che si irradiano in ogni recesso del corpo umano. Tramite l'interconnessione dei sistemi nervosi centrale e periferico è assicurato il più completo collegamento di ogni punto del corpo umano con il cervello: impulsi e stimoli possono essere così trasmessi, sia dal cervello al corpo che viceversa, in tempi brevissimi. Inoltre, cervello e corpo sono anche connessi chimicamente: il cervello emette ormoni e peptidi che, immessi nel sangue, possono rapidamente raggiungere il corpo tramite il circuito arterioso-venoso e trasmettergli e riceverne segnali.

Le cellule nervose, o neuroni, costituenti il sistema nervoso,si raccolgono in corpi cellulari di diversa struttura: distinguiamo la corteccia cerebrale e cerebellare, in cui dette cellule sono disposte a strati, e i nuclei grandi e piccoli (il caudato, il putamen, il globus pallidus, l'amigdala, il talamo, il locus niger, il nucleus ceruleus), in cui le cellule sono disposte in gruppi ellissoidici di varie dimensioni. Nel corso dell'evoluzione umana si è formata prima la struttura in gruppi (regione subcorticale); successivamente la corteccia limbica (che partecipa del sistema limbico, col giro del cingolo, l'amigdala, il prosencefalo basale); e in ultimo la neocorteccia (detta anche neopallio).

Tanto le cellule nervose stratificate che quelle disposte in gruppi formano la cosiddetta "sostanza grigia", dalla quale escono le fibre nervose (o "sostanza bianca") necessarie per la interconnessione dei vari sistemi. Le fibre nervose, dette "assoni"
(fig.2), sono dei filamenti che originano dal corpo cellulare (soma) e costituiscono i “cavi” di trasmissione dei messaggi neuronali. Gli assoni possono percorrere dei tragitti più o meno lunghi, terminando in un’altra struttura del sistema nervoso centrale (assoni brevi) oppure uscire da esso e, riuniti in fasci (nervi), raggiungere un “bersaglio” – per esempio, una fibra muscolare – nel corpo (assoni lunghi). Dal soma neuronale originano anche altri prolungamenti, detti “dendriti”, che hanno tragitti molto brevi e servono a connettere tra loro i neuroni circumvicini. Quando un assone contatta la sua struttura-bersaglio (un altro neurone, una fibra muscolare, un dendrita, una cellula ghiandolare, etc.) si ha una “sinapsi”. Anche i dendriti terminano con delle sinapsi, in genere sulla superficie del corpo di altri neuroni. Esistono, tuttavia, tutte le possibilità di interconnessione, e cioè sinapsi asso-somatiche, asso-assoniche, asso-dendritiche, e dendro-dendritiche, cosicchè il tessuto nervoso è un immenso “telaio” di reti sinaptiche o di complesse “reti neuronali”.
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Si stima in varie centinaia di migliaia di chilometri la lunghezza totale degli assoni e dendriti formanti i circuiti neuronici di un sistema nervoso umano. . Nel cervello umano sono presenti dai 10 ai 100 miliardi di neuroni, che si interconnettono tramite le sinapsi; il suo funzionamento provoca la "attivazione" dei neuroni, durante la quale vengono emessi i "neurotrasmettitori", sostanze chimiche particolari che possono essere immesse nel circolo arterioso-venoso, quali ad esempio la serotonina, la dopamina, la noradrenalina, la acetilcolina, che trasducono il segnale neuronale in un evento elettrochimico, detto “trasmissione sinaptica”. Ogni neurone ha mediamente 1000 sinapsi (eccezionalmente, anche 5-6.000), per cui il livello generale di interconnessione reciproca non risulta molto elevato: questo fa sì che tale interconnessione interessi solo neuroni contigui, non molto distanti gli uni dagli altri, per cui, qualunque segnale un singolo neurone attivato possa (con emissione di neurotrasmettitore) inviare, esso viene recepito solo da un gruppo relativamente piccolo di neuroni, che possono attivarsi anch'essi (sinapsi "forte") o smorzare il segnale (sinapsi "debole"). Il risultato di tutto ciò è che l'intero gruppo di cui il neurone fa parte decide effettivamente le attivazioni, e può influenzare o meno altri gruppi di neuroni.

Si delinea così una architettura cerebrale composta di sistemi di gruppi di neuroni interconnessi mediante sinapsi, in cui ciascun gruppo contribuisce alla attivazione del sistema a seconda della posizione occupata nel sistema rispetto al segnale primitivo inviato dal singolo neurone attivato: il cervello è come un "supersistema di sistemi" in cui si possono distinguere diversi livelli di architetture neurali che vanno dai singoli neuroni ai circuiti locali (gruppi) e che interessano via via i nuclei subcorticali e le regioni corticali.

Questi risultati, dovuti alle ricerche neurobiologiche degli ultimi cinquanta anni, dimostrano la non veridicità delle precedenti ipotesi della frenologia, secondo cui si avrebbe nel cervello una localizzazione ben definita delle funzioni, e quindi esisterebbero dei "centri" preposti a queste singole funzioni (ad esempio, la visione, il linguaggio, il comportamento, il ragionamento, etc). Le funzioni vanno invece attribuite a numerosi e singoli sistemi interconnessi, il cui diverso e variabile livello di interconnessione "produce" le varie funzioni mentali che noi classifichiamo discrezionalmente come attività separabili: della vecchia idea frenologica si salva forse solo la constatazione che la localizzazione del neurone o del gruppo di neuroni attivati che riceve o che produce il primo stimolo, nel sistema che svolge una certa funzione, può essere determinante al pari della struttura (e delle relative interconnessioni) del sistema cui appartiene; ma non dimentichiamoci che lo stesso sistema può svolgere funzioni mentali diverse, a seconda delle diverse interconnessioni. Perciò ciascuna funzione mentale non è strettamente localizzabile nè attribuibile ad un singolo gruppo di neuroni, e neppure ad una singola unità cerebrale.
Purtuttavia sussiste una certa asimmetria di funzioni tra i due emisferi cerebrali, destro e sinistro (3), nel senso che ciascuno di essi è interconnesso con sistemi e gruppi di neuroni che svolgono attività affini. Ciò è stato rilevato da numerose esperienze compiute sopratutto su chi ha subìto lesioni in uno dei due emisferi. L'emisfero sinistro sembra più analitico, e presiede particolarmente alle attività del linguaggio, della scrittura fonetica, del ritmo, della classificazione di suoni e colori, del calcolo logico-matematico. L'emisfero destro, invece, prevale nelle attività dell'analisi visiva e spaziale (riconoscimento e riproduzione di figure), in alcuni aspetti della espressione musicale (tonalità, timbro, elaborazione armonica), nella scrittura ideografica. E' da notare inoltre che negli uomini le differenze e le asimmetrie funzionali sono molto più evidenti che nelle donne, nelle quali eventuali lesioni cerebrali producono effetti meno accentuati.

I due emisferi formano, come dicevamo, il complesso chiamato cerebrum; sotto di essi, al centro e in posizione posteriore, il cerebellum o cervelletto; vedremo in seguito una differenza funzionale estremamente interessante che distingue il cerebrum dal cervelletto; ma fin d'ora possiamo notare che il numero di neuroni e di sinapsi del cervelletto è dello stesso ordine di quello del cerebrum: si parla di circa 30 miliardi di neuroni per il cervelletto, nonchè di un numero di sinapsi quasi pari a quello dei neuroni del cerebrum. Inoltre sembra che il cervelletto presieda alle attività autonome (e forse alle attività inconscie) del nostro sistema nervoso.

[i] 2.2 - Struttura fine dei neuroni e delle sinapsi

E' della massima importanza analizzare la struttura dei neuroni, dato che ad essa è associata una fondamentale ipotesi (Penrose) - che vedremo in seguito - riguardante il fenomeno della coscienza nell'uomo. I neuroni sono assimilabili ciascuno a singole cellule, malgrado la loro notevole dimensione lineare. Come le cellule (ma anche come l'ameba, il paramecio, e altri individui monocellulari), sono provviste di "citoscheletro", struttura assai complessa e dalle funzioni molteplici. Questa struttura (1) funziona da "sistema nervoso" e da "sistema di controllo" della cellula, e può favorire il trasporto di singole molecole da un punto ad un altro dello stesso citoscheletro. E' interessante notare che ciascun neurone risulta quindi provvisto di un proprio "sistema nervoso" in grado di marcarne l'autonomia e di ampliarne e integrarne le funzioni.

Il citoscheletro, all'interno del neurone, è costituito da fasci di piccolissimi tubicini (2), detti microtubuli, associati ad actina e a filamenti organici destinati a tener assieme l'intera struttura (fig.3).

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Ciascun microtubulo, che può raggiungere lunghezze dell'ordine di qualche millimetro, ha un diametro interno di circa 14 nanometri ed esterno di 25 (un nanometro = un miliardesimo di metro); le sue pareti sono formate da proteine chiamate "tubuline" (chimicamente dette "dimeri" e formate da due parti distinte: alfa-tubulina e beta-tubulina) capaci di esistere in almeno due conformazioni (commutabili) differenti, a seconda dello stato di polarizzazione elettrica della proteina medesima (2, 3). Lo stato di polarizzazione elettrica può venire influenzato, da sostanze vicine alla proteina, tramite le forze di van der Waals (momenti di dipolo elettrico) che tali sostanze posseggono. Inoltre, i microtubuli possono accorciarsi e allungarsi, e favorire il trasporto di neurotrasmettitori lungo il loro dorso esterno.

Le sinapsi, luoghi di interconnessione e intersecazione tra assoni e terminazioni dendritiche, hanno una particolare conformazione: una spina dendritica, costituita da una protuberanza in cui sono presenti filamenti di actina contrattile collegata con i microtubuli della dendrite, penetra nel bottone di interconnesione dell'assone ed entra in collegamento coi suoi microtubuli tramite i detti filamenti e le clatrine (specie di trimeri proteici dalla funzione ancora ignota presenti nel bottone)
(4); il controllo della attività più o meno "forte" delle sinapsi si pensa dovuto alla interazione clatrine-filamenti di actina.
[i] 3.1 - Formazione di immagini mentali - Il pensiero

Il pensiero viene generalmente considerato come il risultato di una attività cerebrale volta a realizzare un susseguirsi logico di immagini mentali (1, 2, 3), intendendo per immagini mentali realtà non solo visive ma anche olfattive, sonore, tattili, gustative. E' caratteristico del concetto di "mente cosciente" concepirla sorretta da un sistema neurale in grado di darsi delle "configurazioni" stabili (memorizzabili) che possano venire articolate in un discorso congruente da parte dei "centri di apprendimento e di rielaborazione" cerebrali. Naturalmente, perchè si possa parlare di mente cosciente e pensante, occorre che il processo cognitivo abbracci l'intero corpo, che è capace appunto di proporre le varie immagini. In effetti, l'interazione corpo-cervello si avvale sia del meccanismo dei nervi (per cui le terminazioni nervose trasmettono segnali da tutto il corpo al cervello e viceversa) sia, in contemporanea, del sistema arterioso-venoso che trasporta in ogni parte del corpo, tramite il sangue, segnali chimici provenienti dai neuroni e costituiti da ormoni e neurotrasmettitori. Quindi, le basi per un continuo e reale collegamento corpo-cervello ci sono; questo permette il susseguirsi delle immagini mentali (4, 5). Occorre, naturalmente, analizzarne le modalità di formazione e registrazione. Successivamente vedremo come vengono registrate le emozioni, che, se fissate nel periodo prenatale (emozioni primarie), sono addirittura le prime realtà su cui si basano le immagini mentali.

Per quanto concerne i segnali inviati dal cervello al corpo, abbiamo esaminato il meccanismo, che prevede un supersistema di sistemi, in cui gli stimoli, in partenza da un ristretto numero di neuroni, possono venire o amplificati (e interessare zone via via più ampie), o bloccati e smorzati (con la mancata riemissione di neurotrasmettitori) da parte dei neuroni successivamente attivati per mezzo delle sinapsi. Viceversa, per quanto concerne invece i segnali inviati dal corpo al cervello, sembra che le terminazioni nervose captino e ritrasmettano tutti gli stimoli ricevuti senza che vi sia attenuazione o blocco, se non cosciente; gli stimoli vengono ricevuti da zone ben determinate del cervello, all'interno delle cortecce cerebrali (cortecce sensitive, dette “specifiche” o “primarie”), ove giungono i segnali dovuti alla visione, all'udito, al gusto, all'olfatto, alla tattilità.

Recenti studi indicano anche che l'insieme dei segnali, che viaggiano nell'uno o nell'altro senso, non si arresta nelle "stazioni" di arrivo, ma vIene riflesso all'indietro, e non solo al termine del viaggio, ma anche durante il cammino, man mano che raggiunge regioni neuroniche diverse che deve necessariamente attraversare: è dall'insieme di questo flusso e riflusso continuo che verrebbero estratte e via via aggiornate le immagini mentali.

[i] 3.2 - Sistemi di registrazione delle emozioni:
Le rappresentazioni disposizionali - Le zone di convergenza

Per essere memorizzate, le immagini mentali debbono necessariamente corrispondere a delle modificazioni biologiche permanenti di circuiti neuronici(o neurali). Successivamente, i centri mentali dell'apprendimento potranno richiamare alla coscienza tali immagini riattivando le connessioni neurali con i circuiti che hanno subìto la modificazione. Ma solo le "percezioni sensorio-emozionali", in quanto sensazioni corporee fisicamente determinate, possono indurre delle modificazioni permanenti nei microscopici circuiti neurali: le immagini mentali sono quindi una ritrasmissione, a livello cosciente organizzato, delle modificazioni strutturali neuroniche indotte dalle percezioni emozionali. Naturalmente, il termine "percezioni emozionali" è qui usato nella sua più vasta e completa accezione, che comprende ogni acquisizione cosciente (o inconscia) di nozioni sensoriali (*). Una "percezione sensorio-emozionale" può provenire dall'interno o dall'esterno del corpo e consiste nel riflesso a livello neurofisiologico di un evento capace di essere captato dai sensi e dalle terminazioni nervose dell'uomo, inducendo una modificazione strutturale permanente o temporanea di un circuito neuronico. Notiamo anche che ogni percezione contiene una "informazione", contenuta nella realtà che la provoca, comprendente la strutturazione logico-fisica di detta realtà: vedremo in seguito che è proprio questa "informazione strutturata" che nell'uomo primitivo determinò e fece sviluppare gli strumenti atti alle future elaborazioni razionali (neocorteccia) e che oggi, rivelata e assimilata dai centri di apprendimento della mente, contribuisce alla acquisizione delle capacità razionali del fanciullo.

E' da tener presente che ogni sistema di analisi dell' "informazione" necessita di operazioni computazionali di tipo algebrico e algoritmico; i neuroni di certe zone cerebrali (emisfero sinistro del cerebrum) possono fungere da unità di calcolo e memorizzare le parti logico-matematico-fisiche delle emozioni. Si è pure ipotizzato che anche i dimeri di tubulina dei microtubuli possano efficacemente svolgere questa funzione (operando un cambiamento di configurazione geometrica), data la enorme quantità di dimeri presenti (valutata in dieci milioni di dimeri per ogni singolo neurone).

Ora, il meccanismo della modificazione strutturale dei circuiti neuronici (causata dalle percezioni emozionali) consiste nella formazione di "rappresentazioni disposizionali" di schemi di connessione delle attività neuroniche, topograficamente organizzate e permanenti: a tali attività possono, naturalmente, partecipare contemporaneamente più gruppi di neuroni, a seconda dei diversi organi del corpo che ricevono le percezioni emozionali.
Come immaginarci le "rappresentazioni disposizionali"? Un circuito neurale, sotto l'azione dello stimolo percettivo emozionale, assume una diversa configurazione, che viene memorizzata; ciò può consistere semplicemente in una modificazione della geometria di costituenti molecolari (che possono poi tornare "a riposo", ovvero - su richiamo - nuovamente nella posizione modificata).

Per ribadire l'importanza delle rappresentazioni disposizionali basterà osservare che esse "rappresentano" il corpo nei confronti della mente: per mezzo di loro la mente "sente" il corpo con tutte le varietà e sfumature delle percezioni sensoriali che riceve dall'interno o dall'esterno di esso. E' opportuno notare inoltre che una percezione emozionale viene "metabolizzata" da più circuiti neurali appartenenti ai diversi organi che l'hanno percepita, per cui dobbiamo obbligatoriamente presupporre anche l'esistenza di "zone di convergenza" (piccoli insiemi di neuroni), cui fanno capo le diverse configurazioni permanenti (rappresentazioni disposizionali) indotte nei circuiti neurali dei diversi organi (1, 2, 3).

Praticamente, una "zona di convergenza" è da considerarsi come costituita da un insieme di sinapsi che raccolgono e ricompongono la percezione emozionale mediata dalle numerose rappresentazioni disposizionali di neuroni formate nelle parti del sistema nervoso interessate dallo stimolo percettivo medesimo. La zona di convergenza può venire anch’essa stimolata e attivata, e mediante le sinapsi, può raggiungere le rappresentazioni disposizionali; esse, una volta ricomposte e riattivate, sono in grado di evocare e ritrasmettere nuovamente le emozioni che i centri dell'apprendimento forniranno alla mente cosciente sotto forma di immagini mentali. Recenti studi (4) mostrano che i centri dell'apprendimento capaci di riproporre immagini mentali sono ubicati nelle cortecce sensoriali associative, le quali, sotto lo stimolo di una nuova percezione o di un ricordo, riescono a riattivare il complesso delle zone preposte alla ricerca e alla individuazione di quelle rappresentazioni disposizionali che, come dicevamo, sono state impresse sotto forma di organizzazione topografica neurale di modificazioni strutturali permanenti dovute a ciascuna percezione emozionale. Oggi si pensa che l'intera conoscenza (non solo emozionale) dell'uomo sia racchiusa nelle rappresentazioni disposizionali neuroniche, anche se è ancora oggetto di studi il meccanismo che provoca il loro richiamo, che si ritiene dovuto non solo a stimoli esterni, ma ad una attività autonoma della mente cosciente, e sopratutto del subconscio, come vedremo in seguito.

[i] 3.3 - Circuiti neurali innati e circuiti modificabili. Emozioni primarie e secondarie.

Abbiamo visto che il cervello è composto di zone evolutivamente più antiche (chiamate anche zone paleocorticali) e zone più recenti (zone neocorticali). E' di grande importanza esaminare se nel patrimonio genetico umano ci sono i presupposti per la creazione "automatica" di circuiti neurali (che poi provocheranno la instaurazione di "rappresentazioni disposizionali") nell'una e nell'altra zona. Molti studi di neurobiologia indicano che l'intero genoma umano non è sufficiente a localizzare con esattezza i singoli elementi del nostro organismo, nè, a maggior ragione, del nostro cervello. In effetti, noi possediamo un assieme genico stimabile attorno alle 100.000 unità, quando le sole sinapsi del nostro sistema nervoso principale (comprendente anche il cervello) superano sicuramente i 10.000 miliardi di unità. Questo ci conduce ad affermare con certezza che i geni attualmente a nostra disposizione possono consentire la creazione automatica "innata" soltanto di assai pochi circuiti neurali, mentre la maggior parte di essi verrà realizzata attraverso l’interazione continua con l’ambiente e le relative elaborazioni mentali dovute alle percezioni emozionali acquisite nel corso della nostra vita.

Ma perchè i geni dovrebbero "pilotare" la creazione di circuiti neurali? La risposta è assai semplice: ci sono funzioni basilari comuni a tutti gli esseri viventi che solo per via genetica possono essere trasmesse in maniera uguale ed uniforme. Ad esempio, le funzioni vitali (respiratoria, cardiaca, nutrizionale, metabolica), le funzioni riproduttive (sessuali), le funzioni di sopravvivenza (difesa interna - da malattie; difesa esterna - da ostilità di viventi o ambientali) debbono ovviamente essere presiedute da circuiti neurali (e relative rappresentazioni disposizionali) innati e non modificabili, in grado di mettere in moto reazioni comportamentali simili per tutte le specie viventi: ora, mentre il cervello utilizza "tecnicamente" questi circuiti neurali innati per il mantenimento della vita propria e dell'essere cui appartiene, nel caso umano, la comparsa della "mente cosciente", cioè di un quid cui non è associata solo una generica "coscienza" della realtà esterna, ma anche la consapevolezza di sè (la "autocoscienza"), fa sì che questi circuiti neurali innati siano presenti nel cervello e partecipino alla attività della mente anche quali "costituenti di emozioni primarie" (1) (ad esempio, il battito del cuore nelle sue diverse attuazioni, è sorgente di "emozione primaria").

Queste emozioni "primarie", registrate sotto forma di rappresentazioni disposizionali, assieme a quelle acquisite durante la vita, potranno fornire la base, prima strutturale e poi culturale, della razionalità consapevole. Si sa che questi circuiti sono situati nel midollo allungato e nell'ipotalamo (funzioni vitali e di sopravvivenza) e nel sistema limbico (istinti, pulsioni di risposta, emozioni), che peraltro contiene anche circuiti modificabili: sono proprio i circuiti modificabili a fissare la sequenza di esperienze e situazioni diverse che l'essere umano incontra nella propria vita; detti circuiti formano, tramite le sinapsi, rappresentazioni disposizionali permanenti diverse ogni volta che subiscono una modificazione ad opera delle varie esperienze; l'insieme delle rappresentazioni disposizionali costituisce il know-how a disposizione della mente per innestarvi sopra il processo razionale.

I circuiti neurali innati del sistema limbico (che peraltro sono in stretto collegamento con quelli che presiedono le funzioni vitali e di sopravvivenza) contengono evidentemente la chiave di risposta delle reazioni emotive individuali dovute a situazioni particolari di pericolo, di paura, di emergenza: abbiamo appunto chiamato "emozioni primarie" quelle percezioni emozionali che si servono di detti circuiti per realizzare rappresentazioni disposizionali permanenti inscindibilmente collegate a quelle situazioni, e per mezzo delle quali l'uomo in seguito avrà la possibilità di effettuare (per confronto) il riconoscimento cosciente delle singole percezioni e predisporre la conseguente reazione. L'amigdala e il cingolato anteriore sembrano essere le sedi principali cui confluiscono i segnali provenienti da tali circuiti.

I circuiti neurali modificabili sono invece in stretta relazione con le cosidette "emozioni secondarie" (2): stavolta, le rappresentazioni disposizionali che ne derivano, fissano, come dicevamo, i momenti percettivo-emozionali transitori che la vita ci presenta istante per istante. E' da tener presente che molto spesso esse sono dovute a interazioni precipue tra situazioni nuove ed emozioni primarie, per cui sussiste sovente coinvolgimento di circuiti innati (e quindi ancora dell'amigdala e del cingolato), ma stavolta non solo: le emozioni secondarie, nella loro articolazione e modulazione anche razionalizzata e cosciente, partecipano inoltre di rappresentazioni disposizionali che hanno sede nelle cortecce cerebrali superiori (prefrontali e somatosensitive). La mente quindi sembra cominciare a strutturarsi proprio nel controllo e nella elaborazione razionale delle emozioni secondarie, nonchè nelle modalità di attuazione della "risposta emotiva" che interesserà eventualmente l'intero organismo umano.

[i] 3.4 - Il circuito di By-Pass e il richiamo emozionale

E proprio la risposta emotiva che segue sia la ricezione di una nuova percezione emozionale, sia il suo richiamo tramite i centri mentali dell'apprendimento, ci offre l'opportunità di analizzare una ipotesi molto fondata espressa di recente. Come abbiamo visto, l'interconnessione tra cervello e corpo, tramite l'intero sistema nervoso centrale e periferico, è estremamente complessa e completa; la percezione e acquisizione di una emozione secondaria, cui segue una risposta emotiva elaborata dalla mente, in genere interessa l'intero assieme cervello-corpo. Ma abbiamo anche constatato che i circuiti neuronici via via attivati riemettono segnali "all'indietro", di "retroazione", con successivo ritorno, quasi a innescare una "vibrazione permanente di risonanza" che dura sino al termine dell'acquisizione della percezione emozionale e della sua eventuale risposta emotiva.
Ora, questi segnali riemessi all'indietro possono interessare sia l'intero sistema dei circuiti neuronici, sia soltanto parte di essi: si può cioè attivare un "circuito di by-pass risonante" che esclude le parti del sistema periferico più collegate ai visceri, alle articolazioni, e ai sistemi sensorii del corpo umano, fino ad arrivare ad un by-pass quasi esclusivamente realizzato nel cervello, e particolarmente nelle formazioni neuroniche contenenti le rappresentazioni disposizionali create dalle singole percezioni emozionali, senza arrivare a partecipare direttamente i singoli sensi tramite i quali i segnali emozionali sono stati realmente percepiti.

Il circuito di by-pass (1) è detto anche circuito "come se", perchè consente la partecipazione mentale di una emozione primaria o secondaria (e/o di loro rielaborazioni mentali) "come se" fosse attivato l'intero circuito corporeo che le percepì per la prima volta. Questo meccanismo di by-pass cerebrale si attiverebbe, su richiesta della mente cosciente, in special modo durante la rivisitazione intensa di una emozione precedentemente provata, o anche semplicemente durante il suo ricordo, con intensità differente a seconda del livello neurale di instaurazione del by-pass medesimo.

[i] 3.5 - Il sentimento

Vediamo in ultimo come la moderna neurobiologia concepisce il sentimento (1) ("emozione prolungata") in rapporto con le singole percezioni emozionali che lo hanno generato. Come abbiamo detto, le emozioni sono contenute e raffigurate nell’insieme delle rappresentazioni disposizionali generate dai circuiti neuronici che le hanno recepite tramite i meccanismi percettivo-sensorii propri del corpo umano. Ora, emozioni della stessa famiglia e riferentesi tutte ad una stessa situazione, anche se raccolte in tempi diversi, danno origine a rappresentazioni disposizionali molto simili, quasi modulate, che si accumulano nel tempo e formano un patrimonio emozionale congruente che può essere richiamato da immagini mentali suscitate da ricordi o stimoli esterni: l'assieme di queste "emozioni modulate", così tornate alla coscienza, genera nella mente e nel corpo uno stato complessivo che chiamiamo "sentimento", o anche "stato d'animo".

[i] 4.1 - Acquisizione delle qualità emozionali e razionali.
Fenomeni mentali connessi con l'attività razionale. La conoscenza

Abbiamo visto i circuiti neurali che fissano le percezioni emozionali e la possibilità da parte dei centri mentali di richiamarle, anche attraverso circuiti di by-pass: ecco, la caratteristica dell'essere umano dell'ultima generazione (homo sapiens) consiste nell'aver acquisito la cosidetta "razionalità" tramite le suddette percezioni (1) : infatti, la zona neocorticale si è via via come autostrutturata su di esse, analizzandole, ricavandone il contenuto computazionale matematico-fisico, e in ultimo imparando a ricostruirle razionalmente dalle singole rappresentazioni disposizionali immagazzinate, afferenti i diversi sensi che le hanno percepite, secondo schemi che riconosciamo sottoposti ad una logica univoca. La funzione ha creato l'organo. Ma vediamo più in dettaglio in qual modo la specie vivente ha acquisito gli strumenti per l’utilizzo e per l’estrinsecazione delle qualità emozionali e razionali, e come ha realizzato gli organi fisiologici necessari a tali funzioni.

La prima cellula “vivente” si è potuta definire così (e quindi differenziare dalle macromolecole “non viventi”) perché fin dall’inizio era provvista delle capacità di “conservare” per un certo tempo la propria struttura (vita) e di “riprodursi”, utilizzando e inglobando molecole non viventi, allo scopo di realizzare cellule simili a se stessa che potessero continuare il processo vitale anche dopo la sua “destrutturazione” (morte). Ma tale cellula “sapeva” di vivere?

La scienza contemporanea più avanzata (come vedremo in seguito) ipotizza un piccolissimo “grado di coscienza” anche per tale cellula, correlandone il grado di coscienza ai “gradi di libertà” posseduti, che sono ben limitati. Ad ogni modo, le interazioni di tale cellula vivente con l’ambiente cui apparteneva, erano già di carattere “percettivo-emozionale”: stimoli di tipo acustico o elettromagnetico la colpivano, per avvertirla sul quando e sul come realizzare le sue funzioni elementari, o per ucciderla. Ecco quindi che ogni forma di vita successivamente sempre più “organizzata” (cioè provvista di singoli, diversi e sempre più strutturati organi funzionali) si è scontrata sempre con un ambiente esterno ricco di segnali passibili di “percezione emozionale”: per questo, milioni di anni fa, le prime forme animali viventi (oltretutto in possesso di “gradi di libertà” ben maggiori della singola cellula) si dotarono di strumenti e organi in grado di captare questi elementi capaci di suscitare “emozioni” (e nei loro cervelli comparvero le strutture ellissoidiche, quali talamo, ipotalamo, amigdala, etc, che abbiamo precedentemente visto), e ciò allo scopo di assicurarsi una sopravvivenza, un certo “stile di vita”, la possibilità di riprodursi e e di aggregarsi in famiglie (riconoscersi), prima di morire. Si può veramente affermare che la funzione ha creato l’organo, cioè le necessità funzionali legate al loro tipo di vita hanno realizzato gli organi capaci di conservarla: senza la captazione delle “percezioni emozionali” provenienti dall’ambiente circostante (e lo sviluppo dei relativi organi), non ci sarebbe stata difesa né conservazione della propria specie, e neppure sarebbero comparse le prime specie viventi organizzate.
Naturalmente, se la prima cellula era in possesso di un “grado di coscienza” elementare, ben maggiore esso doveva essere nelle specie viventi più evolute, man mano che aumentava la complessità delle situazioni da risolvere e man mano che aumentavano i “gradi di libertà” connessi con l’incremento della vita di relazione. Quindi, l’aumento del grado di coscienza è elemento essenziale che affianca le capacità di captazione e di “metabolizzazione” delle percezioni emozionali nell’essere vivente.
Ma quando compare la razionalità, e perché? La risposta più logica è che il meccanismo di “formazione di organi” originato dalle percezioni emozionali sia continuato ancora e abbia provocato la comparsa e la formazione della corteccia cerebrale: infatti, le “emozioni”, percepite come tali da un essere vivente, in realtà sono causate, come abbiamo detto, da stimoli e segnali che contengono delle informazioni provenienti dall’universo che li ha generati, e che consistono in strutture ondulatorie (onde elastiche ed elettromagnetiche) e in funzioni matematico-fisiche a loro associate, che oggi, con la nostra mente, consideriamo perfettamente comprensibili e descrivibili con modelli razionali, computazionali e algoritmici. Ebbene, noi riteniamo che ancora una volta la funzione ha creato l’organo: per recepire fino in fondo la parte strutturante computazionale matematico-fisica delle percezioni emozionali, si sono formate le strutture le strutture cerebrali della paleocorteccia e in seguito della neocorteccia, costruite nell’unico modo possibile per determinarne la acquisizione e quindi la comprensione.

Ora, se la nascita della razionalità è dovuta alle percezioni emozionali, ad essa dovrà necessariamente seguire una "coscienza della propria razionalità", condizione indispensabile per la successiva realizzazione della mente razionale cosciente (e preconscia), cioè di ciò che viene normalmente denominato "mente", che per noi consiste nell' atto continuato volontario della razionalità cosciente (e preconscia) volto ad acquisire, elaborare, accumulare "conoscenza". Naturalmente, anche le caratteristiche computazionali, gli schemi logici vengono assimilati e memorizzati (probabilmente allo stesso modo delle percezioni emozionali), di modo che è possibile richiamarli e utilizzarli di continuo in quella che abbiamo chiamato "attività razionale cosciente e preconscia": praticamente, noi apprendiamo dalle percezioni emozionali la logica del loro manifestarsi, che è insita in esse; la mente (2), utilizzando parti cerebrali appartenenti all'ultimo stadio evolutivo (la neocorteccia), riesce ad astrarne questa logica che poi utilizzerà in circuiti di by-pass ristrettissimi e solo a lei destinati.
La conoscenza comincia qui: come abbiamo detto, si tratta di togliere alle percezioni emozionali la parte emozionale, per ritrovare e utilizzare per una strutturazione fisiologica lo scheletro logico che necessariamente hanno, dato che, in ultima analisi, sono figlie di realtà esterne sottoposte a ben precise leggi fisico-chimiche universali che ubbidiscono ad una logica strutturale comune. Ad esempio, una percezione emozionale "sonora" quale un improvviso tuono, o un urlo, etc, ha origine e si trasmette mediante onde elastiche che hanno ben determinate caratteristiche matematico-fisiche derivanti dal mezzo di propagazione: esiste una struttura ondulatoria avente una frequenza d'onda numericamente ben definita, descrivibile con equazioni differenziali che la nostra mente ha potuto ritrovare e formulare non appena è stata in grado di farlo attraverso le strutturazioni organiche (soprattutto la neocorteccia) acquisite durante il processo naturale di metabolizzazione emozionale (consistente nella fissazione degli archetipi e nella associazione e pre-rielaborazione dei percetti sensoriali-emozionali recepiti).
Analogamente, una percezione emozionale "visiva", che si manifesta attraverso onde elettromagnetiche, generate da perturbazione di campi diversi da quello sonoro, ma aventi una strutturazione logico-matematica identica ad esse. Così pure le percezioni emozionali dovute all'odorato e al gusto, che hanno una base chimica e una trasmissione biofisica ben precisa. Questo quindi, ripetiamo, ci sembra sia stato il meccanismo base della acquisizione della conoscenza
(3, 4, 5): attraverso le percezioni emozionali, abbiamo ricevuto dall'esterno, nella nostra mente cosciente, la logica e le leggi generali di funzionamento della realtà in cui siamo immersi; le emozioni percettibili fanno da specchio reale di essa e sono il veicolo attraverso cui l'essere vivente ha potuto, utilizzando un sistema vivo (il proprio sistema nervoso-neurale), recepire e metabolizzare realtà astratte e "non viventi" (leggi fisiche,criteri logico-matematici da esse derivanti, etc), oltre che, naturalmente, ricevere, memorizzare, ricostruire i segnali emozionali stessi, che hanno funzionato come da "onda portante". Nell'uomo di oggi, la sua mente, già predisposta da schemi genetici ormai consolidati, "filtra" l'onda portante, ricavandone gli schemi logici che contribuiscono alla riacquisizione della sua strutturazione funzionale e razionale e, praticamente, al suo stesso funzionamento.

Appare chiaro che, una volta strutturata razionalmente, la mente cosciente umana può agevolmente "riesprimere" le realtà logiche apprese dalle varie percezioni costruendo astrazioni fisico-matematiche, teorie generali, sistemi filosofici, di notevole ma non esaustivo valore; infatti essa sarà per sempre prigioniera di questa sua logica, da cui non può liberarsi che, come vedremo, con l'intervento del "pre-subconscio", capace di imporle "nozioni" percepite altrimenti, e finalmente "alogiche".

Tornando all'essere umano attuale, constatiamo quindi che si trova in possesso non solo di un sistema di registrazione delle percezioni emozionali che gli consente reazioni istintive simili a quelle degli animali (6, 7), ma anche di una razionalità cosciente che gli permette ogni genere di analisi non istintiva, e che può bloccare, ritardare o ampliare tali reazioni. Ciò che è stato dedotto quindi dagli ultimi studi di neurobiologia è che nell'uomo la razionalità cosciente si è strutturata sul suo know-how percettivo-emozionale, e non preesisteva quale realtà a se stante, come invece molti filosofi e scienziati del passato credevano. Certamente, rimane da definire e comprendere il fenomeno della coscienza e della consapevolezza (autocoscienza) (8, 9, 10), e sarà estremamente interessante analizzarne le cause e le ipotesi di acquisizione da parte della mente (che vedremo in seguito), anche se si è intravisto qual'è il meccanismo di acquisizione della razionalità. Comunque, oggi, tale razionalità è una caratteristica peculiare e autonoma della mente cosciente e consapevole di se stessa, ne condiziona lo stesso funzionamento tantochè tutta l'attività dell'uomo ne risulta marcata.

[i] 4.2 - Il ruolo del subconscio

E' opportuno ora ampliare la nostra visuale e analizzare ciò che viene comunemente chiamata "psiche" dell'uomo, cioè una capacità globale di autopercezione che va al di là del razionale cosciente.
In effetti, è stata individuata ed esiste nell'uomo una "attività psichica" non conscia, che la mente può ignorare: non siamo sempre consapevoli della nostra attività psichica; infatti, emozioni, immagini, pensieri vengono memorizzati in rappresentazioni disposizionali, come dicevamo, ma non necessariamente questo processo è sempre coscientemente controllato, e spesso avviene in modo automatico e non cosciente
(1, 2, 3). La psicanalisi sostiene che una parte della attività psichica non cosciente può essere riportata alla coscienza della mente; questa parte viene detta "attività preconscia" e il luogo di svolgimento viene detto subconscio.
Non prenderemo in considerazione il cosidetto "inconscio", l'altra parte della attività psichica non cosciente, ove albergherebbero paure, emozioni non volute, frammenti di vita che la mente razionale ha patologicamente rimosso (quasi avesse "tagliato" i neuroni afferenti le relative rappresentazioni disposizionali !); secondo la psicanalisi, l' "inconscio" può raffiorare solo in speciali sedute di analisi, e con l'uso dell'ipnotismo da parte dello psicanalista. Non è questo il caso delle creazioni artistiche volontarie, in cui semmai occorre un certo grado di voluto "autoipnotismo" (sonno particolare o concentrazione profonda) e in cui si possono rivelare le "acquisizioni positive della mente inconscia", e dove comunque non dovrebbero poter emergere le "patologie" dell'inconscio. Non è ancora nota la sede della "mente inconscia" o subconscio: alcuni hanno ipotizzato il coinvolgimento del cervelletto, dato che esso presiede a gran parte delle attività automatiche non controllabili che avvengono nel corpo umano, possiede un numero di neuroni quasi pari a quello del cervello, e può essere sede autonoma di rappresentazioni disposizionali; ma al momento non sussistono prove sufficienti per poterlo affermare con certezza.
Ora, durante una creazione artistica cosciente, la mente umana può controllare razionalmente le emozioni, il sentimento e l'istinto (fino a mortificarne, a volte, i prodotti più genuini e più belli!); ma, per fortuna, non può controllare la attività del subconscio, valvola di sicurezza, e soprattutto sede di riappropriazione, per l'uomo, delle grandi sintesi emozionali che verranno successivamente tradotte in fatto artistico dalla mente stessa, una volta che ne sia stata resa partecipe a livello cosciente tramite i circuiti neurali a ciò preposti.
In che modo agisce il subconscio? Normalmente, rimane nascosto, dato che la mente cosciente occupa di solito tutto il campo vitale; ma ci sono momenti in cui la mente "allenta" il suo grado di coscienza (durante il sonno o durante una concentrazione profonda), ed ecco allora che il subconscio viene a galla imponendo suoi ritmi. Sicuramente esso, come abbiamo detto, ha a disposizione tutto il know-how emozionale dell'individuo (consistente nell’intero patrimonio mnemonico delle acquisizioni sensoriali nonché delle relative percezioni emozionali), ma ne rifiuta la strutturazione razionale fattane dalla mente cosciente, per esprimersi attraverso "folgorazioni globali" che successivamente parteciperanno tutto l'essere umano e, incredibilmente, in ultimo, anche la mente, che sembra assistere attònita e silenziosa a quanto sta avvenendo, anche se poi si prende la sua rivincita nella traduzione della "folgorazione" in fatto artistico mediante un linguaggio razionale appropriato (consistente, per noi, come vedremo in seguito, nelle "rielaborazioni razionali degli archetipi evocati"), per comunicare agli altri esseri quanto ha appreso durante la folgorazione medesima.
E' ipotizzabile che il subconscio utilizzi tutti i circuiti di by-pass contemporaneamente ed elabori una "sua" logica di aggregazione delle percezioni emozionali, diversa da quella che compirebbe la mente cosciente, prigioniera della propria strutturazione. La mente, in seguito, sarà costretta ad una "razionale riespressione" di ciò che ha percepito dal subconscio e proprio in questo processo si esplica il genio dell'artista, che mai deve ridurre o mortificare il messaggio, ma semmai ampliarlo, arricchirlo, renderlo "unico", per mezzo delle tecnologie di espressione più raffinate che egli possiede. Come abbiamo accennato, artista è anche lo scienziato, che segue lo stesso processo quando "propone" una grande ipotesi scientifica globale, che poi verrà strutturata mediante le "tecnologie di espressione" di tipo matematico, e successivamente, verificata razionalmente e sperimentalmente.
Einstein descrive in termini simili la "folgorazione" da lui avuta
(4), cui è seguita la formulazione della Teoria di Relatività Generale, sottoposta poi a numerose verifiche sperimentali. Allo stesso modo, Watson e molti altri. Leo Szilard, poi, sosteneva che "lo scienziato creativo ha molto in comune con l'artista e con il poeta: i processi creativi su cui si basa il progresso della scienza operano a livello del subconscio" (5), mentre Jonas Salk, analogamente, diceva che "la creatività poggia su un amalgama di intuizione e ragione" (6).

[i] 5.1 - Coscienza e consapevolezza di sè. La mente e la sua attività razionale.

E' opportuno , prima di procedere, fare un pò di chiarezza sulle più alte qualità dell'essere umano, sulle loro interconnessioni, sul loro manifestarsi. Abbiamo parlato di cervello, di sistema nervoso, di sistemi di registrazione, richiamo, rielaborazione razionale delle percezioni sensorio-emozionali; è necessario ora esaminare sotto quali condizioni avviene il funzionamento di tutto ciò.
La coscienza è qualità peculiare della mente
(1, 2, 3): senza di essa è impossibile concepire nell'uomo l'esistenza di una attività di pensiero; abbiamo anche detto che esiste una attività psichica inconscia, che però, sotto determinate condizioni, può essere riportata a livello mentale cosciente. Chiaramente, ciò che noi intendiamo per "mente", non coincide col cervello, col sistema nervoso, etc, ma utilizzerà questi "sostrati corporali" per la sua "attività pensante", per un suo funzionamento attivo autonomo volontariamente scelto e determinato (libero arbitrio) che presuppone, appunto, un atteggiamento cosciente.
Notoriamente, tre sono le caratteristiche qualitative caratterizzanti gli esseri viventi:
- la qualità percettivo-emozionale (cioè la facoltà di captare percezioni sensorio-emozionali)
- la qualità razionale (cioè la facoltà di creare aggregazioni logico-computazionali)
- la qualità cosciente (cioè la facoltà di sentirsi realtà esistente)
Nell’uomo si parla comunemente di “mente cosciente emozionale-razionale”.
Ma l'animale ha una "mente"? Sicuramente possiede una coscienza della realtà in cui è immerso e della propria esistenza, che si sforza di preservare; questo suo "livello mentale" si basa anch'esso sul funzionamento del proprio cervello e sistema nervoso, ed è in grado di percepire, immagazzinare, richiamare emozioni, e forse embrionalmente "razionalizzarle". Ciò che lo distingue dall'uomo, è il "grado" di coscienza
(4), in stretto rapporto col livello mentale.
Infatti, il grado di coscienza posseduto sembra condizionare la completa esplicazione delle altre qualità: è diverso “provare una emozione” (cosa possibile anche agli animali) da “essere cosciente di stare provando una emozione”; è diverso “avere facoltà di computo” (cosa dimostrata possibile in alcuni animali) da “essere cosciente di avere facoltà di computo” e quindi sapere di poterle autonomamente sviluppare e impiegare (come nell’uomo) in complesse elaborazioni di teorie scientifiche.
Queste “diversità” sono sicuramente correlate al “grado di coscienza” posseduto.
Nell'uomo infatti, al di là della generica coscienza, è presente la "coscienza di essere cosciente", la consapevolezza di sè, la autocoscienza; Il fatto poi che l'uomo sia anche in possesso di facoltà di percezione non cosciente - e ne sia consapevole - amplia enormemente le sue possibilità di espressione, tanto da renderlo "creatore" di Arte e di Scienza.
Così pure ciò che comunemente viene detto "fantasia", e che è proprio dell'uomo e non dell'animale, può venire associato solo col possesso di un alto grado di coscienza, dato che soltanto questo requisito può attivare una libertà di percorsi mentali
(5, 6) tale da consentire rievocazioni e aggregazioni sempre diverse delle proprie rappresentazioni disposizionali; e questa è solo la "fantasia" dovuta alla autocoscienza, dal momento che, come vedremo, l'uomo può anche realizzare una "fantasia" del subconscio.
Ora, come abbiamo detto, i meccanismi di "analisi strutturale" delle percezioni sensorio-emozionali (consistenti nella estrazione e fissazione delle parti computazionali delle medesime), pilotati dai centri cerebrali ove ha sede l'autocoscienza, hanno, durante l'evoluzione, condotto alla acquisizione di una vera e propria "attività razionale autonoma" capace delle più grandi manifestazioni ed estrinsecazioni di questa "razionalità"; ad esempio, la possibilità di creare modelli teorico-matematici dell'universo, per tentarne una spiegazione e predirne certe sue evoluzioni, appartiene solo all'uomo e non agli animali, e sicuramente è in relazione con l'alto "grado di coscienza" da lui posseduto. Ed è inoltre straordinario anche che l'uomo possa "creare" (o ricevere dall'esterno?) concetti e idee che non esistono nella realtà spazio-temporale cui appartiene, quale l'idea di "infinito" matematico (anzi, di più infiniti di diversi livelli)
(7) cui non corrisponde assolutamente un "infinito" fisico!
Ma vediamo un pò più in dettaglio gli effetti e i limiti della attività razionale acquisita dalla mente cosciente umana nel tempo. Intanto, nel tentativo di crearsi un modello plausibile della realtà in cui si trovava immersa, la mente (una volta in possesso degli "strumenti" opportuni, cioè la strutturazione della corteccia cerebrale) ha cominciato a "contare" (computare) le cose; poi a realizzare algoritmi matematici e funzioni algebriche computazionali (in cui possiamo comprendere anche il calcolo probabilistico e i sistemi caotici
(8), perchè espressi con modelli matematici deterministici), applicando questi strumenti di calcolo ai propri modelli fisici; contemporaneamente ha sottoposto a severa critica logico-formale le strutture matematiche ed i relativi teoremi formulati. Ciò ha condotto a varie considerazioni e risultati:

1) il mondo fisico esterno (che noi identifichiamo con lo spazio-tempo cui apparteniamo e che contiene gli elementi di tutte le realtà che percepiamo e utilizziamo) ha delle precise "leggi" cui ubbidisce; ora, nel tentativo di renderle "conoscibili" e utilizzabili (cercando di prevedere i comportamenti delle varie realtà e di assoggettarle quindi alla nostra volontà), la mente razionale ha elaborato delle descrizioni "computazionali"
(9) di tali realtà fisiche sotto forma di "leggi matematiche della fisica": ma le "leggi matematiche della fisica", così comode e razionalmente comprensibili, coincidono veramente con le leggi fisiche reali? In effetti, noi vediamo che la Fisica Teorica è sempre alla ricerca di modelli più aderenti e più completi, quasi che la nostra descrizione matematica fosse incapace di essere "definitiva";

2) le strutture matematiche ed i teoremi formulati sono stati "messi alle corde" dalla critica logico-formale sviluppatasi dopo il 1930; intanto, si è visto che esisteva anche una serie di problemi matematici "non computazionali"
(10, 11) (ad esempio: il decimo problema di Hilbert sulle equazioni diofantee, le cui soluzioni di recente sono state dimostrate non sistematicamente ottenibili con algoritmi matematici computazionali nè con programmi di calcolo elettronico; il problema - computazionalmente insolubile - della "tassellatura" (12, 13), cioè della ricerca algoritmica di forme geometriche definite, in grado di coprire un piano euclideo senza lasciarvi vuoti; l'impossibilità di calcolare la radice quadrata dei numeri negativi). Poi, il Teorema di Godel (14), che dimostra inconfutabilmente che le verità matematiche non possono essere accertate con algoritmi conoscibilmente validi: nessuna procedura algoritmica può decidere sulla verità o meno di tutte le proposizioni o enunciati della matematica.

[i] 5.2 - Il non computazionale nella mente e nell'ambiente esterno

La presenza del "non computazionale", che la mente può constatare (1, 2) ma non "comprendere" (perchè non razionalmente descrivibile a mezzo algoritmo matematico), nonchè la critica definitiva del "computazionale" insita nel Teorema di Godel, stabiliscono i limiti della qualità razionale della mente umana.
Ora, ogni percezione sensorio-emozionale, che raggiunga la mente cosciente o il subconscio dall'interno o dall'esterno del corpo, ha sicuramente caratteristiche anche computazionali (su di esse si è strutturata la "razionalità"!), ma non soltanto: e la parte "non computazionale" di tali percezioni non può che essere "compresa" direttamente dal livello cosciente e subconscio della mente, dal momento che non lo può dal livello razionale. Per quale ragione le percezioni emozionali sono fondamentalmente “non computazionali”? Perché non seguono la Legge di causa ad effetto: una unica causa di emozione viene recepita dai singoli in modo completamente diverso, producendo “effetti” diversi, e violando così la suddetta legge computazionale. Inoltre, vedremo presto anche come gli archetipi sensorio-emozionali, sia pur strutturati anche computazionalmente, contengano elementi assimilabili solo da qualità mentali coscienti e subconscie, a causa del potenziale riflesso psicologico acquisibile.
E' da tener presente, peraltro, che il "non computazionale" non è soltanto un deficit della mente razionale umana legato ad una dimostrata impossibilità di trovare soluzioni definitive a questioni da essa stessa sollevate e in essa analizzate, quali i problemi della Fisica Teorica, o certi problemi matematico-geometrici (equazioni diofantee, "tassellatura", etc), nè è presente soltanto nelle acquisizioni percettivo-emozionali, che in fondo restano sempre legate alla struttura vivente-cosciente dell'essere umano: il "non computazionale" è una qualità strutturante peculiare dello spazio-tempo fisico, e preesisteva, nel nostro universo, allo stesso sorgere della vita; fenomenologie non computazionali (come ad esempio gli "stati sovrapposti" del fotone o l'effetto di coerenza quantistica su grande scala) sono alla base della strutturazione del nostro universo, e ne costituiscono forse il mistero più affascinante.
E’ anche da tener presente che i fenomeni non computazionali sono sempre generalmente legati ad una violazione del “Principio di causa ad effetto”, cosa impossibile a concepire per i fenomeni computazionali e le leggi fisico-matematiche che li interpretano; la moderna Fisica Quantistica ha messo in luce straordinarie esperienze in cui si dimostra chiaramente che in esse non c’è più un rapporto diretto tra causa ed effetto, e che talvolta (e non solo la prima volta, come nell’ipotizzato big-bang fisico) la materia può scaturire dal nulla: un “effetto” senza causa diretta! Ovviamente, queste esperienze, anche quando galileianamente riproducibili, non possono essere sorrette ed interpretate mediante teorie matematico-fisiche computazionali elaborabili con la mente razionale.
Tornando alla mente razionale umana, è da tener presente che essa, nel tentativo di aumentare le proprie capacità (e sopratutto la sua velocità) di computo, ha da tempo creato delle macchine, prima di tipo meccanico, e poi elettrico (i cosiddetti "calcolatori elettronici"), in grado oggi di fare cose straordinarie, fino a gestire veri e propri robot che possono sostituire e integrare in maniera stupefacente le funzioni manuali e certe funzioni intelligenti dell'uomo; si è così parlato di "intelligenza artificiale", quasi fosse possibile trasferire ai robot le qualità intellettive umane: ma neppure la famosa "macchina di Turing"
(3) (un calcolatore ideale in grado di eseguire con velocità infinita un numero di operazioni computazionali illimitate) può evidentemente affrontare e trattare il "non computazionale", che è la caratteristica più particolare delle percezioni emozionali della mente cosciente. Queste debbono perciò essere, prima che metabolizzate dalla parte razionale della mente cosciente, acquisite o mediante una fase autocosciente (coscienza del sè che sta percependo stimoli sensorio-emozionali) o mediante una fase automatica (subconscio), ma in ogni caso ambedue realizzate tramite "strumenti" cerebrali (in grado di "alloggiare", "contenere", "far funzionare" sia la coscienza che il subconscio), messi in condizione comunque di riflettere il loro percepire sensorio-emozionale sui circuiti neurali preposti a creare rappresentazioni disposizionali permanenti, che ne consentano la memorizzazione e, in seguito, il richiamo.
Vedremo poi che questi "strumenti" sono attivi nel cerebrum e nel cerebellum.
Comunque, l'equivoco sulla intelligenza artificiale dei calcolatori elettronici continua ancora:
quando, nel software dei computers, oltre ai normali procedimenti di calcolo detti "top-down" (costituiti da sistemi di algoritmi definiti e immutabili, sorretti da una logica univoca), sono stati introdotti i procedimenti di calcolo detti "bottom-up"
(4) (costituiti da un accumulo di conoscenze computazionali, da scegliere e utilizzare in alternativa per la soluzione di un problema, affiancate da metodi logici di scelta condizionati da input sperimentali via via ricevuti durante lo svolgimento del procedimento, e finalizzati alla ottimizzazione delle prestazioni di calcolo, in forma solitamente sempre variabile), si è creduto di aver individuato e simulato definitivamente la "qualità intelligente" della mente razionale umana, e si è pensato quindi di poterla trasferire su calcolatori e robot; ciò è stato avvalorato dalla introduzione, nella circuitistica elettronica, del cosidetto "sistema a reti neurali artificiali", che simula la struttura dei neuroni del sistema nervoso umano, ove sono stati posti dei transistori al posto delle sinapsi.
Ma ovviamente, anche nel procedimento "bottom-up", a parte i metodi "liberi" (ma condizionati ad una ottimizzazione di funzioni!) di scelta, le conoscenze memorizzate rimangono assolutamente "computazionali", e non sfuggono a questa "maledizione": perciò non potrà esistere un computer che sostituisca l'uomo, perchè nessun robot potrà mai costruire da sè un altro robot avente caratteristiche di funzionamento logico superiori a se stesso, ma al massimo solo clonarsi; mentre l'uomo autocosciente (e non computazionale) può, se lo vuole, realizzare dei computer-robot applicando logiche sempre diverse e sempre superiori.

[i] 5.3 - Attività psichica globale (mente cosciente e inconscia) – Luoghi di svolgimento.

Dicevamo che le percezioni sensorio-emozionali sono realtà fondamentalmente "non computazionali", anche se con strutturazione "computazionale": è necessario ora analizzare se, dove, e come, nel cervello umano, sussiste la possibilità di "captare il non computazionale”. Se troveremo il luogo preposto a tale funzione (individuandone i meccanismi di attuazione), esso, con grandissima probabilità, sarà lo stesso ove appare, si manifesta, vive e si esprime la qualità cosciente della mente fino al livello della consapevolezza, nonchè la qualità inconscia, proprie dell'uomo sapiens sapiens.
Faremo nostra una ipotesi formulata da Roger Penrose
(1), che riprende e organizza cognizioni e posizioni di numerosi fisici, biofisici e biologi.
Nel settore scientifico, dopo la formulazione della Teoria di Relatività Generale, che interpreta globalmente il nostro spazio-tempo e fornisce numerose spiegazioni e previsioni circa la costituzione dell'Universo in cui viviamo, è stata la volta della Fisica Quantistica, le cui leggi e ipotesi principali sono derivate dalla necessità di interpretare fatti sperimentali connessi con la struttura fine della materia (ad esempio, la diffrazione degli elettroni, gli effetti di propagazione dei campi mediante i "quanti", la possibilità dell'esistenza di "stati sovrapposti" per il medesimo fotone, l'effetto di "coerenza quantistica"
(*) che porta alla emissione "laser", etc). Ora, mentre parte delle teorie relative a determinate fenomenologie fisiche sono state descritte con leggi matematiche perfettamente computazionali (Relatività, Equazione di Schroedinger), altre fenomenologie sono invece, come dicevamo, assolutamente "non computazionali" (gli "stati sovrapposti" del fotone, l'effetto di coerenza quantistica su grande scala); ebbene, se noi individuiamo, nel cervello umano, delle "zone particolari" ove può avvenire un fenomeno non computazionale, abbiamo una forte probabilità di avere centrato un possibile "luogo di percezione" delle acquisizioni emozionali, e quindi la tanto cercata sede della coscienza (2, 3).

Ed ecco l'ipotesi Penrose: gli stessi neuroni, che con la loro struttura interconnessa di dendriti e sinapsi sono delegati alla registrazione delle percezioni sensorio-emozionali e al loro richiamo, hanno, nella struttura fine che costituisce il loro interno, la possibilità di alloggiare eventi "non computazionali"; infatti, l'assieme di microtubuli formanti i citoscheletri dei neuroni possono, se interconnessi su grande scala (l'intero cerebrum), dar luogo a fenomeni di coerenza quantistica ("non computazionali", come abbiamo detto). Questi fenomeni sono possibili per la stessa struttura del microtubulo, che, oltre a consentire la possibilità di interconnettersi, si presenta tale da poter effettuare un sufficiente "isolamento" dall'ambiente esterno, necessario per evitare ogni interazione che potrebbe perturbare e distruggere lo stato correlato coerente realizzato all'interno dei microtubuli (che si pensa dovuto ad una oscillazione quantistica delle molecole di acqua "ordinata", occupanti
l'interno dei microtubuli medesimi). Non solo, ma secondo il recentissimo modello Penrose-Hameroff, le proteine (dette “tubuline”) costituenti i microtubuli, che normalmente hanno due conformazioni (alfa e beta) stabili, potrebbero talvolta presentare un unico “stato sovrapposto” alfa-beta non computazionale: i fenomeni di passaggio da stati pre-subconsci a stati coscienti sarebbero connessi con la transizione (la riduzione) da “stato sovrapposto” alfa-beta a stati stabili alfa e beta. Sono attualmente in corso esperienze scientifiche per provare tale ipotesi.
Comunque, è molto importante che il fenomeno di coerenza quantistica sia su grande scala, abbracci cioè un intero cerebrum di proporzioni notevoli, quasi esistesse una "massa critica coerente" cui associare la comparsa del livello autocosciente completo
(4): se così non fosse, anche gli animali potrebbero conseguirlo, mentre invece essi presentano solo una generica coscienza della propria esistenza e della realtà; solo negli elefanti e negli oranghi (che posseggono una notevole massa cerebrale) sembra presente un certo livello di coscienza di sè (e anche di fantasia), come dimostrano varie esperienze effettuate.
La prova della validità delle ipotesi Penrose la potremo avere quando sarà possibile eseguire esperienze e misurazioni di coerenza quantistica all'interno dei microtubuli
(**). Comunque, una interessante prova indiretta c'è già, ed è data dal modo comunemente impiegato per interrompere la coscienza: l'utilizzo degli anestetici generali. Queste sostanze chimiche (come, ad esempio, il cloroformio, l'alotano, l'etere etilico, l'isofluorano, il protossido d'azoto, lo xenon, etc) sono un gran numero, non hanno alcuna affinità chimica tra di loro, e sono morfologicamente completamente diverse l'una dall'altra, quasi che l'effetto puramente "chimico" non avesse alcuna influenza sul provocare "perdita di coscienza"; non resterebbe che ipotizzare una interferenza "fisica" (la forza di van der Waals (5), cioè una attrazione tra molecole in possesso di "momento di dipolo elettrico") che potrebbe modificare (mediante commutazione) la configurazione dei dimeri di tubulina, con scomparsa dello stato correlato coerente alfa-beta, provocando così una temporanea alterazione nella interconnessione dei microtubuli, e quindi la perdita della conoscenza.
Naturalmente, il fenomeno di coerenza quantistica può interessare anche i luoghi cerebrali ove avviene l’acquisizione percettivo-emozionale non cosciente, attivando, nella nostra ipotesi, il subconscio: se è così, le sostanze anestetiche potrebbero interrompere temporaneamente anche il circuito di acquisizione emozionale inconscio, dal momento che il meccanismo di interruzione è a livello dei microtubuli, e le sostanze non discriminano evidentemente i microtubuli che sottendono la percezione conscia da quella inconscia. Certamente, anche nei casi di soggetti in anestesia totale, non possiamo escludere che esista una acquisizione di elementi di realtà circostanti da parte dell'individuo, dal momento che restano attivi i "sensori corporei" (udito, vista, etc) connessi con le zone neuroniche esterne e con i circuiti in grado di memorizzare impulsi in maniera automatica: però, la assenza di acquisizione percettivo-emozionale globale conscia e inconscia dovrebbe relegare queste acquisizioni automatiche ad un ruolo quasi "fotografico", e la successiva intera riacquisizione delle capacità psichiche dovrebbe consentire la percezione e la descrizione di queste acquisizioni anomale come "momenti staccati" e indipendenti dal "continuum" vitale ed emozionale dell'individuo.
Dicevamo infine che la parte esterna del microtubulo presenta capacità di elaborazione computazionale, che sono necessarie per la metabolizzazione delle percezioni/emozioni a livello razionale, sia conscio che inconscio: con ogni probabilità, in questa sede avviene il processo di analisi delle percezioni e di estrazione delle parti razionalizzabili, che vengono poi trasmesse ai particolari circuiti neurali della neocorteccia sinistra cerebrale, preposti alla realizzazione di rappresentazioni disposizionali di carattere logico-matematico-filosofico-sintetico, mentre le parti non razionalizzabili e "non computazionali" delle percezioni emozionali vengono avviate direttamente ai circuiti neurali connessi con la neocorteccia destra, preposti alla realizzazione di rappresentazioni disposizionali di carattere autonomo-creativo-artistico-analitico.
Concludendo questa parte dedicata ai meccanismi mentali, ribadiamo che solo la psiche umana, provvista di mente contemporaneamente razionale e autocosciente (conscia e inconscia) può comprendere e accettare sia il computabile che il non computabile; infatti se le qualità della razionalità si sono sviluppate sulle parti "computabili" (cioè descrivibili con linguaggio algoritmico e col calcolo matematico) delle percezioni emozionali, appare chiaro che questa razionalità non può "comprendere" nè "contenere" il non computabile, che si presenta come una sorta di "presenza irrazionale"; ma dato che il "non computabile" esiste ed è accettato dalla mente dell'uomo, esso non può che essere associato alla qualità della coscienza e del subconscio, che affiancano la qualità della razionalità nella articolata composizione della psiche umana. Ricordiamoci che la coscienza e il subconscio accettano l'intuizione alogica, a-razionale, nel normale susseguirsi delle vicende della vita dell'uomo, per cui ogni conoscenza umana non può che vedere unito il più alto livello di coscienza (la consapevolezza di sè) ai meccanismi mentali razionali (computazionali) e a-razionali (non computazionali) . Nella nostra ipotesi, il subconscio giuoca un ruolo fondamentale, dato che abbiamo constatato che la grande ispirazione artistica e scientifica ha origine inconscia, e viene portata a livello cosciente solo dopo che la "folgorazione" (un evento globale, contenente fin dall'inizio i semi di una strutturazione razionale inconscia) è avvenuta; nella sede del subconscio, ovunque essa sia, avviene (attivazione di coerenza quantistica?) la folgorazione, che -ricordiamo- può realizzarsi solo se preceduta da giorni mesi anni di meditazione cosciente sul tema prediletto: in qual modo una meditazione cosciente, fatta forse soltanto nelle zone del cerebrum sedi della coscienza, inferisca sulla "folgorazione" (che invece avverrebbe nelle sedi del subconscio), e come quest'ultima possa affiorare a livello cosciente, è ancora ignoto, anche se è ipotizzabile l'esistenza di speciali circuiti neurali di interconnessione attivabili sotto determinate condizioni.
Un'ultima osservazione a proposito dello stato di "coerenza quantistica su grande scala" che potrebbe essere alla base di fenomeni coscienti e inconsci: se e quando la coerenza quantistica interessasse solo le aree cerebrali sede del subconscio/inconscio, ciò potrebbe costituire base scientifica per lo studio dei fenomeni cosidetti "medianici"; inoltre, è stata recentemente accertata
(6) la possibilità di trasmissione a distanza di stati correlati coerenti, anche se necessiteranno molte esperienze per convalidare definitivamente il fenomeno. Se questo trovasse conferma, avremmo una base fisiologico-fisica per trattare fenomeni di correlazione a distanza degli effetti di coerenza quantistica su grande scala; in altre parole, non su uno solo, ma su più cervelli potrebbe simultaneamente attivarsi l'effetto di coerenza quantistica, e ciò potrebbe costituire una base scientifica (***) si tratterebbe di definire la propagazione di un "campo dello spazio-tempo cosciente" e associarvi un tensore C i,k "densità di coscienza".

[i] 5.4 - Le conferme della psicanalisi.

Gli ultimi sviluppi della psicanalisi offrono una clamorosa conferma dell'esistenza di una "doppia logica" nella struttura della psiche e quindi dell'universo cui appartiene (che, come abbiamo visto, presenta caratteristiche contemporaneamente computazionali e non computazionali). Ci riferiamo agli studi del grande psicanalista Ignazio Matte Blanco, che è riuscito, dopo l'analisi di migliaia di pazienti, a formulare le leggi dell'inconscio e le sue relazioni con la coscienza, e a ritrovarvi le caratteristiche suaccennate.
Ma prima di affrontare la questione, dobbiamo dire due parole sulla psicanalisi prima di Ignazio Matte Blanco. Da Freud fino a Melanie Klein la psicanalisi è stata fortemente influenzata dalla psicologia e quasi per niente dalla neurofisiologia, come se la psiche di ciascun uomo fosse una realtà a se stante, una "emergenza" non collegata col suo cervello. La scienza ci dice invece che qualunque realtà mentale, indipendentemente dalle tendenze materialistiche o spiritualiste di ciascuno di noi, non può non essere ferreamente ancorata al corpo fisico, finchè questo è vivo. Per cui, qualunque patologia neurotica o psicotica deve avere un corrispettivo fisico, cerebrale, e deve necessariamente interessare le aree neuroniche ove sono racchiuse le rappresentazioni disposizionali che dai primi archetipi emozionali e dalle prime rielaborazioni mentali (derivati ambedue da stilemi ritmo-sonici), fino alle ultime percezioni sensorio-emozionali ricevute, raccolgono le vicende di tutta la vita. Anzi, dovremo necessariamente ammettere che è proprio la perturbazione di queste aree neuroniche, dovuta a traumi pregressi o attuali, la causa ultima di varie patologie. Nelle persone "normali", i meccanismi di acquisizione, rielaborazione, richiamo di emozioni, sono svolti sotto il controllo delle sinapsi, che ordinano le singole esperienze sensorio-emozionali e consentono la necessaria intersecazione e connessione dei vari circuiti neuronici atta al loro richiamo a livello cosciente o al loro automatico inserimento nel livello subconscio. In caso di patologia, evidentemente, questo controllo cessa o si riduce, permettendo anomali e non volontari "travasi" di percezioni emozionali tra i livelli conscio e subconscio (anzi, dovremmo cominciare a parlare di "inconscio"!). Certamente, è difficile stabilire univocamente se l'inizio della patologia è in un danno neurofisiologico o se un "conflitto" all'interno della psiche possa causare esso stesso il danno e solo immediatamente dopo riflettersi neurofisiologicamente; in ogni caso, è assolutamente certo che un riscontro a livello neurofisiologico deve necessariamente sussistere.
Ma vediamo il pensiero di Matte Blanco(1,2). Intanto, egli definisce "modi d'essere della psiche" il conscio (o coscienza), il preconscio, il subconscio, l'inconscio affiorante, l'inconscio profondo: la psiche può partecipare alternativamente dell'uno o dell'altro modo a seconda delle situazioni in cui si trova; in ogni caso, egli afferma che le realtà (emozionali e razionali) contenute nei vari modi d'essere possono riversarsi a ritroso dall'ultimo modo al primo, quando - durante gli stati psicotici - vengano meno le "resistenze interne", le "barriere" (sinaptiche, per noi). Inoltre, egli dice che la psiche, che si riflette nella mente umana, segue sempre una BI-LOGICA, costituita contemporaneamente da una "logica ASIMMETRICA" e da una "logica SIMMETRICA". La mente umana, quando sviluppa un pensiero razionale a livello conscio, segue la logica asimmetrica, costituita:
- dal sillogismo logico (logica formale aristotelica)
- dalla legge di causa ad effetto
- dal concetto di "maggiore" o "minore"
- dal binomio antinomico vero-falso, etc.
- dalla "divisione" della realtà in parti comprensibili e analizzabili.
Quando invece partecipa, con la psiche, del modo di essere inconscio, essa rifiuta tutto questo, non segue sillogismi che facciano derivare qualcosa da qualcos'altro o che implichino divisione o differenza, e segue la logica simmetrica, che consiste:
- nella uguaglianza (e non derivazione) dei termini di ogni sillogismo
- in nessuna esistenza di cause da cui derivino effetti, ma semmai, di effetti "causa delle cause" (circolarità)
- niente "maggiore" e "minore": se A > B, contemporaneamente B > A
- niente antinomia vero-falso.
- in nessuna divisione razionale della realtà in parti, ma ciò che è "parte di un tutto" è contemporaneamente "tutto di una parte", cioè "parte" e "tutto" coincidono nella cosidetta "totalità indivisibile".
La psiche, quindi, in tutti i suoi modi d'essere, segue la bi-logica (asimmetrica e simmetrica).
Ora, sempre secondo Matte Blanco, la modalità precipua del manifestarsi delle patologie dell'inconscio è quella della "generalizzazione", per cui si passa alla coincidenza delle "parti" (costituite da singoli sottoinsiemi di realtà razionali ed emozionali ivi contenute) con il "tutto" (o totalità indivisibile, costituita dalla fusione in un unico blocco di ogni punto-evento spaziotemporale vissuto dalla psiche) attraverso classi di insiemi via via più generali, che tendono a divenire (proprio mediante il principio di generalizzazione) come quelli definiti in matematica da Dedekind, INSIEMI INFINITI.
Naturalmente, ciascuno dei "modi d'essere" della psiche fruisce della bi-logica, anche se con differenti rapporti di asimmetrico/simmetrico: praticamente si va dalla "zero simmetria" del conscio (o coscienza) quando è pervaso dal pensiero razionale, alla "zero asimmetria" dell'inconscio profondo quando non analizzato razionalmente. Certo, non sempre il conscio è necessariamente legato al pensiero razionale: è sicuramente possibile aver coscienza di realtà non razionali, non computazionali, che possono essere analizzate e descritte (ma non razionalmente interpretate e spiegate!) per cui, talvolta, si può avere parziale "simmetria" anche nel conscio. Come pure, sussiste la possibilità - come abbiamo visto - di analisi razionale dell'inconscio profondo mediante il principio di generalizzazione (insiemi infiniti), al limite del computazionale, con introduzione di parziale asimmetria.
Sempre secondo Matte Blanco, quando la generalizzazione delle classi realizza la condizione di "infinità" degli insiemi, si ha nella mente il contatto supremo tra logica asimmetrica e logica simmetrica.
Tornando al nostro pensiero, lo straordinario di Matte Blanco (e della maggioranza degli psicanalisti odierni, che ne seguono le linee) è che abbia ritrovato sperimentalmente nei modi d'essere della psiche l'esistenza di una bi-logica, di una doppia logica, la asimmetrica (che per noi è la logica razionale, computazionale) e la simmetrica (equivalente per noi alla logica del non computazionale, a-razionale). Addirittura, la logica simmetrica da lui enunciata ha una singolare affinità con la legge di "non località" spazio-temporale(*), appartenente alla fisica quantistica, legge che definisce e descrive (ma non interpreta razionalmente, cosa impossibile) il comportamento dei quanti, di certe proprietà delle particelle elementari, di certe proprietà della materia stessa (elettroni, ma anche intere parti delle molecole, quando entrano nel cosiddetto "stato correlato coerente"). La legge di "non località" (3) è alla base dell'universo non computazionale.
Naturalmente, per noi, nessuna meraviglia. Se il nostro universo ha una doppia compresente strutturazione (sia razionale-computazionale, che a-razionale-non computazionale) è evidente che tutte le realtà che lo partecipano (e quindi anche ogni cellula, ogni formazione nervosa, ogni neurone, ogni attività sinaptica etc) dovranno possedere tale doppia strutturazione, con tutte le possibili interferenze e inferenze tra l'una e l'altra. Per questo, dato che ogni "pulsione" psichica deve avere un "corrispettivo" a livello neurofisiologico, la doppia strutturazione si riflette automaticamente su tutte le "emergenze" che - quali la psiche - debbono aver sede, o almeno riferimento, nel corpo umano, nel suo cervello, nel suo sistema nervoso. Ciò porta ad ammettere che ogni "moto" dell'inconscio debba essere in relazione con un "moto" o modificazione delle sequenze di connessione delle singole rappresentazioni disposizionali che immagazzinano le varie realtà ivi contenute: durante un fenomeno psicotico le connessioni improvvisamente "impazziscono", cadono le "barriere sinaptiche", viene consentito il travaso l'una nell'altra delle rappresentazioni disposizionali finora rigidamente isolate in appositi circuiti neuronici, e tutto ciò in maniera non computazionale, quasi si formasse un unico stato correlato coerente di parti delle molecole appartenenti ai circuiti neuronici non più "isolati". Certo, tutto deve essere reversibile: al cessare del fenomeno psicotico, dovrebbe tornare la normalità. Ma durante il fenomeno, se avviene, come pensa Matte Blanco, la "generalizzazione" delle classi di insiemi e il formarsi di "insiemi infiniti", questa deve necessariamente applicarsi a classi di sottoinsiemi di rappresentazioni disposizionali neuroniche, che, anche se in numero finito, possono tendere asintoticamente a valori infiniti aggregandosi - in maniera non computazionale - in insiemi sempre diversi e sempre variabili, fino a quella che, come abbiamo visto, Matte Blanco chiama "totalità indivisibile" realizzata soltanto dal puro modo simmetrico, ove ogni asimmetria (barriera) è caduta. Certamente, per tornare al "contatto" tra logica asimmetrica e logica simmetrica, un numero tendente all'infinito di insiemi di elementi numericamente finiti ma sempre variabili (quali sono le rappresentazioni disposizionali ormai via via prive di "barriere") è sempre qualcosa di computazionale, che però tende al non computazionale quando si realizza la "totalità indivisibile" della logica puramente simmetrica.
Ora, noi pensiamo che la psicanalisi di Matte Blanco possa gettare luce anche sui meccanismi neurofisiologici: ma sarebbe opportuno modificare l'attitudine degli psicanalisti a isolarsi dai neurofisiologi, e occorrerebbe creare una "neurofisiologia psicanalitica", ove si potesse estendere e applicare all'esame della psiche i risultati delle metodologie di analisi cerebrale introdotte per mezzo delle moderne macchine (ad es., elettroencefalografo collegato con macchina a risonanza magnetica nucleare - EEG+NMR). Oggi, le attuali ricerche di neuro-imaging combinano tra loro più metodi di indagine sui processi mentali al fine di costruire una neuroanatomia funzionale valida anche per gli esami psichici. Al termine di questa "messa a punto" della metodologia, è ipotizzabile la possibilità di utilizzo di questi metodi combinati di indagine durante le stesse sedute psicanalitiche. In quella sede, si dovrebbe chiaramente constatare sullo schermo, col progredire dello stato psicotico, il fenomeno dell'allargamento delle zone cerebrali interessate, causato dalla progressiva eliminazione dell'azione delimitante della "asimmetria", che sempre meno impedisce l'invasione generalizzata della "simmetria" tendente alla distruzione di ogni struttura.


(*) - E' un fenomeno non razionalizzabile caratteristico delle dinamiche della meccanica quantistica, per cui azioni tra luoghi distanti - che normalmente avvengono in tempi e spazi diversi - avvengono invece nello stesso tempo e conspazialmente. Questo fenomeno è presentato dai quanti, da protoni o altre particelle, da elettroni, da interi atomi, da parti di molecole aventi due possibili stati morfologici (ad esempio, le proteine neuroniche "tubulina alfa" e "tubulina beta", che differiscono solo per l'orientamento spaziale di parte della molecola), i quali talvolta vengono emessi e/o si presentano in modo correlato ("entangled"). Il modo correlato consiste in uno "stato di sovrapposizione" che attribuisce contemporaneamente, ai vari enti sopraelencati, proprietà normalmente antagoniste, quali ad es. velocità in due o più diverse direzioni, spin (rotazione) destrorsa e sinistrorsa, orientamenti spaziali in direzioni diverse, proprietà corpuscolari spazialmente definite che si trasformano in onde di materia stazionarie e fluttuanti con continuità (elettroni nelle proprie orbite atomiche o nei circuiti superconduttori). Ciò fu intuito (e rifiutato) dai fisici Einstein, Podolsky, Rosen (le esperienze compiute, che indicavano questo comportamento furono da allora dette "EPR", dalle iniziali dei loro cognomi). Al contrario, Niels Bohr affermò: "...anche se due fotoni (correlati) si trovassero su due diverse galassie, continuerebbero a rimanere pur sempre un unico ente, e l'azione compiuta su uno di essi avrebbe effetti istantanei anche sull'altro...". La disputa terminò nel 1982, con gli esperimenti di Alain Aspect che dimostrarono inconfutabilmente la giustezza delle suelencate proprietà della meccanica quantistica.
La legge di simmetria matteblanchiana coincide con grande evidenza con la legge di non località spazio-temporale: tutte le particelle in stato correlato non vivono realtà divise, ma formano "totalità indivisibili" in cui tutto e parte coincidono; lo stato correlato si manifesta improvvisamente senza alcuna causa nè spaziale nè temporale, in esso non si trovano elementi che diano luogo a situazioni in cui l'uno sia maggiore dell'altro, l'uno sia vero e l'altro falso, l'uno derivi dall'altro.

PARTE SECONDA - IL PERCEPITO

 

[i] 6.1 - Il meccanismo della comunicazione - messaggio e linguaggio artistico

 Dice Webern: "L'uomo non può esistere che nel momento in cui si esprime; la musica si esprime sotto forma di pensieri musicali". Naturalmente, un'opera di grande livello artistico rappresenta un momento di eccezionale "densità di espressione" umana: per noi, ogni artista esprime un preciso "messaggio" che deve essere inviato e compreso mediante un particolare "linguaggio" formato da fonemi percettivo/emozionali e rielaborato mediante espressioni mentali (razionali). Ma la possibilità di espressione e comprensione del grande messaggio artistico non può che risiedere nel fatto di possedere identici "granuli emozionali" (che chiameremo "archetipi" emozionali), tanto da parte di chi esprime che da parte di chi riceve; se ciò non fosse vero, sarebbe impossibile la comunicazione. Certamente, le rielaborazioni mentali risentono della complessità di struttura di ciascuna mente, cui non è estranea la componente culturale di ognuno; ciò può influenzare il grado di comprensione delle espressioni rielaborate, dato che la cultura individuale ha diverse gradazioni a seconda della storia individuale.
Dicevamo che l'uomo vive in quanto si esprime nella vita di relazione; normalmente, quando vuol comunicare con i suoi simili, costruisce un messaggio utilizzando le rielaborazioni mentali razionalizzate di propri "granuli emozionali" (rielaborazioni consistenti sopratutto nell'utilizzo, come vedremo, degli archetipi strutturali, logici, numerici, presenti in essi), che sono contenute in rappresentazioni disposizionali neuroniche presenti nel suo sistema nervoso e richiamabili a piacere. Quando fa arte, anche allora vuole comunicare un messaggio, che solitamente consiste in un "contenuto emozionale razionalizzato".
Solo che per ogni settore artistico esistono proprie "tecnologie e metodologie di espressione" ineludibili; ad esempio, nella pittura, il messaggio viene impresso nell'opera d'arte mediante segni e colori che costituiscono il linguaggio espressivo: questi segni eventualmente colorati consistono nelle varie forme raffigurate e nei loro atteggiamenti; se, ad esempio, voglio comunicare un messaggio di forza, di dolcezza, di languida tristezza etc, il linguaggio sarà costituito da forme maschili, femminili o paesaggistiche raffigurate in modo da evidenziare quelle diverse attitudini; e la situazione non cambia se le forme si stemperano nell'astratto. Naturalmente, la raffigurazione avviene con metodologie caratteristiche diverse da artista ad artista quali il disegno, il tratto, la pennellata, il modo di accostare i colori, etc. Queste sono le "tecnologie di espressione": esse non debbono essere confuse col "messaggio" dell'artista, che invece consiste nella trasmissione di una sensazione mentale o emotiva scaturita durante la "visione profonda" che presiede il fatto artistico. Certamente, la grande opera d'arte consiste in un "messaggio" straordinario attuato con tecnologie che si sono "affinate" adattandosi perfettamente alla straordinarietà dell'occasione, e che hanno raggiunto il proprio massimo espressivo. Il giudizio di merito comprenderà l'analisi sia della parte emozionale profonda che della parte rielaborativa, alla luce della qualità delle tecnologie espressive attuate.
Analogamente, nella scultura, non bisogna confondere il messaggio contenuto nell'opera con le tecnologie di espressione, che consistono nel "modo" plastico e spaziale di realizzare l'opera, tipico dell'Artista. Nella letteratura, è più semplice: il messaggio è contenuto nei concetti espressi, che riflettono e spiegano i contenuti emozionali e le rielaborazioni mentali dell'artista; e questo, di solito, non viene confuso con le modalità espressive (tecnologie) scelte; ad esempio, in poesia, potremo scegliere di esprimere un componimento poetico
nella forma del sonetto, della ode, etc; potremo scegliere di farlo in rima o meno; di utilizzare tipi di parole onomatopeici che rafforzano il concetto: ma tutto ciò non viene confuso col "messaggio".
Nella danza il messaggio è assai facilmente intuibile, e generalmente, le tecnologie di espressione sono volte a mettere in luce i vari schemi ritmici (che, come vedremo, possono divenire anch'essi sorgenti emozionali) espressi dalle movenze corporee; analogamente, gli sports individuali e di squadra, come arte (fisico-estetica) del moto del corpo umano.
E in musica? Tutto è più difficile, e vedremo in seguito perchè. Comunque, è indubitabile, anche qui, la presenza di un contenuto emozionale-razionale, cioè di un messaggio, ma esso è così nascosto, così mascherato, da far cadere in equivoco molti nel tentarne la decifrazione. Gran parte dei musicofili (e, purtroppo, dei musicologi!) hanno da sempre scambiato il "messaggio" con le "tecnologie" usate per esprimerlo. Ora, le "tecnologie e metodologie di espressione" della musica consistono nella grafìa musicale, nel costrutto armonico-melodico, nel ritmo, nel timbro (con le varie voci strumentali), nella dinamica, nella strutturazione della musica mediante le varie forme espressive (forma-sonata, forma concertante, ballata, danza, marcia trionfale o funebre, cantico, canzone, etc). Ma tutto ciò non deve essere confuso col "messaggio" (nè tantomeno col suo "linguaggio"), che viene espresso utilizzando le suddette tecnologie e metodologie di espressione per manifestare con maggiore completezza quelli che sono soltanto suoi precipui concetti. Ma allora, cosa è il messaggio musicale, e quale è la natura del suo linguaggio?
Noi ribadiamo che il messaggio consiste nella acquisizione e comunicazione di una profonda "sensazione emozionale globale" (tradotta in un "pensiero musicale", che si manifesta modulato, colorato, intessuto di emozioni diverse durante una esecuzione musicale), e che – come vedremo nel prossimo capitolo - può esprimersi solo attraverso il linguaggio degli “archetipi” (cioè mediante il susseguirsi di "granuli" che contengono embrionalmente l'essenza del messaggio medesimo): la mente dell'autore, una volta "presa coscienza" della sensazione emozionale (pervenutagli - pensiamo noi - dal subconscio), può, successivamente, solo rielaborare razionalmente tali "granuli" e presentarli mediante le tecnologie e le metodologie espressive sopra elencate, le quali, dando struttura formale a questo linguaggio, lo amplificano, lo completano, lo rendono unico e originale. Esse, d'altronde, possono anche mutare nel tempo a seconda delle epoche e dei relativi modi di sentire e di esprimersi; ma sopratutto, come dicevamo, non vanno assolutamente scambiate nè per il messaggio nè per il linguaggio, come invece è spesso avvenuto fino ad oggi
(1, 2, 3).
Ora, perchè il messaggio musicale possa trasmettersi dal compositore al fruitore, è necessario, come dicevamo, che i loro "granuli" emozionali abbiano la stessa costituzione, che identici siano gli archetipi acquisiti: questi vengono via via richiamati alla coscienza dell'artista, dell'interprete, dell'ascoltatore, dai gruppi di note musicali che li rappresentano e che il compositore pose in una successione logica scegliendo e utilizzando le opportune tecnologie e metodologie di espressione, e ciò in modo da formare veri e propri "concetti", il cui assieme realizza il "discorso musicale" contenuto nella partitura. Solo in tal modo il "discorso" si trasforma in "pensiero musicale", può essere compreso e fornire sensazioni mentali, emozionali e fisiche univoche e inconfondibili, e divenire così oggetto di "cultura".
Naturalmente, dobbiamo far presente che il messaggio contenuto nel pensiero musicale è formato di concetti e discorsi musicali che sono molto più che una semplice somma degli archetipi usati, e che emergono dal loro intreccio, dal ruolo sintattico e semantico spesso appena accennato, nonchè dal contesto armonico globale nel quale vengono espressi, che costringono il musicologo ad una analisi assolutamente completa di tutti gli elementi che caratterizzano il messaggio stesso.

[i] 7.1 - Gli archetipi sensorio-emozionali, le emozioni, la loro memorizzazione

 La creazione di “emozioni” nell’essere vivente è dovuta a stimoli sensorii computazionali e non, dovuti a eventi interni o esterni che lo raggiungono e lo pervadono interessando organi diversi. Un evento ambientale esterno semplice quale un suono o un lampo di luce, o un evento interno (un battito cardiaco) provocano nei recettori (orecchio, occhio, etc) eventi elettrochimici che raggiungono il sistema nervoso centrale (cortecce sensitive primarie) innescandovi, per un tempo ben determinato, una oscillazione di retroazione, di ”risonanza” (3.1, 3.4) che attiva i circuiti neurali innati e/o modificabili, creando, in un cervello in via di maturazione (neonato), un sistema stabile di magazzini mnemonici elementari (magazzini archetipi sensoriali stratificati), con un meccanismo particolare (probabilmente, la sinaptogenesi guidata di Edelman, con formazione di rappresentazioni disposizionali mediante i dipoli tubulinici, etc). Queste “percezioni sensorie elementari”, quando si ripresentano in un cervello più adulto (in cui è già iniziata la fase della autocoscienza), provocano una elaborazione cognitiva che inizia dal loro confronto con le percezioni simili precedentemente depositate nei magazzini mnemonici, per giungere a realizzare, immediatamente dopo, la loro associazione ad un “contesto” (contestualizzazione) e la loro interpretazione: quest’ultimo processo, spesso estremamente rapido, conduce a ciò che chiamiamo “emozione elementare”, o meglio, alla creazione di un “archetipo” o “granulo” emozionale, che viene anch’esso posto in un sistema di magazzini archetipi emozionali.
Il meccanismo di registrazione delle percezioni emozionali consiste dunque nella capacità del cervello e dell'intero sistema nervoso di favorire la formazione di rappresentazioni disposizionali permanenti attraverso la attivazione di circuiti neurali innati o modificabili. Naturalmente, le vere e proprie “emozioni” (composte di gruppi di archetipi emozionali) sono delle “interpretazioni”, delle “elaborazioni di stimoli sensoriali contestualizzati”: ne discende che, ontogeneticamente, i magazzini mnemonici emozionali si formano successivamente a quelli degli archetipi sensorii e anche a quelli degli archetipi emozionali. Inoltre, notoriamente, rappresentazioni disposizionali diverse dovute allo stesso evento emozionale, realizzate da circuiti collegati ai diversi recettori appartenenti all’organismo, possono interconnettersi tramite le sinapsi, realizzando una loro contestualizzazione emozionale e quindi la creazione di magazzini emozionali che poi consentiranno il successivo richiamo di emozioni complesse che interessarono contemporaneamente organi diversi; non solo, ma abbiamo visto anche che la configurazione generale delle rappresentazioni disposizionali relative ad una stessa emozione può modularsi e arricchirsi nel tempo (ed essere re-immagazzinata), qualora emozioni dello stesso tipo raggiungano in tempi successivi l'essere umano.
Ora, il sistema nervoso dell'embrione umano si struttura sotto la guida genetica, dall'istante del concepimento, ripercorrendo in pochi mesi l'intero cammino evolutivo: prima gli organi di acquisizione e memorizzazione percettivo-emozionale, poi gli organi della razionalità. Quindi, il sistema nervoso dell'individuo, pur possedendo fin dalla nascita tutte le potenzialità necessarie alle acquisizioni emozionali e razionali, deve come "reimpararne" l'uso, e questo avviene a partire dalle prime percezioni sensorio-emozionali.
Allora, se vogliamo analizzare i meccanismi recettivi, dovremo appuntare la nostra attenzione sulle prime sensazioni che raggiungono l'essere umano sia durante la formazione nel grembo materno (probabilmente dopo il terzo mese di vita) sia dopo la sua venuta alla luce. Denomineremo "archetipi emozionali primigeni" queste percezioni emozionali primarie, dal momento che su queste si basa il linguaggio della mente embrionale, prima ancora che intervenga il meccanismo della loro metabolizzazione e analisi, che condurrà alla strutturazione e riacquisizione delle capacità razionali della mente medesima. Abbiamo preferito il termine "archetipo" al termine "imprinting", per riguardo alla ormai accertata predisposizione genetica ad acquisire tali emozioni, nonchè alla diversa origine di tale predisposizione ipotizzata dalle varie scuole di pensiero filosofiche e religiose.

[i] 7.2 - Il meccanismo di formazione degli archetipi

 Ciò che noi definiamo "archetipo" si forma e si fissa, nelle strutture neurocellulari cerebrali preposte alla formazione della "memoria profonda della mente" (che abbiamo visto risiedere nelle serie di magazzini mnemonici che accolgono le rappresentazioni disposizionali permanenti dovute a circuiti neurali innati), quando uno "stimolo originale" si presenta per la prima volta sulle terminazioni nervose ad esse afferenti, inviato dai sensi che lo hanno raccolto all'esterno (o all'interno) dell'embrione umano. Per stimolo "originale" si intende una sequenza di onde (formate da variazioni di potenziale elettrico propagantisi lungo le strutture neuroniche, col contributo dei mediatori elettrochimici) derivata da "pulsioni" connesse con gli organi esercitanti le funzioni innate precipue dell'essere umano (vitali, di sopravvivenza, di riproduzione, etc.). Queste pulsioni, generanti la sequenza suddetta, sono in grado di raccogliere e trasmettere per retroazione una caratteristica eccezionale posseduta da tali organi: quella di poter contribuire a "generare o percepire emozione". Ad esempio, il cuore, pilotato da centri neurali autonomi, adempie la funzione primaria e vitale di assicurare la circolazione del sangue, ma contemporaneamente il suo battito è emozionalmente "sinonimo di vita" e la mente cosciente o inconscia che "ascolta" archetipicamente il proprio cuore (tramite gli stessi centri e i connessi circuiti neurali in grado di elaborare rappresentazioni disposizionali) percepisce e memorizza se batte normalmente, contribuendo a generare serenità, o se in modo alterato, contribuendo a raccogliere dall'esterno ansia, paura, etc).
Comunque, le prime "pulsioni" percepite sono dovute ad onde elastiche (suoni), dato che l'embrione è immerso in un liquido capace di trasmettere solo quel tipo di segnale. Può darsi che il liquido sia non completamente privo di "luminosità" (onde elettromagnetiche), ma non sembra possa interessare "emozionalmente" l'embrione medesimo fino alla sua nascita.
Come dicevamo, i circuiti neurali innati presiedono a funzioni svolte da organi del corpo comuni a tutti gli esseri umani, quali quelle prima elencate; ma contemporaneamente, questi organi, proprio a causa del loro funzionamento, possono divenire "soggetti emozionali", e generare stimoli originali che, ancora raccolti (per retroazione) dai circuiti neurali innati da cui derivano, causano la instaurazione di nuove rappresentazioni disposizionali permanenti, stavolta in grado di immagazzinare e poi suscitare una "emozione primaria".
Ribadiamo che per "archetipo primigenio" intenderemo quindi qualcosa di originato da "sensazioni primordiali" (o "emozioni primarie") dovute, dicevamo, ad agenti interni al corpo embrionale umano o esterni ad esso, e capaci di indurre nel suo cervello (appena formatosi, o ancora in formazione) successive modificazioni di circuiti neurali in grado di provocare rappresentazioni disposizionali permanenti (il cui assieme costituirà in seguito la cosidetta "memoria profonda"), e ciò con un meccanismo di continuo "riaggiustamento": in realtà, dato che le "sensazioni primordiali"(o archetipi) via via registrate interferiranno tra loro al punto che quelle successive verranno "fissate" con modalità e configurazioni che risentono delle precedenti, la rappresentazione disposizionale provocata dall'ultimo stimolo deve essere concepita sempre come dovuta ad una vera e propria rielaborazione e ricollegamento delle rappresentazioni indotte da precedenti stimoli nelle strutture neurali della memoria profonda. E notiamo che potremo avere rappresentazioni disposizionali innate, prenatali, postnatali.
E' da tener presente che l'impianto degli archetipi primigeni avviene presumibilmente quasi per intero prima che sia interamente formata la "massa critica cerebrale" capace di innescare completamente il fenomeno della coscienza mediante l'effetto di coerenza quantistica su grande scala nei microtubuli dei citoscheletri neuronici; probabilmente, le strutture neurali sono già in grado lo stesso di operare la memorizzazione.
Queste strutture, comunque, dopo l'impianto dei primi archetipi, memorizzeranno gli archetipi seguenti non più indipendentemente tra loro, ma in funzione di quelli già impiantati e sempre attraverso il loro "filtro". Il meccanismo si attiva per gruppi di archetipi, e viene compiuto tramite il collegamento sinaptico delle rappresentazioni disposizionali anteriormente acquisite con quelle dovute alle nuove sensazioni, tenendo anche conto della capacità delle sinapsi di elaborare collegamenti più "forti" o più "deboli". Il sistema nervoso è, come abbiamo visto, costruito in modo da poter "evocare" nuovamente e richiamare i singoli archetipi, o i gruppi di archetipi strutturatisi durante le successive acquisizioni, e l'evocazione può raggiungere le zone "conscie" della mente (coscienza) come pure il subconscio. E’ da tener presente che gli archetipi primigeni partecipano, assieme alle altre percezioni sensorie provenienti dall’esterno, alla costruzione di una “emozione” compiuta, che verrà opportunamente memorizzata. Ad esempio, tra le prime emozioni che vengono percepite e “ricostruite” dall’essere umano dopo la nascita ci sono quelle relative al proprio “concetto di identità” e alla “interpretazione” del mondo in cui vive, quale gli appare dalla mediazione dei genitori, che possono trasmettergli sensazioni e relative emozioni di sicurezza, di pericolosità, di paura a seconda della loro propria “interpretazione” della realtà.

[i] 7.3 - Acquisizione differita degli archetipi

Quanto tempo può durare l'acquisizione degli archetipi? Fino a tre anni dalla nascita o oltre? E mentre è ancora incompleta tale acquisizione, in che modo agisce la memoria dei normali avvenimenti della vita, attuata da settori cerebrali sicuramente diversi da quelli che registrano gli archetipi? Probabilmente vengono impressi, in rappresentazioni disposizionali dovute a circuiti neurali modificabili, momenti staccati e non ancora collegati da strutture mentali di numerabilità, di giudizio, di logica, di raffronto emozionale, ed è forse per questo che i ricordi della primissima infanzia ci appaiono molto particolari, diversi dall'uno all'altro essere umano, e acquistano una maggiore logicità anche emozionale man mano che sono stati acquisiti i principali archetipi. Abbiamo parlato di "impressioni primordiali": chiariamo meglio il concetto dicendo che i principali archetipi acquisibili sono identici da sempre, da quando il cervello umano ne ha consentito l'acquisizione, ma la modalità di acquisizione non è sempre la stessa.
Potrebbe avvenire che una distorta o insufficiente "presentazione" dell'archetipo, che deve fissarsi e modificare le caratteristiche della capacità di acquisizione di intere zone della memoria profonda, determinasse una effettiva differenza da uomo ad uomo nelle possibilità future di controllo e coordinamento logico-emozionale di tutte le percezioni memorizzate?
In ogni caso, il periodo della acquisizione degli archetipi è un momento molto delicato dell'intera fase evolutiva dell'uomo.
Gli archetipi primigeni acquisiti vengono poi analizzati e "metabolizzati" dalla mente dato che in seguito dovranno formare la base del pensiero: prima viene estratta da essi (e "memorizzata" in apposite rappresentazioni disposizionali afferenti i centri dell'apprendimento) la componente logico-computazionale da cui dipenderà la vera e propria riacquisizione della formazione e strutturazione mentale; subito dopo, a strutturazione acquisita, la mente inizierà a percepire le immagini mentali dovute ai meccanismi di richiamo degli archetipi e delle relative modulazioni emozionali: queste immagini, organizzate selettivamente in sequenze logiche (rielaborazioni mentali) e tradotte in un adatto linguaggio, divengono "pensiero".
Può una compiuta rielaborazione mentale venire "archetipizzata" e divenire essa stessa "insieme di rappresentazioni disposizionali permanenti" ? Non lo sappiamo, ma non possiamo escluderlo.
Difatto, un archetipo, che sembra strutturato da altri archetipi, è in realta' una unica struttura che può "partecipare" di elementi di altri archetipi (quali quelli numerici, logici, ritmico-sonori, di segno visivo, o altri) ma che, in ogni caso, conserva una sua "unicita'", come un insieme algebrico che si sovrappone o partecipa ad altri insiemi mediante gli stessi elementi, pur restando assolutamente "univocamente definito". Resta a vedere come si possono richiamare gli archetipi distinti e a "chi" rispondono; ma, come abbiamo visto, per mezzo delle reti e dei circuiti neurali che formano la struttura cerebrale e che permettono la "distinta sovrapposizione" di stimoli registrati o ancora da registrare, si può ipotizzare e stabilire l'esistenza di "distinti legami" e di gerarchie spazio-temporali di risposta, necessarie alla logica metodologica del "richiamo", della "evocazione".

[i] 7.4 - Acquisizione differenziata degli archetipi

 L'acquisizione degli archetipi nell'uomo inizia senz'altro dagli archetipi sensoriali: in effetti la "acquisizione crescente di sensorialità" e il suo utilizzo per la costruzione delle emozioni lo dimostra: oggi si parla comunemente di "intelligenza emozionale" (1), per cui, come abbiamo visto, si inizia a costruire la razionalità mentale sulle emozioni che, fin dalla prima infanzia, i nostri sensi ci permettono di avere e sentire; solo dopo, verranno l'intelligenza pura, la filosofia, la scienza, etc come astrazioni mentali della intelligenza emozionale. Noi diremmo che gli archetipi numerici, logici, etc, sono come "astrazioni archetipizzate" estraibili dagli archetipi emozionali, e ciò sembra altamente probabile e condivisibile.
Ma come avviene sequenzialmente l' "arricchimento" di un archetipo? Per noi, secondo la "sensorialità crescente" del cervello che lo acquisisce, che si autostruttura, con i meccanismi neurali già visti, secondo gli schemi genetici, dal momento delle prime formazioni cellulari cerebrali in poi: una volta riacquisite le basilari potenzialità logico-matematiche, prima lo scambio delle onde elastiche (suono-musica), poi della tattilità, poi dell'odorato, poi del gusto e in ultimo della vista. Secondo questa concezione, avremmo una acquisizione e configurazione "sferico-concentrica" di ciascun archetipo: le astrazioni logico-matematiche si attualizzano, prima, nella sfera musicale; poi, via via, per sfere concentriche che partecipano delle precedenti
(fig.4), nelle altre acquisizioni (in ordine: tattilità, gusto, odorato, vista).

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La concezione qui espressa è un riferimento di comodo, per esprimere l'insieme di rappresentazioni disposizionali, derivanti da circuiti neurali variamente dislocati nel sistema nervoso dell'uomo, che man mano si interconnettono mediante le sinapsi.
In effetti, tale concezione ha un curioso riscontro evolutivo: l'uomo primitivo nei secoli inizia a esprimersi "artisticamente" a partire dalla sfera archetipicale più esterna, connessa alla vista (pittura rupestre), per poi passare al gusto e odorato (creando e offrendo, ad esempio, alla propria donna tipi di cibo e composizioni di fiori via via più sofisticati), in seguito passare ad arti fittili (costruzione di statuette di divinità o di statue-stele) e infine al suono (flauto di Pan), quasi che il richiamo automatico degli archetipi da parte della mente primigenia consentisse il loro ritorno e la loro riutilizzazione a partire dalle "sensazioni originali" acquisite per ultime. Nell'uomo moderno ciò si traduce in una difficoltà crescente nella comprensione e nella riespressione razionale delle proprie visioni artistiche, man mano che cerca di raggiungere la sfera archetipicale più interna: per questo la musica è stata sempre di difficile decifrazione e sempre fonte di equivoci interpretativi.
[i] 7.5 - Il lato esclusivamente musicale dell'archetipo primigenio

Ma se le "emozioni primarie" acquisite dal feto prima della nascita sono onde elastiche, gli archetipi dovuti ad esse sono sicuramente di tipo "musicale", cioè debbono essere provvisti di strutturazione ritmica e sonora. Naturalmente, occorre che nella mente cosciente e inconscia sia già presente il meccanismo per la percezione non soltanto dell’elemento elastico-sonoro, ma anche dell’elemento ritmico, cioè della sua struttura spazio-temporale. In altre parole, l’archetipo sensoriale “semplice” deve divenire “archetipo processuale autoscopico”, in modo da poter permettere la memorizzazione delle caratteristiche, anche flessibili, legate al suo “tempo proprio” di percezione.
Comunque, la constatazione che le prime “emozioni primarie” percepite sono di tipo elasto-ritmo-sonico è alla base di tutte le considerazioni svolte in questa pubblicazione: ecco perchè inizieremo dall'analisi degli archetipi ritmico-sonori (archetipi "musicali"), per poi passare a considerare l'estensione agli altri campi d'azione, via via che vengono acquisiti gli altri sensi (tattilità,odorato, gusto,vista).
Noi riteniamo, come abbiamo detto, che la struttura "musicale" (ritmico-sonora) degli archetipi formi la base, la "sfera più interna", lo scheletro della intera architettura archetipica. Per individuare la sua manifestazione ci siamo riferiti a estrinsecazioni sonore, sia di funzioni fondamentali dell'organismo umano in via di formazione o appena nato, sia di emozioni primarie da esso recepite e provenienti dall'esterno; ambedue debbono essere provviste di caratteristiche ritmo-soniche tali da condurre alla formazione, nei circuiti neurali del suo sistema nervoso, di rappresentazioni disposizionali permanenti di norma riaffioranti tanto nelle espressioni individuali del neonato, che in seguito nelle più grandi espressioni artistiche musicali. La individuazione di questi archetipi verrà condotta con l'aiuto della componente psicologica da essi indotta al momento della acquisizione e da noi ritrovata nella mente umana: ogni realtà va "scientificamente psicologizzata", dato che gli archetipi non possono uscire che dal vaglio di una psicologizzazione scientifica. Sarà compito degli psicologi della musica completare il lavoro di elencazione e individuazione archetipicale. Nei limiti di questo scritto, è stato sufficiente mettere in luce un possibile (e molto probabile) meccanismo di formazione e di utilizzo del linguaggio musicale (e artistico in genere) correggendo vecchie concezioni ed equivoci e riconducendo ad unità espressiva il fatto artistico.

[i] 7.6 - Tipologia dell'archetipo sensorio-emozionale-musicale

Cercheremo ora di delineare i principali archetipi che ci sembrano essere presenti nelle rappresentazioni disposizionali costituenti la memoria primigenia mentale; di essi cercheremo di individuare la manifestazione "musicale", avvertendo che tale studio è appena al principio e che occorrerebbe fosse compiuto in maniera rigorosa e completa da parte di specialisti.
Occorrerà per prima cosa definire gli archetipi "sensorio-emozionali". Ad esempio, il primo dolore fisico (ma anche la prima carezza o il primo solletico sulla pelle) sicuramente generano una sensazione che rimarrà impressa e che farà da battistrada ad altre sensazioni di dolore, di beatitudine, di gioia, di ilarità, non solo corporee ma anche dell'anima: ecco profilarsi gli "stati d'animo" quali rielaborazioni mentali degli archetipi sensorio-emozionali in connessione con le sedi di modulazione memorizzata delle rappresentazioni disposizionali ad essi riferentisi (zone di memorizzazione del sentimento). Ma vediamo il lato musicale degli archetipi sensorio-emozionali. Come abbiamo detto, nei magazzini archetipi mnemonici deve essere già presente la possibilità di recepire la loro strutturazione spazio-temporale.
Iniziamo analizzando il "ritmo" cardiaco, che già contiene suono, elemento ritmico, numero: è un archetipo strutturato, ma pur sempre "un" archetipo fondamentale, acquisito dalla "mente" embrionale all'istante del primo battito del minuscolo cuore. Al ritmo cardiaco sono riconducibili l'archetipo della "serenità" (costituito da più battiti cardiaci in condizioni normali), e l'archetipo della "ansietà" (battito affrettato a causa di paura o ansia). Analogamente, dopo la nascita, verrà archetipizzato il "respiro", con le sue modalità precipue di variabilità ritmica, di "scambio" con l'esterno, di strutturazione duplice (inspirazione-espirazione).
Anche i moti peristaltici intestinali, connessi con la digestione, la rapida assimilazione, la crescita fisica, contribuiranno alla formazione dell'archetipo "energia".
Come pure il primo "vagito", ritmo-suono-senso, espresso dal neonato, che può comprendere sia il tipico pianto "convulso" che il pianto "disteso". Quindi, probabilmente, viene archetipizzato il primo canto udito, una nenia, forse una ninna-nanna
(1), il rintocco della prima campana.
Quindi, come dicevamo, man mano che vengono acquisiti, i cinque sensi determinano singolarmente archetipi dovuti al suono, alla tattilità, al sapore, all'odore, alla luce.
Gli archetipi di "alto" e di "profondo" vengono dal primo approccio con il senso di gravità, forse dal primo sguardo verso il cielo o verso un abisso: a questi sono associati gli archetipi di "salita" e di "discesa", importantissimi per la musica in quanto immediatamente in relazione con frasi musicali ascendenti e discendenti.
Al momento della prima visione di una "caduta prolungata" di qualcuno o di qualcosa, caratterizzato da un senso di impotenza a modificare ciò che sta accadendo, si imprime nella mente l'archetipo di "ineluttabilità".
Il primo dolce richiamo materno, con la prima carezza, determina l'archetipo di "dolcezza".
Il primo spavento dovuto ad un urlo prolungato genera l'archetipo di "terrore".
La prima reazione emozionale al terrore genera l'archetipo di "forza".

[i] 7.7 - Archetipi strutturali: numerici, ritmici, logici, di segno, di colore.

Analizziamo ora quelli che definiremo "archetipi strutturali" (che per noi derivano dalla "metabolizzazione" razionale, successivamente archetipizzata, di archetipi sensorio-emozionali) per la funzione essenziale che svolgono nella logica di ogni espressione mentale (anche musicale): la struttura di ogni stilema e di ogni frase elementare è dovuta ad essi, e spesso le stesse rielaborazioni mentali non sono altro che "espansioni" di archetipi strutturali. Ribadiamo tuttavia che ogni altro archetipo sembrerà avere in sè la possibilità di essere "scomposto" in elementi emozionali, logici, numerici, onomatopeici etc. Ebbene, no! Ciascun archetipo è un "elementale" inscomponibile; come una goccia, che, anche se cade e si "scompone" in altre gocce, non può assolutamente considerarsi "strutturata" da quelle gocce. Il fatto che il cervello umano in via di formazione acquisisca inizialmente per via genetica capacità "strutturali" logico-matematiche, nella nostra concezione, non è indice della possibilità di ritrovare ed esprimere tali capacità senza che sia stato impresso un gran numero di archetipi emozionali che ubbidiscono ad esse: pensiamo infatti che sia possibile ritrovarle e forse "archetipizzarle", solo successivamente alla "metabolizzazione" razionale di tali archetipi. Anche l'universo, come vedremo, ubbidisce a leggi strutturali logico-matematiche, ma noi potremo rivelarle e conoscerle solo perchè ha avuto in seguito una sua strutturazione fisica.
Della categoria degli archetipi "strutturali", archetipo fondamentale è senz'altro il "numero" e la "numerabilità": "Io" = 1;"Io e la Mamma" = 2 e così via. L'archetipo numerico è da considerarsi come la "acquisizione della astrazione quantitativa"; forse è dovuta alla percezione "di tante cose diverse" che raggiunge il bimbo nei primi mesi di vita, confrontata con se stesso, che è "una cosa sola"; l'archetipo numerico si imprime come "unità", e solo successivamente, con lo sviluppo delle facoltà logico-computazionali, può entrare nella formazione delle operazioni matematiche (somma, sottrazione, moltiplicazione , divisione) . Nella musica, l'archetipo numerico interviene, ad esempio, quando si vuole "segnare" in maniera ritmica ma uniforme un brano musicale (o una sua porzione), o sopratutto per unire due frasi derivanti da archetipi emozionali puri per mezzo di una rielaborazione mentale che lo utilizza. Ma dall'archetipo numerico, per rielaborazione, deriva un archetipo ritmico propriamente detto, quale è possibile udire nelle "basi" musicali, o nelle esecuzioni delle singole parti affidate a strumenti a percussione (batterie, timpani, etc).
La curiosità come stimolo vitale e come emozione, darà forse luogo al primo archetipo logico "domanda", cui potrà associarsi l'archetipo "risposta". E' ipotizzabile una correlazione tra l'archetipo composto (o rielaborato?) domanda-risposta e l'archetipo di respiro (inspirazione-espirazione)? Sembra evidente che l'archetipo di respiro, costituito da due parti (inspirazione-espirazione), è sicuramente il primo elemento di "logica" presente nella memoria profonda della mente; si potrebbe obiettare che anche un battito cardiaco è composto di sistole e diastole: ma la sua struttura è fissa, è impossibile modificare volontariamente la durata di ciascuna delle due parti, come invece già le prime manifestazioni elementari di logica mentale dovranno permettere. Successivamente, quando un bimbo acquista improvvisamente coscienza di sè ed è in grado di "rispondere" ad un richiamo (o addirittura al proprio nome), ecco il contemporaneo apparire e fissarsi dell'archetipo domanda-risposta, che poi dovrà arricchirsi di tutti gli attributi logici man mano che procede lo sviluppo delle rielaborazioni mentali. Probabilmente l'acquisizione dell'archetipo domanda-risposta avviene mediante un meccanismo di arricchimento dell'archetipo di respiro (inspirazione-espirazione).
L'archetipo esprimente emozionalmente il senso di dubbio è forse generato dalla prima "incertezza" della vita (i primi passi insicuri mossi?): la risposta musicale ad esso associata è evidentemente data da una breve sequenza di note musicali "che tornano su se stesse" e che distano l'una dall'altra un semitono, al massimo un tono (ciò derivante, nell'interpretazione psicologica, dalla necessità di "appoggiarsi all'immediatamente vicino" nel momento dell'insicurezza).
L'archetipo "domanda" è strutturalmente molto simile all'archetipo di "dubbio" da cui si differenzia perchè le note "che tornano su se stesse" possono distare anche due o più toni (a seconda del maggior o minor grado di "dubbio" insito nella domanda).
L'archetipo di "impassibilità" o "continuità" o "attesa": probabilmente, una unica nota prolungata, non di sottofondo, ma ben udibile anche se contemporaneamente ad altre; è caratterizzato dall'assenza di "ritmo", di interruzioni di frase, e, per tutto il tempo che dura, tutto è cristallizzato come in una "eterna inspirazione".
Gli archetipi "di segno" e "di colore" dovuti alla astrazione visiva di immagini eventualmente colorate saranno analizzate nel capitolo dedicato alla percezione visiva.
E' pure ipotizzabile l'esistenza dell' "archetipo di silenzio" che dovrebbe coincidere con l'archetipo "assenza di archetipo".

[i] 7.8 - Altri archetipi: onomatopeici, comportamentali.

Esistono poi gli archetipi "onomatopeici", impressi nella mente da determinate situazioni dell'uomo o della natura; ad essi si riconduce certa musica che "mima" dette situazioni (rumori di tuono, scalpitìo di cavalli, ritmi di marcia, suoni di tromba per un annuncio, etc).
Man mano che la mente si forma e acquisisce le funzioni proprie, possono imprimersi rielaborazioni di archetipi correlate con logiche comportamentali: il senso del dovere, con le prime "regole" da seguire. Si sviluppa una logica delle azioni e delle situazioni, che poi in musica si tradurrà in elementi discorsivi che intercaleranno le rielaborazioni di archetipi sensorio-emozionali, ma che comunque sarà alquanto difficile distinguere dalle rielaborazioni medesime. Come dicevamo, occorrerebbe fare una ricerca ed una elencazione archetipica completa.

[i] 7.9 - Analisi ritmico temporale degli archetipi

Gli archetipi hanno un "tempo proprio" ? Dato che sono stilemi musicali, spesso rappresentabili con più note musicali, è possibile variarne il tempo di esecuzione senza snaturarli?
Diciamo subito che ogni individuo, nel ricevere i propri archetipi, attua modalità sempre diverse, per cui è pensabile che gli stessi archetipi siano "diversi" da uomo a uomo. Ma "quanto" diversi ? E' presto detto: la loro diversità non deve essere tale da impedirne il riconoscimento; tutti gli uomini debbono poter riconoscere gli archetipi altrui come se fossero i propri. Questo impone che il tempo musicale che scandisce lo stilema archetipico non vari in più o in meno oltre il dieci-quindici per cento del valore normale per ciascun uomo: entro questa fascia siamo certi che il riconoscimento da parte di ognuno sarà possibile. In fondo, la natura stessa ci aiuta: gli uomini possono "riconoscere" i loro simili purchè le differenze tra loro siano contenute.
Ad esempio, i tratti somatici (altezza umana, dimensioni esterne varie di organi, quali bocca, naso, orecchi etc, distanze varie tra organi, quali gli occhi, orecchi etc) non possono superare la soglia indicata: il patrimonio genetico ci assicura che normalmente non possono nascere individui i cui occhi distino tra loro cinque o trenta centimetri. La stessa cosa deve avvenire per gli stilemi archetipici: quindi, dal momento che una composizione musicale è un susseguirsi di forme archetipiche e di loro rielaborazioni, esiste una interpretazione "base" (ben specificata dagli autori, che di solito forniscono il "tempo metronomico") la quale non può essere troppo variata; questo impone ai Direttori d'Orchestra un rispetto dei tempi metronomici e una moderazione nelle licenze interpretative; si tratta, in fondo, di effettuare i criteri interpretativi laddove si possono fare senza alterare il linguaggio archetipico; ad esempio, la lunghezza maggiore o minore delle corone, il distacco più o meno accentuato tra brani diversi che debbono raccordarsi con una sensibilità "ad libitum", i "crescendo", i "diminuendo", i "fortissimo", i "pianissimo", sono tutte cose sulle quali il Direttore può decidere.
Ma la velocità di un intero tempo, o di parti di esso, deve assolutamente rispettare la volontà dell'autore, o, in mancanza di indicazioni, deve rispettare lo stilema archetipico di base: ad esempio, se è "pianto convulso", è ben noto il tempo "proprio": non è possibile "raddoppiare" questo tempo senza snaturare il significato stesso della musica che viene proposta. E non soltanto l'interprete ha la possibilità di variare il tempo di tutta una frase musicale, ma può variare, all'interno della frase, il tempo proprio e quindi il ritmo stesso dello stilema archetipico, rendendolo di difficile riconoscimento e assimilazione da parte dell'ascoltatore: ad esempio, una lettura più "veloce", un ritmo più "rapido" degli archetipi, opera una "compressione" degli stilemi archetipici e delle loro rielaborazioni, con conseguente perdita di definizione dell'intero messaggio musicale, mentre una lettura e un ritmo più "lento" ha il risultato di "snervare" gli stilemi, cioè gli elementi del pensiero musicale, con conseguente perdita di sintesi e quindi difficoltà di comprenderlo.
A questo proposito, si presenta particolarmente interessante uno studio che viene condotto presso alcune Università, e riguardante la possibilità di stabilire univocamente la lettura e l'esecuzione ritmico-temporale degli archetipi di base mediante l'utilizzo della Teoria della Informazione e della Comunicazione. Come è noto, durante una "comunicazione" i segnali emessi dalle sorgenti sonore (o di altro tipo) vengono captati dai ricevitori dopo aver attraversato un mezzo di propagazione; si può schematizzare il processo come una sequenza "sorgente-canale-ricevitore" attribuendo al "canale" tutte le qualità del mezzo in cui avviene la propagazione, quali, ad esempio, attenuazione, distorsione, disturbi sistematici o casuali etc, del segnale (sonoro o elettromagnetico) prodotto dalla sorgente.
Nello studio delle comunicazioni, vengono applicate le teorie di Wiener e di Shannon
(1.2), con le rispettive formulazioni matematiche, che forniscono le caratteristiche del segnale ricevuto (in funzione delle alterazioni prodotte dal canale), e danno con sufficiente esattezza informazioni dettagliate sulla sua differenza dal segnale inizialmente emesso. Per ottenere ciò, è necessario interporre, tra sorgente e canale, un "codificatore", e, analogamente, tra canale e ricevitore, un "decodificatore": tali strumenti hanno la funzione di "adattare" al canale di trasmissione i segnali emessi e ricevuti; talvolta è necessario trasformare il segnale in "sequenze di numeri digitali", che si prestano meglio dei segnali analogici alla trattazione (anche probabilistica) della informazione in essi contenuta (3).
Come utilizzare queste teorie per lo studio della "distorsione" degli archetipi?
E' molto semplice. Sostituiremo la sequenza "sorgente-canale-ricevitore" con la sequenza "compositore-orchestra-ascoltatore", notando che il compositore è "sorgente" di musica "non distorta", rilevabile da una lettura assolutamente fedele della partitura musicale e/o da specifiche notazioni appostevi (tempi metronomici, note scritte di carattere psicologico o interpretativo che debbono trovare riscontro oggettivo nella tipologia degli archetipi usati, etc), mentre l'orchestra (col suo direttore) è, in effetti, il "canale" realizzativo che permette all'ascoltatore ("ricevitore") la ricezione della musica, introducendovi o meno delle differenze ("distorsioni") rispetto ad una lettura assolutamente fedele.
Le formulazioni matematiche
(4) della teoria della comunicazione permettono di rilevare e quantificare le differenze rispetto alle forme archetipiche originarie individuando un "tempo proprio di esecuzione" dell'archetipo che rientri nei limiti della comprensione "psicologica" dell'archetipo medesimo, e permettono di giudicare se l'ascolto può effettivamente consentire la percezione esatta di tali forme (anche se con qualche approssimazione lecita, dovuta alla "interpretazione" direttoriale) oppure se la distorsione introdotta crea delle insanabili fratture a livello psicologico impedendone la comprensione a causa di una perdita di definizione o di una perdita di sintesi del messaggio. Gli studi sono in corso, ma si presentano di notevole interesse.

[i] 7.10 - Individuazione e rivelazione degli archetipi

Non dovrebbe essere impossibile nell'ambito della moderna neurofisiologia cerebrale la individuazione e rivelazione di stilemi archetipici, presenti nel sistema recettivo cerebrale sotto forma di rappresentazioni disposizionali, specie se gli stilemi cercati sono quelli dovuti a circuiti neurali innati. Dovremmo sottoporre un soggetto ad analisi cerebrale mediante elettroencefalografo connesso con NMR, od altra apparecchiatura, in grado di individuare e misurare la sua reazione a stimoli profondi. La metodologia, che dovrà essere messa a punto da specialisti, dovrebbe prevedere di sottoporre il soggetto ad una stimolazione neutra di base, intervallata da una serie di stimoli sonori e/o luminosi costituiti da impulsi raffiguranti uno stilema archetipico prescelto (ad esempio l'archetipo di pianto convulso: tà-tatà-tatà-tatà) e aventi il suo ritmo e il "tempo proprio". Le sequenze di stilemi dovrebbero venire leggermente variate, per ricercare quella tipica propria del soggetto; si tratta poi di misurare la reazione individuale sia alla stimolazione di base che a quella delle varie sequenze di stilemi, per individuare, dalle forme d'onda riemesse, la eventuale forma d'onda "di risonanza" che ci confermerebbe la individuazione dell'archetipo. Può darsi che l'analisi vada condotta sotto ipnosi o sotto leggera anestesia, per interrompere i circuiti coscienti e razionali che potrebbero "mascherare" l'archetipo o impedirne l'emergere: Occorre fare particolare attenzione agli stimoli cui sottoporre il soggetto, dato che dovremo distinguere e riconoscere la "risposta archetipica" da risposte casuali dovute a stimoli sensoriali "periferici" non profondi. Successivamente, se viene determinata una risposta di risonanza, occorre ripetere l'esperienza sottoponendo il soggetto agli stessi stimoli "mimati" musicalmente, cioè riprodotti, nella parte sonora, da diversi strumenti musicali: dovremmo sempre avere la stessa risposta, indipendentemente dagli strumenti usati, dal momento che si cerca un archetipo. La ricerca dovrebbe continuare su diversi soggetti, per una comparazione dei risultati, e sopratutto per rilevare se le risposte di risonanza mostrano una "variazione" di ritmo e di tempo, nell'archetipo prescelto, da individuo a individuo. In ogni caso, non dovremmo rilevare variazioni superiori al dieci-quindici per cento, come sembra indicare la teoria della comunicazione.

[i] 7.11 - Arricchimento e universalità dell'archetipo

Altro argomento della massima importanza è la "universalità" dell'archetipo, che deve potersi "riverberare" su ciascun senso preposto alla sua espressione; questa è condizione essenziale perchè dallo stesso archetipo possano scaturire le varie espressioni artistiche (pittura, scultura, letteratura, musica, etc). Abbiamo accennato che l'archetipo inizialmente acquisito mediante acquisizioni ritmico-sonore ("musicali"), viene successivamente "arricchito" da acquisizioni dello stesso tipo ma provenienti da altri sensi. Inoltre, potrebbe darsi che il processo avvenga non solo mediante altre acquisizioni archetipiche ma anche mediante rielaborazioni mentali che si "aggiungono" all'archetipo iniziale. Intendiamoci, come abbiamo detto, l'archetipo universale così "arricchito", non è da pensarsi come "avente una struttura derivante dalla somma di diversi archetipi" ma di fatto è realizzato da un assieme (configurazione) di sinapsi che controllano rappresentazioni disposizionali permanenti (anche acquisite in tempi successivi).
La definizione "arricchito", dicevamo, va riferita alle modalità temporali di acquisizione dell'archetipo; facciamo un esempio: l'archetipo di dolcezza, acquisito da un bimbo appena nato e restituito inizialmente mediante un suono (tàa), viene integrato dagli stimoli provenienti da una carezza, e poi da uno sguardo dolcissimo e forse dal profumo della madre: questa "integrazione" dell'archetipo avviene sicuramente in tempi diversi, ed è dovuta ad una formazione di rappresentazioni disposizionali provenienti dai circuiti neurali innati connessi con i diversi organi sensori di ricezione, che viene (a integrazione completata, magari secondo schemi genetici prestabiliti) successivamente "definitivamente archetipizzata" in modo che difatto non esiste più l' "archetipo incompleto" precedente, anche se sarà neuralmente possibile richiamare le singole espressioni dell'archetipo (che in seguito diverranno le protagoniste delle diverse arti).
Certamente, la espressione dell'archetipo in una opera d'arte necessita di "attuazioni tecnologiche" diverse a seconda del tipo d'arte in cui si esplica. Se è pittura, l'archetipo di dolcezza potrà svilupparsi nei contenuti (ad es. una raffigurazione di donna o uomo che guarda un oggetto del proprio amore con dolce intensità) e allora occorrerà sicuramente una rielaborazione mentale che crei lo scenario ed i protagonisti; oppure potrà svilupparsi nella forma espressiva richiamandosi direttamente all'archetipo (ad es. pennellate molto lievi, con tonalità di colore estremamente vicine che quasi si integrano, a formare una specie di onomatopeia cromatica dell'archetipo musicale); oppure nell'uno e nell'altro modo contemporaneamente. Se è scultura, l'archetipo di dolcezza, analogamente potrà svilupparsi o secondo contenuti raffigurativi, o mediante forme estremamente levigate e quasi senza soluzioni di continuità (senza "scalini"), o con ambedue le modalità. Nella letteratura, poetica e non, l'archetipo di dolcezza si manifesterà sia tramite i contenuti concettuali, che lo "stile proprio" per esprimerli.

[i] 7.12 - Gli archetipi composti ed espansi

Assai spesso, nelle espressioni artistiche, e sopratutto nelle composizioni musicali, si trovano stilemi non riconducibili ad un singolo archetipo, che, pur avendo una indiscutibile unicità, purtuttavia risultano come "integrati" da altre forme archetipiche originali, quasi derivassero dalla "fusione" di due o più archetipi: li abbiamo definiti "archetipi composti". Inoltre si trovano stilemi che offrono forme variate di un archetipo, e non sappiamo se siano rielaborazioni mentali successivamente "archetipizzate" realizzate dalla mente razionale cosciente o siano un prodotto esclusivo del subconscio: li abbiamo definiti "archetipi espansi". Cercheremo di darne esemplificazione in seguito e li analizzeremo a fondo quando tratteremo con maggior dettaglio le differenze tra le funzioni della mente cosciente e quelle del subconscio durante la estrinsecazione di un'opera d'arte. L’importanza della “associazione” di più archetipi (anche se con le precisazioni di cui a 7.3) o della loro “espansione”, e la possibilità di archetipizzazione di dette “associazioni” assieme alle loro rielaborazioni razionali apparirà in tutta la sua evidenza quando analizzeremo il meccanismo di formazione della grande Arte, consistente in una composizione “unica” a livello subconscio di assiemi di archetipi associati, espansi, e loro rielaborazioni archetipizzate. Una grande espressione artistica (sia essa musicale, o pittorica, etc) può così risultare costituita anche da uno solo (o da pochi) elementi archetipici.

[i] 7.13 - Elencazione ed analisi musicale degli archetipi

Elenchiamo ora i principali archetipi trovati e analizziamoli musicalmente. Cercheremo di definirli attraverso gli stilemi suono-ritmo, e, quando possibile, attraverso le notazioni musicali, e loro esempi, che riporteremo tutte assieme in App.1 .
L'archetipo di respiro è forse il più difficile da definire: il suo suono è approssimabile ad uno stilema "aa-aa-ae-ee (inspirazione) - ee-ee-ea-aa (espirazione); la traduzione musicale è difficoltosa, causa la sua estrema variabilità: non è definita alcuna precisa durata, dato che il respiro può essere ampio, disteso, ma anche corto, affannoso; può quindi coinvolgere una intera frase musicale ovvero poche battute. In genere è composto di due parti (stessa logica della domanda-risposta), ma talvolta l'utilizzo è parziale (psicologicamente: solo inspirazione = "vita e attesa"; solo espirazione = "conclusione e morte"). Musicalmente, si parla spesso di frasi "di ampio (o di corto) respiro", quasi in inconsapevole riferimento all'archetipo.
Il battito cardiaco può dar luogo all'archetipo di serenità se il cuore batte in condizioni normali (stilema: ta - tà, ta - tà, ta - tà;) oppure all'archetipo di ansia, paura, se il cuore batte velocemente (stilema: tattà-tattà-tattà;).
Dal pianto derivano gli archetipi di pianto convulso (stilema: tà-tatà-tatà;) e di pianto disteso (stilema: taàa-taàa;). Nel neonato il pianto è quasi sempre necessità fisiologica; vedremo in seguito il riscontro psicologico nell'adulto.
La prima visione di una "caduta prolungata" di qualcosa o di qualcuno accompagnata da senso di impotenza a modificare ciò che sta accadendo, imprime nella mente l'archetipo di ineluttabilità (stilemi: tata-tàa oppure tatata-tàa); di solito, le prime due (tre) note sono uguali ma possono esservi introdotte rielaborazioni con note diverse, per variare o diluire il messaggio; dipende dal "genio" del compositore vestire l'archetipo di note opportune e inserirlo in un contesto armonico caratterizzante la specifica situazione.
Il primo tenero richiamo materno, quasi una carezza sussurrata, fatta di due note decrescenti distanti un semitono, genera l'archetipo di dolcezza (stilema: tàa), che verrà ben presto riemesso dal neonato: via via che le due note decrescenti distano più di un semitono, la dolcezza diminuisce e diventa richiamo, volto all'ottenimento di qualcosa. Analizzeremo in seguito le rielaborazioni di questo archetipo.
Il primo spavento dovuto ad un urlo prolungato genera l'archetipo di terrore (stilema: taaàa).
La reazione a questo spavento genera l'archetipo di forza (stilema: ttàa, ttàa) arricchito in seguito da elementi onomatopeici.
Dagli archetipi primigeni emozionali vengono poi acquisiti, per elaborazione mentale logico-matematica, gli archetipi numerici: la traduzione musicale dell'archetipo numerico consiste in uno stilema ritmico accoppiato a sequenze di note; possiamo riconoscere l'archetipo unitario (Io=1; stilema: ta), l'archetipo binario (Io e la Mamma = 2; stilema: tàta), l'archetipo ternario (Io e altri = 3; stilema: tàtata), il quaternario (stilema: tàtatata) etc.
Dagli archetipi emozionali di "altezza" e di "profondità" scaturiscono gli archetipi logici di "salita" e di "discesa" (psicologicamente: per esorcizzare e dominare l'emozione con meccanismi razionali), la cui traduzione musicale consiste in scale di note ascendenti e discendenti; e qui è ipotizzabile una differente "velocità" di salita o discesa, data dalla distanza delle note nelle scale musicali ascendenti o discendenti: un semitono, un tono, più di un tono, etc. Questa "velocità" non deve essere confusa con i tempi più o meno veloci della loro esecuzione musicale, che evidentemente sono dovuti a rielaborazioni mentali dell'archetipo.
Dalla emozione dovuta all'incertezza scaturisce l'archetipo logico di dubbio: nella traduzione musicale, una breve sequenza di note "che tornano su se stesse", che distano l'una dall'altra un semitono, al massimo un tono (stilema: ta-ti-ta).
Quando all'incertezza si associa la curiosità nasce l'archetipo di "domanda", strutturalmente molto simile all'archetipo di dubbio, da cui si differenzia più o meno nettamente quando le note "che tornano su se stesse" distano più di un tono (quasi che la curiosità vincesse l'incertezza); ma l'archetipo di domanda è un vero archetipo o una "espansione" dell'archetipo di dubbio? O addirittura una sua rielaborazione mentale?
Molto spesso nella musica si trova un archetipo "domanda" seguito immediatamente da una sequenza di note esprimenti logicamente una "risposta": formano un unico archetipo composto "domanda-risposta"? Di solito, il gruppo (o i due gruppi) di note "che tornano su se stesse" terminano generalmente su una nota uguale a quella iniziale. In ogni caso, la domanda, contenente quasi sempre elementi di dubbio, si esprimerà musicalmente attraverso note distanti un semitono, al più un tono, mentre la risposta, se dubbiosa o evasiva, vedrà analogamente note distanti un semitono od un tono; altrimenti, su risposta sicura, le note potranno anche distare due, tre, o più toni ( psicologicamente: minor necessità - o addirittura rifiuto - dell' "immediatamente vicino").
E' interessante un parallelo con la metrica greca: l'archetipo di dolcezza è nel trocheo o nel dattilo (rielaborazione); l'archetipo di serenità nello spondeo, l'archetipo di ansia, di angoscia è nel giambo più volte ripetuti; l'archetipo di forza solenne (rielaborazione) e di ineluttabilità nell'anapesto.

[i] 8.1 - Il laccio della mente razionale

Un bimbo appena nato, e almeno fino a sei mesi, "profuma di archetipi" (sopratutto percettivo-musicali): dopo averli appresi, anche se solo parzialmente configurati ed embrionalmente rielaborati, li riemette con i mezzi a sua disposizione (in prevalenza suoni vocali), prima di iniziare la riacquisizione della strutturazione razionale mentale cosciente definitiva, dovuta alla affabulazione e alla assimilazione sistematica della realtà (1) impostagli dai genitori e dall'ambiente circostante, necessaria d'altronde alla creazione di un linguaggio "di relazione" per mezzo del quale imparerà a comunicare con i suoi simili. Il bimbo non ha bisogno del contributo del subconscio (come l'adulto) per ritrovare emozionalmente i suoi archetipi, anzi, probabilmente non ha ancora neppure il collegamento con la funzione inconscia, che noi ipotizziamo si sviluppi, e in seguito si manifesti, quasi per reazione alla strutturazione mentale cosciente imposta. Inizialmente, un cervello "apprende" per scansioni ritmico-musicali, che divengono il suo "linguaggio assoluto"; questo si riverbera in linguaggi differenziati su tutto lo scibile. Durante il processo avviene, come dicevamo, la strutturazione razionale mentale, che ha come fondamento l'impianto degli archetipi strutturali, ritmici, numerici, logici, "estratti" dagli archetipi sensorio-emozionali e utilizzati in ogni attività mentale. Questi archetipi sono ben noti alla mente, che li utilizza in modo automatico nella sua normale attività; la mente cosciente può (2), con i già visti meccanismi di richiamo delle immagini mentali, essere sede razionale di emozioni dovute alla rielaborazione di archetipi sensorio-emozionali; ma questi debbono forzosamente sottostare, nella loro estrinsecazione cosciente, alle modalità strutturali -ormai acquisite- della mente stessa, che ne condiziona il riaffiorare rielaborandoli logicamente e ne imprigiona in circonvoluzioni razionali tutte le potenzialità esplosive. Questo, per noi, costituisce il cosidetto "laccio della mente razionale"; esso impedirà per sempre, all'essere umano esplicante le normali attività razionali, una libera e automatica riespressione degli archetipi emozionali, che "torneranno fuori", riaffioreranno nettamente integri e originalmente collegati, solo durante le "genuine espressioni artistiche", le "folgorazioni" (da noi definite "big-bang"), probabilmente col contributo determinante del subconscio: il comune linguaggio razionale (e molto spesso la frase musicale articolata), anche se di notevole grado espressivo e di grande valore culturale, contiene solo rielaborazioni mentali di questi archetipi. Sembra anche evidente che, prima di apprendere il linguaggio razionale, il bimbo debba apprendere il "linguaggio" del complesso archetipico: è impossibile infatti dare una denominazione esatta (quale quella effettuata tramite parole e concetti) a sensazioni mentali ed emozionali senza possederle già sotto forma di archetipo, anche se embrionalmente rielaborato; certamente, in seguito, l'abitudine a denominare le varie realtà e a usare il normale linguaggio parlato per comunicare le proprie idee e sentimenti, formerà, come abbiamo accennato, una stratificazione permanente, probabilmente nei magazzini mnemonici delle rielaborazioni razionali degli archetipi, che, a nostro parere, impedirà la trasmissione diretta di "messaggi emozionali profondi", possibile soltanto tramite il "big bang" artistico, con l'intervento del subconscio. Il procedimento descritto viene seguito strettamente dai circuiti neurali nel realizzare le varie rappresentazioni disposizionali: quelle che contengono le informazioni strutturali (numeriche, logiche etc) estratte dagli archetipi sensorio-emozionali, che utilizzerà la mente razionale, sono state fissate nei magazzini mnemonici successivamente alla realizzazione delle rappresentazioni disposizionali direttamente causate dalle acquisizioni sensorio-emozionali e alla loro "metabolizzazione", e ora fanno come “da schermo" ad esse e al richiamo e alla ri-evocazione che, sotto forma di immagini mentali, il cervello può – tramite le sinapsi forti o deboli - farne.
Una interessante constatazione del "laccio della mente" è possibile farla sui bimbi autistici: molti di loro mostrano grave ritardo nella comunicazione; ancora, a tre anni, sono incapaci di usare il linguaggio; ebbene, alcuni di loro, a quella età, mostrano contemporaneamente una eccezionale abilità per il disegno, riuscendo a fissare, in pochi tratti, interi eventi molto ricchi emozionalmente e ben compiuti dal punto di vista figurativo; ma quando, sui nove-dieci anni, frequentando scuole speciali, apprendono ad usare il ragionamento logico e finalmente cominciano ad usare il linguaggio parlato, perdono purtroppo la grande abilità che mostravano nel disegno, che diviene di qualità scadente e simile a quello dei bimbi normali. Evidentemente, quegli archetipi, che era facile, piacevole e automatico evocare con la partecipazione automatica delle funzioni inconscie, vengono "bloccati" non appena attivate le funzioni-schermo della mente razionale.
Ma chi richiama gli archetipi? La coscienza, il complesso mente - sistema nervoso, il subconscio, indipendentemente tra loro o in connessione ? E' possibile farlo utilizzando solo i circuiti di by-pass? In neurofisiologia sono già stati elencati e reperiti tutti i sistemi di richiamo, le loro modalità? Quando, nel sistema nervoso umano, divengono effettivamente strutturati e funzionanti i sistemi di reti neurali in grado di discriminare, ricevere, selezionare i diversi archetipi e le loro rielaborazioni mentali se fissate nei magazzini della memoria profonda ? A queste domande non è facile dare attualmente risposta, anche se ci sono interessanti ipotesi che vaglieremo in seguito.

[i] 8.2 Le rielaborazioni e le autonome elaborazioni mentali

Diceva Pascal che il cuore ha delle ragioni che la mente non può comprendere: in effetti, aveva avuto per primo l'intuizione dell'esistenza di una divaricazione incolmabile tra i due stati, emozionale e razionale. L'individuo consapevole e autocosciente ha a disposizione una mente razionale che è in grado sia di richiamare le emozioni dal "magazzino" delle rappresentazioni disposizionali che di percepire quanto il subconscio, stimolato dalla concentrazione profonda, restituisce. Ma occorre rimarcare che l'emozione "in sè" è assolutamente "incomprensibile" per la mente razionale: dalla sua "metabolizzazione" è nata la struttura razionale della mente medesima, ma essa ora ne è come prigioniera, e non può far altro che ripercorrere - in fondo, senza comprenderli - i ricordi delle emozioni e tentare di ricostruirli alla sua maniera. La mente razionale, una volta acquisite le capacità strutturali e la possibilità di applicarle alla realtà mediante la formazione di immagini mentali "fatte a sua immagine e somiglianza", può anche procedere a rielaborazioni mentali delle immagini dovute agli archetipi primigeni emozionali immagazzinati, nonchè ad autonome elaborazioni "tecniche" di archetipi numerici e logici, che in seguito troveremo legate alla formazione del linguaggio orale e dei concetti base per la comunicazione umana, ma non può assolutamente vivere una "emozione" che non comprende e che non è razionalizzabile(non computazionale), anche se da essa ha tratto la linfa logico-strutturale. Quando una mente vuol comunicare ad altri uno stato d'animo emozionale, in realtà non fa altro che richiamare le rielaborazioni degli archetipi emozionali che trova nelle rappresentazioni disposizionali depositate nella sua memoria e cercare di trovare negli altri una eco di rielaborazioni analoghe e scambiare così una parvenza di vibrazione comune. Durante l’evento artistico, poi, la mente può solo "ordinare", dare una logica (linguaggio) al susseguirsi degli archetipi evocati nel subconscio e trasmettere "inconsapevolmente" il messaggio: tanto chi lancia che chi riceve, inizialmente rielabora, o percepisce solo il linguaggio; ma non può possederne il messaggio se non si pone in un "ascolto inconsapevole", in cui, finalmente, viene posta a tacere la mente razionale e vengono utilizzati gli strumenti della profonda concentrazione, dell'intuizione, del subconscio. L'attività precipua della mente razionale è la rielaborazione: ora, come dicevamo, è nostra opinione che le rielaborazioni e le autonome elaborazioni mentali formino di fatto una "stratificazione" di rappresentazioni disposizionali che separa la zona dei magazzini della memoria “profonda” (sede delle rappresentazioni disposizionali dovute ad archetipi emozionali puri) dalla zona dei magazzini della memoria “normale” della mente (sede delle rappresentazioni disposizionali dovute alla impressione, sui circuiti neurali modificabili, degli eventi della vita). Se ciò è vero, anche nella musica, le rielaborazioni archetipiche e le elaborazioni tecniche mentali appartengono a questa stratificazione, per cui una realizzazione musicale (o artistica in genere) potrà essere formata sia da archetipi puri, composti o espansi (provenienti dalla memoria profonda tramite il subconscio) che da rielaborazioni razionali o da autonome elaborazioni compiute nelle specifiche sedi mentali, e sarà possibile procedere ad una analisi e classificazione del livello artistico di una composizione (vedi 12.1) a seconda della densità delle diverse componenti.

[i] 8.3 - Esempi di rielaborazioni mentali di archetipi

A proposito dell' "archetipo di dolcezza": abbiamo detto che è definito dal primo suono-carezza udito, che è "tàa", due note di cui la prima accentata, distanti un semitono decrescente; questo suono è anche emesso dalla madre mentre si rivolge al proprio bimbo, e il bimbo nei primi mesi di vita lo riemette modulandolo in vario modo. La rielaborazione mentale dell'archetipo iniziale conduce ad una dolcezza che può divenire "decrescente", cioè via via più "aspra", se le note distano più di un semitono (dal I° livello al XII°- ottava): in effetti il bimbo riemette suoni di questo tipo quando vuole a tutti i costi attirare l'attenzione. Occorrerebbe analizzare in dettaglio ciascun intervallo di note discendenti e porlo in relazione con frasi musicali che lo contengono, per coglierne con esattezza l'aspetto psicologico e individuarne il significato (vedi App.1) .
Ma il vero archetipo di "asprezza"o di "durezza" (che non sappiamo bene se è archetipo o rielaborazione anch'esso), emesso e riacquisito durante uno "sforzo", una difficoltà, è definito, inversamente all'archetipo di dolcezza, da due note distanti un semitono crescente, e la sua rielaborazione mentale (che esprime l'intervallo crescente di due note distanti più di un semitono), man mano che l'intervallo aumenta, esprime la crescita della asprezza (dal I° al XII livello - ottava), che diventa durezza, dolore fisico, rabbia, paura, e anche terrore (che noi abbiamo definito autonomamente come archetipo, ma che potrebbe venir approssimato da configurazioni di questo tipo). Abbiamo riportato in App.2-a un interessante esempio di composizione che utilizza numerosi archetipi di asprezza (DVORAK - Nuovo Mondo – inizio 4° tempo).
Persino durante le effusioni amorose di un normale accoppiamento maschio-femmina si odono grida e suoni modulati che quando sono espressione di sensazioni dolcissime mimano esattamente l'archetipo di dolcezza nella sua struttura "più dolce" (i due suoni distano un semitono decrescente) che può divenire via via più "aspro" a seconda della "evoluzione" dell'accoppiamento, mentre quando si raggiunge l'acme e anche successivamente, si possono udire chiaramente le rielaborazioni mentali dell'archetipo di asprezza fortemente crescenti, indice di un piacere "aspro" che ha raggiunto la soglia del dolore fisico.
Tornando all'archetipo di dolcezza, esso può essere inserito in un contesto musicale formato da tonalità minori, e allora diviene dolcezza "triste"; se il contesto è essenzialmente in tono maggiore, la dolcezza diviene "serena", e anche "gioiosa"; se il contesto musicale è atonale o realizzato elettronicamente (sintetizzatore), allora, per differenziare le due "dolcezze", ci si affida a strumenti musicali (reali o sintetizzati) diversi, utilizzando anche metodologie onomatopeiche.
L'archetipo di dolcezza può venire "espanso" in tenerezza, mediante una onomatopeia con i moti (fremiti) del corpo che lo caratterizzano (stilema tàatàa - vedi
App.1), e la tenerezza può divenire più dolce o più "aspra" man mano che l'archetipo da cui deriva si allontana dal 1° livello; al solito, il contesto musicale dirà se è tenerezza triste o serena.
Analogamente, a proposito dell' archetipo di pianto convulso e di pianto disteso: nel neonato il pianto può essere necessità fisiologica senza altre implicazioni, almeno nei primi tempi; ma nell'adulto è dovuto a profonda commozione dell'anima e viene necessariamente associato a dolore o tristezza.
In quest'ultimo caso, probabilmente mediante una rielaborazione mentale, può trasformarsi in archetipo (rielaborato o espanso?) di tristezza (stilema: tàatatàa) divenendo portatore di tristezza generalizzata; e, attraverso rielaborazioni che includono musicalmente l'intervento armonico di tonalità minori e di opportuni passaggi cromatici, può permeare tutto un pensiero musicale. Naturalmente, il pianto può essere di dolore, ma anche di rabbia o di gioia: opportune rielaborazioni, e sopratutto il contesto armonico-musicale, esprimeranno con esattezza queste sensazioni.
L'archetipo di pianto è di solito costituito dalla stessa nota ripetuta tre volte, con la possibilità che la seconda e terza nota differiscano di un semitono, o al massimo di un tono dalla prima (confrontare i diversi pianti (embrionali rielaborazioni?) di un bimbo nei primi mesi di vita.
Ad esempio, l'archetipo di pianto convulso si può udire in GRIEG, Peer Gynt, 2° tema del "Canto di Solveig"
(App.2-b), mentre l'archetipo rielaborato di tristezza si può udire in BEETHOVEN, 3° Sinfonia (Eroica) - 2° tempo-Marcia funebre, ove la rielaborazione dona una grande solennità; oppure in CHOPIN, Sonata per pianoforte n° 2 in Si bemolle (marcia funebre), ove la rielaborazione dona grande intimità (App.2-c). Un interessante esempio di archetipo di tristezza "espanso" si ha in DVORAK, Danza slava n°10 in Mi bemolle (App.2-d). L'archetipo di ineluttabilità (e sue splendide rielaborazioni) è in BEETHOVEN, 5° Sinfonia, inizio e gran parte del primo tempo (App.2-e). L'archetipo di forza spesso viene rielaborato onomatopeicamente, con strumenti musicali opportuni, che possono metterne in evidenza il carattere di solennità ieratica (sentimento religioso) o laica (trionfale o di altro tipo); esempi in BRAHMS, 4° Sinfonia, inizio 2° tempo, o in HAENDEL, Musica per un fuoco d'artificio reale, inizio (App.2-f).
Dobbiamo avvertire che le notazioni musicali usate dai vari compositori per riprodurre gli archetipi sono estremamente variabili, a seconda dei tempi usati (due o quattro quarti, tre o sei ottavi, etc) e della velocità dei singoli movimenti dovuti al tempo metronomico segnalato nella partitura; ciò che non varia, è la struttura ritmico-sonica dell'archetipo e il suo tempo proprio (salvo lievi dilatazioni o compressioni ininfluenti per la sua percezione). Questo, per spiegare alcune ovvie differenze tra la nostra rappresentazione "standard" degli archetipi di
App.1 e le rappresentazioni riportate in App.2.

[i] 8.4 - Esempi di rielaborazioni di archetipi logici

Abbiamo detto che il primo elemento di logica è presente nell'archetipo di respiro,che sembra prefigurare la logica dell'archetipo domanda-risposta. In numerosissime composizioni musicali sono presenti rielaborazioni di tale archetipo (e ciò è perfettamente naturale, dato che la mente razionale quasi automaticamente, e - diremmo - volentieri, compie rielaborazioni perfettamente adeguate alla sua struttura). Certamente, per la comprensione esatta del tipo e delle motivazioni della domanda, ed eventualmente della risposta, occorre sempre fare una analisi psicologica delle ragioni che hanno condotto un compositore all'inserimento e all'uso di tale archetipo. Alcuni esempi (vedi App. 2 e 3): BACH, Toccata e fuga in Re minore, inizio. DVORAK (1), Concerto per Violoncello e Orchestra in Si minore, inizio primo tempo.

[i] 8.5 - Un esempio di integrazione archetipale: la percezione visiva

Dovendo procedere all'esame delle modalità di "arricchimento" e integrazione degli archetipi ad opera di percezioni sensoriali diverse dal sonoro-musicale e, per noi, acquisite successivamente, può essere interessante compiere una analisi delle ipotesi ed esperienze sulla nascita della percezione visiva e sulle principali teorie esistenti al riguardo.
Analizzando le pitture rupestri vecchie di oltre 30.000 anni si può notare la loro composizione, fatta di segni verticali e linee curve, che rappresentano animali e talvolta rappresentano scene vissute; si pensa che questi messaggi servissero alla comunicazione tra gli esseri primitivi, prima ancora che esistesse un linguaggio della parola adeguato a denominare gli animali o a descrivere le scene; non occorreva una immagine accurata, bastava un segno e un contorno, per richiamare alla primitiva coscienza un animale e il relativo fatto accaduto. In effetti, Hubel e Wiesel(Premi Nobel 1981)
(1, 2, 3) dimostrarono scientificamente la rispondenza della corteccia cerebrale a particolari stimoli visivi rappresentati da linee e bordi di particolare orientamento e dimensione: noi diremmo che sono stati ritrovati gli "archetipi di segno" (archetipi o rielaborazioni?) che la mente primitiva umana ha impresso e comunque rielaborato mediante la "metabolizzazione" di una percezione sensorio-emozionale, e che poi divennero per noi "indicazione genetica" per le attuali acquisizioni; pure i singoli colori sono stati "isolati" in tal modo, e sicuramente, in apposite rappresentazioni disposizionali facenti capo alle zone "visive" della corteccia cerebrale, sono contenuti tali archetipi o rielaborazioni, che ci aiutano nel riconoscimento visivo della realtà se richiamate come immagini mentali, o entrano prepotentemente nelle grandi espressioni artistico-pittoriche tramite il subconscio. Per analogia, molti linguisti (ad es. Noam Chomsky) postulano che la struttura profonda del linguaggio umano abbia molte similitudini con la struttura cerebrale e ne rifletta anche grammaticalmente le caratteristiche: per noi questo è naturale, dato che la stessa corteccia cerebrale (sede della mente razionale) si autostrutturò sulle astrazioni logico-razionali delle percezioni sensorio-emozionali, e condizionò così la struttura stessa del linguaggio parlato.
Tornando alla percezione visiva e alle sue implicazioni (
4), ad opera degli psicologi dell'arte pittorico-figurativa sono state elaborate, da metà '800 ad oggi, varie teorie sulla organizzazione della percezione visiva nell'uomo e sulla sua restituzione in campo artistico. Le due più interessanti sono la teoria del costruttivismo e la teoria della Gestalt. Secondo i Costruttivisti, che si rifanno ai filosofi empiristi, una immagine visiva viene costruita di volta in volta mediante un processo di associazione di sensazioni visive elementari immagazzinate dalla nascita in poi nella memoria; questa teoria, sviluppata sopratutto da Helmholtz e da Gregory, fa discendere la percezione di una immagine visiva per confronto continuo (e soggettivamente pilotato) tra la informazione fornita dall'organo visivo (occhio e contiguo sistema nervoso) e le immagini percepite in precedenza e conservate in memoria: ogni oggetto che cade sotto la vista viene analizzato per confronto con quanto sensorialmente già acquisito, e può (o non completamente) essere riconosciuto e accettato; questa teoria lascia la responsabilità di quanto percepito esclusivamente all'osservatore, e si può definire "cognitivismo empirico".
La teoria della Gestalt, invece, attribuisce la percezione visiva a schemi innati, uguali per tutti gli individui (Koffka, Wertheimer, Kohler), e di cui è possibile conoscere e studiare le caratteristiche. Questa teoria rifiuta l'idea della percezione visiva come somma delle sensazioni già immagazzinate e quindi scomponibile in esse: la percezione è il risultato della organizzazione di sensazioni innate piuttostochè una associazione di sensazioni empiricamente acquisite.
Le due teorie brevemente illustrate vengono applicate alla analisi delle opere degli artisti ed ognuna può ascrivere punti a suo favore, a seconda dei settori investigati.
Dal nostro punto di vista, notiamo immediatamente in ambedue le teorie la assenza di qualsiasi contenuto emozionale associato alla percezione visiva, quasi che questa fluisse miracolosamente e automaticamente nel cervello umano senza altre implicazioni, e venisse immagazzinata come in spezzoni di films (costruttivismo) o ritrovata e ricompresa seguendo tracce prefigurate (Gestalt). L'errore è sempre lo stesso: si parte dall'arte per analizzare l'arte e di riflesso si fanno ipotesi sul meccanismo umano di percezione e di riespressione, anzichè partire dall'uomo, dalla sua storia evolutiva, dalla sua struttura cerebrale-nervosa, e soprattutto dalle effettive modalità di percezione della realtà che involvono il sistema visivo solo successivamente ad altre percezioni (suono) e non possono quindi prescindere da quanto è stato prima impresso dagli altri centri di acquisizione sensoriale. Anche nella musica si è compiuto lo stesso errore: alcuni fisici e filosofi hanno studiato il fenomeno della acquisizione musicale a partire dalle leggi del suono e dalle qualità dell'orecchio, e individuano nelle caratteristiche "non lineari" dell'udito la causa della "rivelazione musicale"! Certamente, la "non linearità" costituisce fatto sicuramente importante per la distinzione delle singole note e per la costruzione armonico-musicale, ed è pure certo che la natura offre "modalità di acquisizione" che poi entreranno fondamentalmente a far parte delle "tecnologie e metodologie di espressione" individuale, ma non ne è schiava nè rende schiavo il cervello umano di dette modalità. Il suono senza connessione emozionale-cerebrale non diviene “musica".
Per noi, solo partendo dall'uomo si possono comprendere le creazioni (anche artistiche) dell'uomo. Ribadiamo inoltre che per memorizzare una visione (indipendentemente dalla predisposizione genetica) occorre una percezione sensoria che produca “emozione”, e per “granuli emozionali” - da cui vengono estratti gli archetipi (o rielaborazioni) di segno e/o di colore - potremo poi ricostruire anche visivamente la realtà, o dar vita ad un fatto artistico; una percezione sensorio-emozionale non è mai solo "visiva": la visione viene dopo il suono, e forse dopo la tattilità, il gusto, l'odorato; l' "innato" della Gestalt non può essere solo visivo, ma "globale" o quanto meno "globalizzabile", e per noi è impossibile concepire una teoria della "emozione puramente visibile" per studiare l'arte pittorica e figurativa.

[i] 8.6 Un esempio di generalizzazione tattile e visiva

La corrispondenza degli archetipi musicali di dolcezza e di asprezza nella sensorialità tattile umana è molto evidente: basta carezzare con un dito il pelo di un animale o la barba di un uomo alcune ore dopo che è stata fatta (o comunque superfici più o meno levigate) : archetipo di dolcezza, nel verso del pelo; archetipo di asprezza, controverso del pelo o della barba; e addirittura, se l'intervallo tra le due note è proporzionale ad una distanza più lunga da coprire nello stesso tempo, si percepisce la "dolcezza decrescente" e la "asprezza crescente" a seconda della velocità maggiore con cui si saggia il pelo o il contropelo.
La corrispondenza di detti archetipi nella visione e nell'applicazione pittorica ci porta, come abbiamo detto, verso l'osservazione di dipinti con pennellate aventi tonalità di colore estremamente vicine tra loro (aventi massima dolcezza se c'è una "logica" pittorico-figurativa decrescente con colori che vanno dal più scuro al più chiaro, o aventi minima asprezza se c'è una logica pittorico-figurativa crescente), ma che possono via via allontanarsi se la "dolcezza" diminuisce o la "asprezza" aumenta.
Si potrebbe facilmente trovare la corrispondenza nel campo degli odori e sapori, magari con apparecchi di misurazione dei medesimi e dei loro intervalli.
Come abbiamo detto, gli archetipi, inizialmente solo "musicali", vanno arricchendosi e completandosi mediante le percezioni suddette man mano che cresce nel corpo umano la acquisizione delle sensorialità.

[i] 9.1 Archetipi e personalità umana

Come interferiscono le circostanze con l'acquisizione degli archetipi? Facciamo un esempio: quando un bimbo per la prima volta vede (e percepisce come entità a se stante) un animale, lo "assimila" e lo acquisisce nella memoria normale (acquistando la capacità di "riconoscerlo") senza per questo "archetipizzarlo"; ma se la vista di questo animale è collegata ad una situazione sconosciuta e anormale, cioè ad una "emozione" (più o meno giustificata) dovuta al medesimo, allora entra in ballo l'archetipo di paura, che, se precedentemente impresso e dovuto ad altre percezioni emozionali, si riaffaccerà al comparire di quell'animale o della sua immagine, ma che, se non ancora impresso, si imprimerà per la prima volta nella memoria profonda della mente (mediante rappresentazioni disposizionali da circuiti innati) iniziando la sua strutturazione archetipale da questa visione e non da un suono (urlo) come avevamo ipotizzato nella versione "musicale" del medesimo archetipo. In ogni caso, in seguito, se la situazione di paura era ingiustificata, ci vorrà tutta la forza della parte cognitiva mentale per spezzare il fortuito e malaugurato "legame" tra la rappresentazione dell'animale e l'archetipo di paura!
L'esempio soprariportato, se generalizzato alle varie situazioni e ai vari individui, ci mostra come una particolare e diversa associazione percezione/emozione può contribuire alla costruzione di un “modello della realtà” altamente individualizzato: ora, la personalità umana ha sicuramente presupposti genetici, la sua strutturazione può essere parzialmente predeterminata, ma essa sicuramente risente del “modello individuale della realtà" quale si è venuto formando tramite le varie modalità di acquisizione successiva degli archetipi, che d'altronde influenzano anche le modalità di acquisizione della razionalità, dato che essa deriva dalla loro "metabolizzazione". Questo mix noi pensiamo essere all'origine della personalità individuale, che verrà man mano influenzata anche dalla "storia" successiva di ciascuno. Constatiamo infatti che, anche se le "emozioni primarie" (o archetipi) sono uguali per tutti, la catena archetipica, che deriva all'essere umano appena nato dal susseguirsi delle acquisizioni, è invece assolutamente diversa, e questo è un fatto veramente fondamentale per la strutturazione della personalità individuale, anche se nell’ambito di uno schema genetico predeterminato; gli archetipi successivi al primo sono racchiusi in configurazioni neuroniche (rappresentazioni disposizionali) tra loro interconnesse, che risentono delle caratteristiche delle configurazioni precedenti: altro è acquisire l'archetipo di terrore dopo l'archetipo di dolcezza, altro è acquisirlo prima. Naturalmente, tutto ciò si riflette anche sul processo di razionalizzazione delle emozioni, per cui può venirne influenzato l'intero sviluppo cognitivo della mente.
In effetti, in accordo con tutte le scuole di pensiero sulla psicologia infantile e dell'età evolutiva, riteniamo anche noi che le acquisizioni della primissima infanzia sono estremamente delicate per lo sviluppo psichico dell'uomo. Non sappiamo se esista una predisposizione genetica che dia una metodologia di acquisizione successiva per gli archetipi e per le varie percezioni che raggiungono il bimbo prima e dopo la nascita, ma certamente, tra le possibili vie di acquisizioni ve ne saranno alcune migliori di altre; e tutto ciò che viene compiuto col minimo di traumi e di soluzioni di continuità dovrebbe essere preferibile.

[i] 10.1 Musicoterapia

L'ipotesi archetipica offre una interessante possibilità di interpretare gli effetti musicoterapeutici (1, 2) che sono stati osservati su pazienti di diversa tipologia.
Ci siamo posti la domanda su come possa essere influenzata la personalità, il dominio delle emozioni e il loro estrinsecarsi, in pazienti nei quali la "presentazione" iniziale degli archetipi primigeni sia stata insufficiente o addirittura "distorta" a causa di situazioni naturali che hanno provocato particolari traumi nel sistema di acquisizione e di metabolizzazione archetipica, al punto da favorire la creazione di rappresentazioni disposizionali neurali non congrue, non raffiguranti con esattezza la percezione sensorio-emozionale che le causava. Ebbene, se riusciamo ad individuare la tipologia del trauma, della "distorsione", pensiamo che, sottoponendo il paziente a brani musicali contenenti le forme archetipiche espresse con esattezza in un contesto melodico-armonico adeguato, sia naturale che si ottenga l'effetto di un "massaggio" archetipico cerebrale, in cui viene riportato a livello normale l'equilibrio emozionale compromesso. Può darsi, però, che l'effetto duri poco: è da tener presente che le "nuove" forme archetipiche indotte dai brani musicali vengono immagazzinate in circuiti neurali modificabili e non permanenti, tantochè le emozioni via via richiamate alla coscienza dopo la terapia possono, dopo un tempo più o meno breve, scomparire, e comunque saranno sempre "sovrapposte" e condizionate da quelle precedenti dovute alle situazioni "distorte", per cui dovremmo far ripetere spesso e quasi con continuità l'ascolto delle musiche "terapeutiche": non sappiamo se le nuove forme archetipiche, in cui ormai entra da padrona la mente razionale, possano essere "definitivamente archetipizzate" e sovrapporsi totalmente alle precedenti "distorte" in modo da farle tacere per sempre. Certamente, durante la terapia, sarebbe consigliabile realizzare quell' "ascolto inconsapevole" cui accennavamo in altro capitolo, e che potrebbe forse favorire una archetipizzazione; bisognerebbe insegnare prima al paziente, da parte del psicoterapeuta, a realizzare quella condizione di lieve perdita della coscienza. Ma sopratutto, individuare i brani musicali adatti a ciascun paziente.
Questo, quando occorra ripristinare un tipo di equilibrio propriamente emozionale.
Quando invece ci sia "distorsione" di tipo logico-strutturale occorrono altri brani musicali: non dimentichiamo che gran parte dei Compositori hanno usato spessissimo le loro eccezionali doti mentali di rielaborazione ed elaborazione autonoma: vedremo questo nel capitolo dedicato all'utilizzo dei diversi archetipi nei diversi periodi storici, dal Gregoriano ad oggi.
Ad esempio, Bach, e sopratutto Mozart, in gran parte delle loro composizioni hanno fatto uso quasi esclusivo di archetipici numerici, ritmici, logici etc e di loro rielaborazioni mentali, escludendo spesso le forme archetipiche emozionali dirette. Questa musica è necessaria per i pazienti affetti da incompleto o distorto uso delle qualità razionali, nella speranza di parziale (ma forse solo temporanea) riabilitazione. Un gruppo di scienziati americani ha constatato che su certi pazienti di non grande quoziente intellettivo l'ascolto di certi brani di Mozart fa aumentare il quoziente anche di nove punti: purtroppo l'effetto dura solo venti minuti. Tutto ciò è agevolmente spiegabile con le ipotesi soprariportate, che indurrebbero a ripetere spesso tale ascolto, ma stavolta non in forma "inconsapevole", dato che dobbiamo "interessare" alla terapia la mente razionale; comunque, i soggetti da trattare, se giovani e in età scolare, potrebbero sempre sottoporsi ad un ascolto prima del compito di matematica !
Ci sono poi alcuni ascolti emozionali che influenzano il ritmo cardiaco: non dimentichiamo che ciascuno assume l'archetipo di "serenità" dal proprio ritmo cardiaco, e che spesso una esecuzione di brani musicali contenenti tale archetipo si presenta assai differente a causa delle sovrapposizioni introdottevi dagli interpreti, che a volte "snaturano" l'archetipo, o quanto meno lo eseguono con un tempo diverso da quello archetipizzato dal soggetto: sarebbe interessante ripetere l'esperimento con più soggetti contemporaneamente, registrando la modificazione dei loro ritmi; dovremmo trovare risultati diversi per ognuno, con diversità decrescente man mano che il ritmo cardiaco soggettivo è simile a quello presentato dall'interprete del brano musicale ( questo, nell'ipotesi che il ritmo cardiaco soggettivo attuale sia lo stesso di quello che fu "archetipizzato" dopo la nascita).
Altri ascolti influenzano il ritmo respiratorio: questo effetto dovrebbe essere più frequente, data la estrema diversità tra l'archetipo di respiro impresso alla nascita e il ritmo respiratorio attuale, se paragonati poi all'archetipo di respiro inserito nella composizione medesima (vedi
13.1, dedicato al linguaggio strutturale della musica).
Sembra anche che venga influenzata la quantità di endorfine prodotte dall'organismo, durante l'ascolto di talune musiche: dato che queste sostanze combattono il dolore, le musiche atte a incrementarne la produzione dovrebbero essere quelle che contengono archetipi di dolcezza, di grado massimo, in un contesto musicale di tonalità maggiori, e mai drammatico.
Ricordiamo infine che la "terapeuticità" della musica si fonda, per noi, solo e soltanto sul fatto che l'archetipo "sonoro-musicale" è alla base, al centro, della sfera archetipica, per cui esclusivamente per il suo tramite è possibile "manipolare" emozioni e strutture razionali imperfette. Ciascun archetipo viene "arricchito", come dicevamo, da strutture provenienti da altri sensi, e solo assai tardi diviene "completo": ma il suo nòcciolo è musicale, e probabilmente solo con la musica si possono avere effetti terapeutici eccezionali. Ciò non toglie che si potrebbe provare su adeguati pazienti un "bombardamento" di archetipi completi, con l'uso contemporaneo di altre forme d'arte esprimenti la stessa tipologia archetipica. Occorrerebbe anche indagare a fondo la cosidetta "Sindrome di Stendhal" e vedere su chi preferibilmente appare, e in relazione a quali specifiche situazioni e visioni.
Gli psicologi oggi parlano
(7.4 - 1) di intelligenza "emotiva" e di come si possa raggiungere un equilibrio psichico infrangendo quello che abbiamo chiamato "laccio della mente razionale" mediante la riacquisizione di una sfera emotiva controllata razionalmente : praticamente, la tecnica, per noi, consiste in un "automassaggio di archetipi emozionali" capace di restituire una serenità interiore a volte compromessa dal "troppo" uso della sola sfera razionale.

[i] 10.2 - Metodologie di identificazione degli archetipi

Concludiamo questa parte dedicata agli archetipi indicando le metodologie per la loro identificazione. Gli archetipi possono essere identificati:

  1. nelle espressioni sonico-ritmiche delle specie animali viventi, e soprattutto in quelle dei bimbi appena nati, e nei mesi successivi alla nascita, ma prima che si affacci la funzione razionale e si sviluppi un linguaggio strutturato;
  2. nella mente dell’essere umano maturo, ove sono presenti in unione alle loro rielaborazioni razionali, dalle quali vanno separati, e quindi “estratti” e identificati;
  3. nelle genuine espressioni dell’Arte in genere e della Musica in particolare, ove possono essere stati utilizzati ed espressi, ma anche qui spesso mascherati dalle rielaborazioni razionali e dalle autonome elaborazioni mentali dell’Autore.

Gli archetipi da noi elencati sono stati individuati con queste tre metodiche e mediante il loro paragone. E’ opportuno ricordare che gli archetipi, in quanto “grumi emozionali”, debbono il loro impianto cerebrale (e la loro fissazione in rappresentazioni disposizionali neuroniche) a un processo “non computazionale”, non riconducibile ad analisi razionali , e che, anche se inizialmente con caratteristiche solo “ritmo-soniche”, successivamente vengono “arricchiti” e integrati da tutte le altre notazioni sensoriali, prendendo una forma definitiva al termine del processo di acquisizione. Nell’essere umano, il processo di attribuzione agli archetipi di una “valenza psicologica”, provocato dal grado di coscienza raggiunto (la consapevolezza di sé e delle proprie emozioni), consentirà la loro contemporanea esplicazione ed utilizzazione non solo nella musica, ma in tutte le altre arti, e, in forma rielaborata, in tutte le attività della vita.

PARTE TERZA - L'ARTE, LA MUSICA, L'ESISTENTE

 

[i] 11.1 - Il "Big-Bang": nascita del fenomento artistico puro

Cercheremo di analizzare il momento più grande dell'essere umano, quello in cui esplica la sua creatività. Occorre notare che esistono diversi "gradi di creatività", a seconda del diverso coinvolgimento mente-cervello-sistema nervoso. Cominciando dal meno elevato, potremo distinguere:

1) Creatività esclusivamente razionale (o razionale-elaborativa). Vi intervengono solo autonome e automatiche elaborazioni mentali, a mò di frasi logiche (filosofia), logico-numerico-computazionali (matematica), logico-strutturali (fisica, chimica, scienza in genere); in questo settore le realizzazioni prescindono dalla necessità di "emozioni", tutto si svolge come secondo uno sviluppo programmato. Occorre tener presente però che nessuna delle grandi e fondamentali "intuizioni" della Scienza è stata raggiunta con questo tipo di creatività. Tali intuizioni vanno comunque espresse e vengono pedissequamente e analiticamente riformulate dalla mente umana con metodologie proprie di questo settore.

2) Creatività razionale-rielaborativa. Per la mente razionale umana, oltre la possibilità delle elaborazioni autonome, si affaccia ora quella dell'utilizzo delle facoltà rielaborative, da lei applicabili agli archetipi emozionali contenuti nelle rappresentazioni disposizionali realizzate sia dai circuiti neurali innati che modificabili, che sono interconnesse e collegate ai centri dell'apprendimento tramite sinapsi più o meno "forti". In questo tipo di creatività che si riscontra essenzialmente nella letteratura in genere, nel teatro, in parti "standard" e convenzionali della poesia, della musica, delle altre arti, intervengono, nel linguaggio, oltre alle frasi logico-numerico-strutturali, anche frasi emozionali esposte però con canoni puramente razionali. Si possono trovare in questo settore espressioni rielaborate di archetipi emozionali puri, di archetipi espansi, composti, ma mai l'espressione archetipica emozionale primigenia.

3) Creatività archetipale. Si scatena mediante il meccanismo che abbiamo denominato "big bang", la grande esplosione, la "folgorazione": scatenata nel subconscio, essa si propaga in tutto l'essere umano, abbraccia e utilizza tutti i suoi recessi, tanto quelli del sistema nervoso che dei visceri e degli arti, interessando sia le strutture neuroniche in gruppi (della regione subcorticale) che quelle, più recenti, aventi strutture stratiformi (paleocortecce e neocortecce). Affiorano, e sono utilizzati con un meccanismo ignoto, gli archetipi emozionali puri, gli archetipi espansi e composti presenti nelle relative rappresentazioni disposizionali, che vengono come incastonati in una grande composizione, e ricompaiono poi a livello cosciente, in un susseguirsi e integrarsi assolutamente originale e di volta in volta sempre diverso.

La grande Arte, come la grande Scienza, nasce con il nucleo formato da espressioni archetipiche emozionali; ad esso si affiancano le espressioni rielaborative che tentano di serrare ferreamente in una logica le esplosioni alogiche e atipiche: delicata è la funzione dell'Artista, chiamato prima a sentire e poi a mediare. La sua grandezza consiste nel trovare il "supremo equilibrio" tra le diverse espressioni.

Ma vediamo con maggior dettaglio in chi, come, dove nasce il "big-bang". Il perchè della sua essenza è già stato sufficientemente illustrato. Ricordiamo che da sempre l'uomo sapiens ha fatto "arte", anche quando non possedeva una mente completamente strutturata, e ha conservato (per fortuna!) questa attitudine anche quando la mente razionale formò il famoso "laccio": non potendo costituzionalmente "comprendere" le emozioni, la mente razionale umana poteva solo "organizzarne logicamente" i riflessi contenuti nelle rappresentazioni disposizionali neuroniche, in attesa che si "liberasse" il meccanismo di autoespressione delle grandi emozioni primigenie che in origine (nei primitivi, nei bimbi) era sempre in azione, e ora (negli adulti di oggi) veniva invece come represso e condizionato a ben precise situazioni e, probabilmente, persone.
Ma quali situazioni, quali persone ? Rimandiamo per adesso l'analisi di situazioni e persone "normali", e vediamo invece quelle "straordinarie".
La persona straordinaria è il grande Artista, posto in una situazione straordinaria. Ricordiamo che non sempre (anzi, raramente!) Egli partecipa di tale situazione, che si verifica soltanto quando, a seguito di lunga e profonda concentrazione, cerca di raccogliere e sintetizzare (in parte razionalmente, in parte intuitivamente) i motivi e i contenuti più riposti del proprio "sentire": è allora che giunge un "raptus", una "folgorazione", un "big-bang" che Gli toglie ogni coscienza e ogni possibilità razionale di "azione immediata", costringendolo ad "ascoltarsi inconsapevolmente". Chi ha vissuto ciò, lo descrive come uno stato di suprema completezza, insieme a suprema gioia e suprema sofferenza , al cui termine, angoscioso e al tempo stesso esaltante, viene riacquistata la coscienza: ora, finalmente, troveremo ivi traccia concreta dei grandi archetipi, sistemati in modo da rappresentare univocamente e in modo assolutamente originale quei "motivi" presenti nella concentrazione che precedette il big-bang; ora finalmente e lentamente la coscienza da intuitiva tornerà razionale, e potrà impossessarsi dei grandi archetipi, quasi Tavole della Legge che il novello Mosè si è trovato tra le mani, imperscrutabilmente e misteriosamente scritte!
Ma dopo la concentrazione profonda che precede ogni grande fatto artistico, come si attiva nell'artista il processo creativo sfociante nel big-bang? Via via che necessita evocare e articolare una emozione in termini sempre più reali, l'individuo autocosciente attiva, sia tramite la mente razionale che la mente inconscia, circuiti di by-pass che comprendono rappresentazioni disposizionali connesse con organi sempre più "esterni" e sempre più vicini al confine corporeo, la pelle; il processo può giungere fino a comprendere gli stessi sensi, e allora il circuito neurale non è più " di by-pass" ma è l'intero sistema nervoso, compreso i circuiti neurali (pilotati dal cervelletto) connessi col subconscio: ciò avviene in alcuni "raptus" in cui il coinvolgimento del corpo diviene totale e anzi viene temporaneamente posta "in sonno", in "stand-by", la stessa mente razionale.
Di dove proviene il big-bang artistico? Proviene dall'esterno della mente o dall'interno di essa? Come possiamo essere certi che non sia un prodotto esclusivamente razionale? Osserveremo che, prima che intervengano le rielaborazioni mentali ad opera delle strutture cognitive cerebrali, il big-bang si manifesta come una intensa emozione che pervade tutto il complesso mente-corpo. Ma se esso avesse una genesi corporea esterna alla mente cosciente razionale, sarebbe percepito prima nei sensi, come ogni stimolo fisico-sensorio-emozionale usuale che tramite i sensi è raccolto dalla mente e catalogato nelle rappresentazioni disposizionali dei circuiti neurali a ciò preposti, e questo non avviene. Se invece esplodesse nell'interno, dovremmo dedurre che la mente cosciente razionale è capace di "creare" emozioni (anzichè solo percepirle tramite i sensi, catalogarle, richiamarle o rielaborarle), e neanche questo è vero. Bisogna dedurne allora che il big-bang avviene in un luogo cerebrale che è contemporaneamente esterno e interno al complesso mente cosciente-corpo, cioè nel subconscio, che durante il "raptus" lavora in modo autonomo sulla traccia dei contenuti della concentrazione profonda precedente. Alla fine, il risultato di questo lavoro diviene emozionalmente percepibile alla coscienza dell'essere umano (e subito dopo alla sua mente razionale) per mezzo di un circuito neurale modificabile (non sappiamo se ancora identificato) riferentesi al subconscio medesimo, in grado di fissare in rappresentazioni disposizionali particolari le "visioni emozionali" dovute al big-bang, che, dicevamo, fu provocato da una condizione di "concentrazione profonda" che mise in connessione i vari e specifici circuiti di by-pass necessari per ridestare le diverse rappresentazioni disposizionali presenti nel sistema nervoso dell'Artista, ricollegandole tra loro in modo da "porre a disposizione" del suo subconscio tutti i diversi tipi (e le diverse gradazioni) di emozioni da Lui possedute e collegate in qualche modo al fatto artistico volutamente cercato attraverso la concentrazione profonda.
A questo punto, il "risveglio" della mente razionale, che ora si trova nella condizione ideale per poter iniziare la rielaborazione di tutto il materiale contenuto nel sopracitato circuito neurale modificabile, trasmesso dal subconscio: e nasce la grande Opera d'Arte.
Fin qui la persona straordinaria. Ma come utilizzano il subconscio le persone "normali", non necessariamente artisti, comunque in grado di recepire almeno parzialmente il messaggio e i significati della grande Arte ? Sicuramente, essi, per recepire, "comprendere a fondo" e gustare il prodotto artistico, dovrebbero porsi come in un "ascolto inconsapevole", inizialmente non legato a schemi razionali coscienti e quindi dipendente dal subconscio. Ma purtroppo, il grado di "raptus" è generalmente leggero, data la scarsa abitudine alla concentrazione profonda; esso lascia poi più o meno rapidamente il posto ad una completa riapparizione della mente razionale, la quale con immensa voluttà, quasi vendetta, supplirà, alla scarsità e debolezza di tracce lasciate dai grandi archetipi emozionali durante il "raptus", mediante il richiamo "artificiale", dalle zone di memorizzazione, degli archetipi simili posseduti (da lei individuati) e di tutte le relative rappresentazioni disposizionali modulate (evocazione degli "stati d'animo"), rielaborando tutto quanto secondo il livello culturale individuale, che interviene sensibilmente a "mascherare" i veri significati, e, spesso, a creare l'illusione di una "vera" comprensione. Certamente, non è facile "sentire" un'Opera d'Arte, e con la sola mente razionale è addirittura impossibile, dato che essa può solo farci "capire" ciò che vuole lei!
Questo, in ogni caso, ci sembra, con tutte le difficoltà conseguenti, il "meccanismo" di attuazione dell'Arte, nel rapporto creatore/recettore.
E nei fatti di tutti i giorni, come interviene il subconscio? E' verosimile che la qualità comunemente definita "intuizione", e che non ha nulla a che vedere con i processi razionali, utilizzi lo stesso circuito neurale ad esso collegato. Analogamente, mentre i processi deduttivi della mente sono frutto della sua attività cognitiva razionale e dei circuiti neurali relativi, ai processi induttivi partecipa probabilmente anche il circuito connesso al subconscio.
Quale, infine, il substrato fisiologico del big-bang? Abbiamo ipotizzato che la sede del subconscio sia connessa col cervelletto, che ha struttura e funzioni anche indipendenti dal cerebrum, sede della mente razionale. E' largamente ipotizzabile che durante la attivazione delle funzioni connesse alla concentrazione profonda, necessarie per attivare la funzione inconscia, si possa realizzare un collegamento diretto tra la struttura computazionale esterna dei microtubuli attivanti il subconscio e il "magazzino" di rappresentazioni disposizionali neurali dovute alle emozioni, dimodochè possano sussistere le condizioni per il verificarsi della "folgorazione", e ciò con assoluta esclusione del cerebrum, bypassandolo completamente. Quando "tutto è pronto", mediante un segnale di scambio tra struttura esterna e struttura interna dei microtubuli, si attiverebbe in essi l'effetto di "coerenza quantistica su grande scala", con la nascita del "fatto artistico", che verrebbe fissato subito in rappresentazioni disposizionali dai circuiti neurali connessi con le zone del subconscio medesimo; successivamente, al "risveglio" dalla folgorazione, tali circuiti neurali sarebbero automaticamente riconnessi al cerebrum, e la mente cosciente ne acquisirebbe la percezione e inizierebbe il processo di razionalizzazione, estrinsecazione, traduzione in linguaggio appropriato utilizzando anche le specifiche tecnologie e metodologie di espressione, tipiche del settore cui appartiene il fatto artistico realizzato. E’ stato anche ipotizzato che la grande Arte si realizzi solo quando avviene il passaggio da un tipo di “rappresentazione digitale” ad un tipo di “rappresentazione analogica”: per noi questo è possibile se al momento della “folgorazione” sussiste una effettiva trasformazione “in analogico” delle rappresentazioni disposizionali connesse con le zone del subconscio.
Qual'è la differenza tra un Artista e una persona "normale"? Anche nella persona normale, come dicevamo, possono attivarsi le zone cerebrali subconsce eventualmente connesse col cervelletto, probabilmente solo per le funzioni intuitive e automatiche. E' nostra opinione che, oltre avere una straordinaria predisposizione, anche genetica, l'Artista possegga una eccezionale attitudine alla concentrazione e alla meditazione, accompagnata da una straordinaria "passione" creativa che condiziona la sua stessa volontà e lo costringe a dedicarsi completamente al proprio sogno artistico (o scientifico): la sua capacità di concentrazione si fa nel tempo così profonda da scatenare il meccanismo del raptus, pilotato dalle zone del subconscio, ma anche con coinvolgimento corporeo globale
(**).

[i] 12.1 - I diversi modi di "fare arte": la gradazione del livello artistico

Abbiamo visto i diversi tipi di creatività, a seconda delle diverse zone cerebrali interessate; ad essi, naturalmente, corrispondono diversi risultati artistici; ma occorre tener presente che una grande opera d'arte non è mai il risultato di un sol tipo di creatività, bensì la fusione armoniosa e sommamente equilibrata dei tre tipi elencati. Ciò non toglie che un artista raggiunga soltanto raramente una armonizzazione di queste componenti, e invece, a volte per pigrizia, per calcolo, per abitudini acquisite successivamente, e trascurando l'approfondimento meditativo che potrebbe condurlo a quella sintesi "automatica" scatenata dal vero "big-bang", si abbandoni alla componente che al momento più gli conviene (e che di solito è di tipo razionale elaborativo o rielaborativo). Quando questo avviene, l'artista fa soltanto "accademia", si limita a "copiare se stesso": ma se è un grande artista, al pubblico piacerà lo stesso, perchè il suo "stile" discorsivo, il suo tratto, le brillanti invenzioni razionali, nasconderanno ai più la povertà di ispirazione emozionale della sua opera. Il grande Picasso è veramente grande solo in alcune sue opere, caratterizzanti ciascuna i diversi periodi artistici da lui vissuti; ma certo, anche nelle opere prive di "creatività archetipale", il suo disegno, il suo colore, il suo modo di realizzare una estrema sintesi razionale riuscendo a farla sembrare vera ispirazione, mostrano la straordinarietà della persona. Allo stesso modo, Mozart non sempre è sommo, perchè da quel grande umorista che era, spesso dava ciò che gli chiedevano (musiche "di maniera"), facendo molta meno "fatica" psichica; ma quando voleva esprimersi al massimo, diveniva immenso, anche se ciò non era facile nel suo secolo, che predisponeva più alla rielaborazione di fantasia e di maniera che non alla concentrazione profonda.
Quindi, a parer nostro, una analisi del livello artistico raggiunto da una opera non può prescindere dalla:
a) individuazione degli archetipi emozionali puri, espansi e composti presenti, e contemporanea analisi della unicità delle espressioni globali archetipiche evocate, allo scopo di determinarne il livello "assoluto" raggiunto: chiaramente, la grande Arte richiede che le sequenze di tali espressioni, normalmente ricorrenti in molti pregevoli lavori, siano ora realizzate in modo assolutamente originale, univoco, e, con quelle tipicità, addirittura per la prima volta, in modo da costituire nel presente autentica "scuola" culturale, e assieme "creazione di dipendenza di linee culturali future"; b) individuazione di rielaborazioni mentali delle forme archetipiche di cui sopra: qui la razionalità può raggiungere vette eccelse, intervenendo a creare ritmi, metodologie, tecnologie di espressione attuate con modalità nuove e originali, che a volte mascherano la stessa forma archetipica da cui derivano;
c) individuazione di elaborazioni mentali autonome, in cui sono assenti archetipi emozionali o loro rielaborazioni, ma che consistono in sequenze di archetipi puramente logici, numerici, ritmici, di segno etc che la razionalità può porre in forme anch'esse assolutamente originali.
Certamente, come dicevamo, la Grande Arte dovrebbe mostrare sia i segni di una "folgorazione" che ha evocato e “archetipizzato” in maniera unica insiemi di archetipi emozionali, che i segni di una rielaborazione razionale straordinaria, intervallata da autonoma elaborazione, in modo da formare un complesso eccezionale, in cui la presenza delle tre componenti suddette sia affiancata da una logica espositiva e compositiva originale, mai vista finora, e irraggiungibile nei secoli a venire, anche se la "scuola" necessariamente derivante metterà in luce solo successivamente queste qualità, tentando di codificarle in canoni razionali: ciò favorirà sia la nascita parallela di epigoni manieristi, sia, successivamente, la comparsa, di artisti ribelli che, attingendo il supremo livello, ripeteranno ancora la Grande Esperienza in modo nuovo e diverso.

[i] 13.1 - Il linguagio strutturale di base della musica e delle altre arti

Si dice che la Musica è la più completa e complessa delle Arti: possiede molti più colori e sfumature cromatiche della Pittura, molta più plasticità, concretezza, immediatezza nell'esprimere la realtà della Scultura, molte più possibilità di analisi ed esplicazione di stati d'animo, di situazioni psicologiche, di drammi individuali e collettivi della Letteratura.
In breve, la Musica comprende, realizza, trascende tutte le altre Arti; e ora ne sappiamo il perchè: essendo il cuore dell'archetipo emozionale primigenio composto di suono-ritmo, è naturale che contenga la sintesi assoluta dell'espressione umana, e che la manifesti nella elaborazione musicale.
Ma come è legata l'elaborazione musicale all'organo per eccellenza delegato a ricevere, a confrontare, ad analizzare le espressioni ritmiche e sonore, cioè all'udito? In effetti, anche se una parte degli archetipi possono, prima della nascita, imprimersi "per vie interne", per mezzo delle onde elastiche che avvolgono e percorrono l'embrione fin dal concepimento, successivamente, dopo la nascita, occorre un sensore preposto alla loro trasmissione al sistema nervoso e cerebrale: senza l'udito, non esiste quasi possibilità di raccolta e utilizzo degli elementi sonori; e sarà bene che sia un buon udito, per una buona qualità del segnale trasmesso.
Analogamente, senza vista è impossibile dipingere, o gustare una pittura; e che sia una buona vista, perchè un daltonico non trasmette certo al proprio cervello un corretto segnale visivo, almeno dal punto di vista delle possibilità individuali di elaborazione e valutazione artistica.
Si dirà che Beethoven era quasi sordo: ma lo divenne quando ormai la sua mente aveva assoggettato il cervello e il sistema nervoso alla percezione di un messaggio musicale che poteva anche venire dalla vista e dall'analisi di una partitura scritta anzichè dalla sua esecuzione strumentale; per cui, inversamente, nel momento del big-bang operato dal subconscio, aveva tutti gli strumenti tecnologici per poterlo memorizzare e di seguito fissare sulla carta.
Queste considerazioni ci conducono a rimarcare l'estrema importanza dei singoli sensi (ben funzionanti) almeno per tutto il periodo delle acquisizioni archetipiche della mente umana, guidate certo geneticamente, ma effettuabili solo alla condizione di trovare una puntuale rispondenza con gli organi sensori delegati al controllo della loro successiva evocazione ed espressione. D'altronde, il problema della riespressione delle forme archetipiche (anche e sopratutto nella loro componente psicologica) aveva trovato nel tempo soluzioni via via più soddisfacenti e complete: in Musica, dopo la voce umana, sono stati "inventati", appunto, degli strumenti "artificiali", proprio allo scopo di riesprimere e "riudire" i propri archetipi. Gli strumenti a percussione, il flauto primitivo, poi gli strumenti a corda, etc, nacquero per "riascoltarsi", e per "mimare" psicologicamente gli stilemi archetipici, anche in forme onomatopeiche. In effetti, è largamente ipotizzabile che archetipi derivati da suoni naturali (ad esempio, il tuono) possano venire evocati da strumenti creati dall'uomo (quali il tam-tam, i timpani). La onomatopeia sonora si fa poi evidente se accostiamo il suono del respiro e del vento agli archi e in special modo ai violini (esprimenti psicologicamente il "respiro dello spirito"), la voce umana al violoncello, le varie voci (anche animali) della natura ai fiati, i rumori ritmici e aritmici (cuore, tuono, etc) agli strumenti a percussione. L'uomo ha come "reinventato inconsciamente" gli strumenti musicali perchè aveva bisogno di quel tipo di richiamo, della loro potenza evocativa per "vestire" di suoni aventi valenza psicologica i propri archetipi, e riascoltarli espressi per mezzo di quelle modalità tecnologiche. Certamente, gli strumenti hanno una loro essenza, una loro voce propria che proviene dalla geniale elaborazione del materiale che li costituisce, che sarà sempre diversa dalla "voce" di un archetipo quale scaturisce dal subconscio con meccanismi interni al complesso cervello-cervelletto-sistema nervoso: ma l'Arte, per esistere e manifestarsi, necessita di un supporto anche materico, come l'uomo.
Tornando alla musica, vediamone le strutture di riferimento. Occorrerà compiere una vera e propria "analisi logica" della struttura, dato che l'individuazione degli archetipi e delle loro rielaborazioni consente di rivelare il linguaggio logico-emozionale, e da questo risalire al messaggio di base insito nella composizione, anche se tuttociò dovrà essere corredato da una approfondita analisi delle tecnologie di espressione espressamente usate per rendere più originale e puntuale il messaggio stesso.
Noi concepiamo le strutture musicali come costituite da una struttura base di riferimento costituita da un intero archetipo di respiro (o una sua rielaborazione), all'interno della quale compaiono archetipi emozionali, numerici, ritmici, logici.
E' da tener presente che l'archetipo di respiro (inspirazione-espirazione) è in stretta connessione con l'archetipo logico domanda-risposta, e talvolta può "comporsi" e sovrapporsi ad esso, per la necessità di esprimere "contemporaneamente" due o più contenuti mentali o emozionali diversi. Perciò occorre dividere il brano analizzato in sequenze di archetipi inspirazione-espirazione, vedere se in alcune c'è rispondenza psicologica con archetipi domanda-risposta, e successivamente analizzare l'interno di ciascuna sequenza. Vi troveremo in genere gli archetipi emozionali, costituiti da singole (o gruppi di) note come descritto in
(9), intervallati dai numerici, ritmici, logici.
E qui occorre fare attenzione.
Ricordiamo che:
a) ogni singola nota può essere semplicemente archetipo numerico o ritmico, ma può essere anche archetipo emozionale (ad es. di forza) e solo la rispondenza psicologica potrà dirlo;
b) ogni complesso di due note (con accento sulla prima) distanti uno (o più) semitoni decrescenti (crescenti) può costituire archetipo di dolcezza (asprezza) di diverso livello;
c) ogni complesso di più di due note di altezza crescente (decrescente) può costituire archetipo, con o senza sua rielaborazione, di salita (discesa), con velocità diversa se le note distano tra loro un semitono, un tono, più di un tono.
d) ogni gruppo di note che "tornano su se stesse" possono formare un archetipo di dubbio (su note molto vicine tra loro) o di domanda, o loro rielaborazioni, o loro "sovrapposizione" (composizione).
In
App.3 riportiamo un esempio di analisi archetipico-psicologica. Di questo tipo è l'esame preliminare che occorre compiere sulle partiture musicali per iniziarne la comprensione.
E' particolarmente interessante il seguente parallelo. Quando si trovarono le prime sequenze di geroglifici nelle tombe dei Faraoni, non fu così evidente di associarle immediatamente ad un preciso "linguaggio" in grado di trasmettere un determinato messaggio, fino alla "Stele di Rosetta", che consentì una precisa traduzione di concetti ivi contenuti: certamente, il singolo geroglifico era composto di segni, colori, raffigurazioni simboliche, che già di per sè (come nella musica) sembravano esprimere "qualcosa"; non solo, ma di secolo in secolo mutava lo stile (non l'essenza!) della rappresentazione di ciascun geroglifico, e questo fu scambiato (come nella musica) per cambiamento di linguaggio, e quindi di messaggio, mentre era solo un cambiamento di "tecnologia e metodologia di espressione" dei vari concetti.

[i] 14.1 - Evoluzione della elaborazione musicale nell'ipotesi archetipica

Vediamo brevemente alcuni lineamenti evolutivi della elaborazione musicale. Non conosciamo bene la situazione esistente fino alla Grecia antica; certamente, Pitagora, tra i primi, si pose il problema, postulando di "associare la musica ai rapporti numerici insiti nell'armonia dell'Universo"; Platone poi, parlò della musica intendendola come "armonia-rhytmos-logos", da lui ritenuti elementi costituenti, affiancati e interconnessi: i due filosofi prefigurano quindi già la possibile esistenza di archetipi numerici, ritmici, emozionali-razionali (logos), e, nel caso di Platone, da ricollegarsi al "mondo delle idee" o, come direbbero alcuni del nostro tempo, alla "memoria universale". Proseguendo, non molto sappiamo della musica nell'antica Roma, mentre assai diversa dalla nostra ci appare la musica giapponese, cinese, indiana e asiatica in genere, dato che, anche se gli archetipi - salvo lievi differenze - sono gli stessi in ogni tempo e in ogni luogo, le rielaborazioni possono essere molto diverse, perchè molto diverso dal nostro è stato sicuramente l'approccio ai problemi logici ed emozionali post-percettivi.
La musica della antica Europa può considerarsi iniziare di fatto col canto gregoriano, ispirato alla più profonda spiritualità cristiana: qui gli archetipi sono estremamente rarefatti e vengono come cercate delle rispondenze tra sonorità esterne dei templi e sonorità interne dell'anima, da trasformare in elementi di ascesi mistica.
Il post-gregoriano, i Trovadori, la musica delle Corti due-trecentesche: inizia il riferimento a valori non soltanto spirituali, con l'utilizzo frequente di archetipi emozionali e l'inizio di rielaborazioni musicali che risentono della aggregazione di realtà materiali e spirituali compresenti, mentre l'elemento logico-razionale che lega i vari momenti è ancora estrema-mente semplice e non eccessivamente strutturato.
Ed ecco, con Johann Sebastian Bach, comparire il "laccio" della mente: un discorso musicale grandemente strutturato; la ricerca di una logica del linguaggio (anche se intessuta di indiscussi anche se rari elementi emozionali) e la codificazione degli elementi armonici nello sviluppo teorico del sistema tonale, che vede nell'Arte della Fuga una delle pietre miliari del cammino della musica: ad esempio, l'ultimo contrappunto sul nome B-A-C-H (le cui lettere corrispondono nella nomenclatura tedesca alle note musicali Si bemolle, La, Do, Si) assomma alla strutturazione logica della grande Fuga gli elementi simbolici legati al nome del compositore, e altri ancora. Ma se Bach ha potuto costruire una architettura musicale che appare quasi "preconfezionata", oggi è possibile fare di più: con adeguato software informatico in grado di individuare le tonalità e mantenere i rapporti cromatici, è possibile ricostruire la logica dell'intera quadrupla Fuga, e successivamente sostituire le quattro note B-A-C-H con altre quattro qualsivoglia, ottenendo un'altra quadrupla Fuga; questo procedimento può essere ripetuto per tutti i gruppi di quattro note che si possono formare dalle dodici note fondamentali, ottenendo (come ci insegna il Calcolo Combinatorio) un numero di fughe pari alle Disposizioni semplici di dodici oggetti presi quattro a quattro, e cioè 12X11X10X9 = 11.880 Fughe! Tra queste, probabilmente, potremmo trovarne alcune forse più belle e significative di quella originale, a causa degli stilemi archetipici "ritrovati" per via logico-informatica anzichè per volontà espressa del compositore. A tanto il "laccio della mente" può condurci! In ogni caso, occorre notare che, a riprova della grandezza di Bach, Egli non si fece prendere totalmente e strettamente dalla logica delle architetture musicali che creava: quasi in ogni fuga ci sono degli elementi e concetti musicali "estranei" che piombano come meteore determinando intrusioni armonico-melodiche che alterano e deviano genialmente il corso "automatico" della fuga medesima. Ad esempio, dal Clavicembalo ben temperato, nella Fuga II°,3 (tre voci) l'esposizione del tema-soggetto è così fatta: soggetto-risposta-soggetto rovesciato, ed è veramente inconsueta la presenza da subito del soggetto rovesciato! Ancora, in Fuga II°,5 (quattro voci) le anomalie non si lesinano: il controsoggetto derivato dalla coda del soggetto (senza effetti di monotonìa, come di solito); il controsoggetto non in contrappunto doppio; le quinte prese per moto retto, e non in parti interne (!). Eppure è una fuga stupenda che anche nelle anomalie rilevate esprime chiaramente la differenza tra arte e mestiere.
Da Bach a Mozart attraverso un lento cammino evolutivo: pochi anni, e in realtà un abisso, che vede la nascita del formalismo settecentesco e del "cicisbeismo"; in musica ciò si ripercuote sia nel rallentamento del processo di utilizzo degli archetipi emozionali, sia nella semplificazione delle architetture logico-musicali bachiane, sia nella creazione di forme musicali adatte sopratutto a fare da "sottofondo" a scenari di comodo, salvo fortunatamente alcune grandi eccezioni (Haydn, Haendel).
Con Mozart, certo, si "cambia musica": se egli non fu indenne dalle mode della sua epoca e dalla cultura barocca in gran parte delle sue composizioni, purtuttavia riuscì a infrangere definitivamente il "laccio" razionale creato da Bach e a ritrovare la "vena" emozionale; fu aiutato anche dalle sue attitudini "libertine"? Certo è che tutta la musica successiva gli deve molto, e l'ultima sua composizione (la Messa da Requiem) è, almeno nelle parti originali, opera dal respiro immenso, in cui l'accorato dolore si mescola alla più alta speranza, quasi che dalla coscienza della fine scaturisse la consapevolezza di un nuovo inizio: forse con Mozart nasce l'autentico ideale romantico.
In effetti, il Romanticismo si propone subito come l'affermazione del diritto all'irrazionalismo, quasi un rigurgito possente degli archetipi emozionali troppo a lungo tenuti a freno; ed ecco Schubert e Beethoven: poesia e idea hegeliana, nell'ambito di una concezione assolutamente personale in cui domina sopratutto l'emozione di una poetica, di un ethos, di una volontà corale e generalizzata segnate dal genio.
Ma solo con Brahms (parzialmente anticipato da Schumann) si raggiunge una completezza di vibrazioni dell'anima individuale: gli archetipi emozionali, puri ed espansi, vengono evocati in sintesi rielaborative che vedono compresenti tutte le sfumature affettive. Brahms è l'espressione di un atto d'amore universale che abbraccia con una inimitabile poetica ogni momento di vita: egli sa ricondurre ogni sentimento, anche di vigore o di tragedia, ad un intimo dramma completamente conoscibile solo al prezzo di percorrere con grande umiltà le strade elaborate, a volte lineari, a volte tortuose, cui la sua musica obbliga l'ascoltatore.
Ed ecco sorgere, sulla scia brahmsiana, le Scuole Nazionali; con esse, la completezza di vibrazioni dell'anima popolare raggiunge il massimo: si cercano e si individuano gli stati d'animo e i modi di sentire comuni a tutto un gruppo etnico; è il momento del grande riscatto, della liberazione di energie genuine a lungo tenute compresse, della ricerca di un destino comune e di modelli di identificazione corali e condivisi dal proprio gruppo. I grandi Compositori delle Scuole Nazionali trasmettono nelle loro musiche queste emozioni, cercando di individuare, associare, esprimere i relativi gruppi di archetipi con modalità e metodologie assolutamente caratteristiche della etnìa cui si riferiscono. Le Scuole Francese, Spagnola, Russa, Norvegese, Finlandese, Slavo-Boema
(*), Americana, etc, testimoniano il grande pathos evocativo raggiunto, e forse mai finora superato.
Subito dopo le Scuole Nazionali, Mahler Strauss Berlioz, cui seguono - propiziati da Wagner, Franck, Faurè - gli Impressionisti, e poi gli Espressionisti, quasi reazione-ripudio di un linguaggio ultracodificato, dal cromatismo ormai esasperato, e come riaffermazione romantica di un rapporto individuale e quasi medianico con l'oggetto artistico: persino il sistema delle tonalità viene scardinato, con l'introduzione di una nuova "scala" nella quale vengono aboliti i semitoni, con conseguenze determinanti sul piano armonico e assolutamente nuove nel campo delle tecnologie di espressione musicale volte alla costruzione ed elaborazione di particolari e originali "atmosfere" entro le quali alloggiare i vari archetipi.
Poco dopo, la parentesi marxista: con Shostakovich, il tentativo (quasi completamente impostogli) di individuare e affermare una completezza di vibrazioni dell'anima "collettiva", ed il suo personale dramma per salvaguardare almeno in parte la propria originalità compositiva.
Gli rispondono, da par loro, Bartòk e Stravinskij. Ma già incalza l'atonalismo e la dodecafonia come tecnologie di espressione di nuovi canoni estetici: è il cammino verso l'astrattismo musicale, ove l'archetipo puro, quasi senza mediazioni rielaborative o rigurgiti mentali e culturali, si proietta direttamente nell'opera d'arte.
Poi Stockhausen, la musica elettronica, la musica multimediale.....l'avventura continua.

[i] 14.2 - Conseguenze sulla musicologia

Interessanti sono anche alcune conseguenze della teoria degli archetipi sulla musicologia.
Alcuni musicologi
(1) sono stati indotti a pensare che non esista "la" musica, ma esista "musica" in genere, o "le musiche", in dipendenza dei diversi tempi e luoghi di manifestazione del fenomeno musicale. Questa è chiaramente la deduzione di chi non riconosce l'esistenza di un unico linguaggio che sta alla base di ogni musica, e di chi non riconosce l'esistenza di un unica "modalità cerebrale" che presiede alla formazione di qualunque espressione artistica. Pensiamo un pò alla aberrazione di concepire le "pitture", le "sculture", le "letterature", come momenti staccati e quasi dovuti a divertimento singolo o casuale necessità, e non come generati da un insopprimibile bisogno dell'uomo di percepire misteriosamente, comprendere coscientemente e infine esprimere la Grande Arte come momento di una continua evoluzione della propria psiche verso la assimilazione e la identificazione autocosciente con la Natura (prefigurata ed espressa nel mondo delle idee, nella memoria universale).
Tornando alla musica, per alcuni secoli, certamente, il sistema tonale scientificamente codificato fu creduto connaturato con la musica stessa, e sembrò unificare ed esprimere definitivamente il suo linguaggio, e addirittura coincidere con esso; ma quando si constatò che si poteva fare Arte anche con l'atonalismo o con la musica elettronica, apparve chiara l'antinomia: o si trovava un altro elemento unificante, o si doveva veramente parlare di "musiche". Certamente, la differenziazione delle etnìe ha dato luogo a principi formativi diversi che dobbiamo in ogni caso accettare; ma a parer nostro, la possibilità di analizzarli, comprenderli, confrontarli, risiede solo nella ipotesi dell'esistenza di un unico linguaggio archetipico di base, anche se possono integrarlo rielaborazioni e autonome elaborazioni mentali che risentono quasi cromosomicamente delle differenze "autoctone" tra gruppi di individui della specie umana. L'articolazione su archetipi consente di formare concetti puramente musicali e quindi pensieri musicali: la loro correlazione con i concetti ed i pensieri propri della razionalità umana è possibile solo e soltanto a livello archetipico, mai a livello contestuale. E' inoltre da notare che da uno stesso archetipo puro, espanso o composto, come pure da uno stesso gruppo di archetipi, possono scaturire più concetti musicali che contengono una identica essenza ma che si differenziano per la diversa "attinenza" delle componenti archetipiche all'intero pensiero musicale elaborato e e sviluppato dall'Autore.
Un esempio di correlazione tra pensiero razionale e musicale si ha nella musica vocale: in effetti, noi pensiamo la voce umana come operatore duplice utilizzato contemporaneamente o per l'enunciazione di un tema musicale, a mò di strumento, o per l'esplicazione di un pensiero razionale; per cui, allo stesso tempo, identici archetipi danno luogo contemporaneamente a discorsi musicali e a discorsi razionali; ma è piuttosto il "testo" che (ovviamente) commenta la musica, a riprova del fatto che non c'è alcun bisogno di "traduzione" letteraria di un testo musicale per comprenderlo, anche se ciò è possibile.
Nessuno, naturalmente, vuole disconoscere i meriti e la grandezza del "Teatro musicale", il Melodramma, che può raggiungere grandissimi livelli espressivi ed artistici (e in Italia, l'Ottocento ed il primo Novecento lo ha dimostrato), ma solo con l'ausilio anche di mezzi "extramusicali": E non alludiamo soltanto al "testo cantato", espressione di concetti razionali letterari e di emozioni ivi contenute, ma sopratutto alle tecnologie di espressione scenica. Certo, la "vera" musica non ne necessita.
Abbiamo accennato ai mezzi "extramusicali": ecco un equivoco ancora presente tra i musicologi sofisti, che cercarono di distinguere il "puramente musicale" dall' "extramusicale", nell'intento di riuscire a definire e isolare la "vera" musica dagli elementi "inquinanti". Dall'Ottocento in poi, nella più alta tradizione musicologica europea, il "puramente musicale" equivalse al "puramente strumentale", tollerando la voce umana solo se utilizzata come "strumento". Allo stesso modo, si vide un intervento "extramusicale" quando nacque la musica "a programma", gridando all'indebito inquinamento e alla corruzione effettuata prima sul Compositore e successivamente sugli ascoltatori, Eppure, nessuno oggi nega la grandezza di alcuni Poemi Sinfonici (Rimskij-Korsakov, Dvoràk, Strauss etc), musica "a programma" per eccellenza.
In ogni caso, in seguito, il concetto di "extramusicale" si estese ben presto, nella concezione di molti musicologi, a tutte le "interferenze" in grado di condizionare in qualche modo la musica e allontanarla dal "puramente musicale".
Anche il carattere, la cultura individuale dei Compositori e le sollecitazioni dell'epoca in cui vissero furono messi "sotto accusa": è, ad esempio, sintomatico ed esilarante il fatto che persino Beethoven venga considerato "inquinato" e che la sua musica sia riconosciuta densa di elementi extramusicali perchè "erompe da uno stato di tensione dettato dalla volontà", per cui la sua opera risulta "spostata dal terreno puramente musicale ed estetico alla sfera etica e dell'impulso morale" (
2)!

Noi pensiamo che la diatriba tra il "puramente musicale" e l' "extramusicale" sia dovuta ancora una volta al fatto di aver voluto analizzare la musica partendo dalla musica e non dall'uomo: il "puramente musicale" è attributo che dovrebbe spettare al solo archetipo e forse alle sue rielaborazioni. Nel nostro intendimento, il conflitto tra "musicale" ed "extramusicale" si risolve solo con l'ipotesi archetipica, che riconduce ad una unica radice il fatto artistico, per cui, in realtà, TUTTE le musiche (come del resto tutte le espressioni artistiche) sono "a programma" (costituito dal susseguirsi degli archetipi evocati), e contemporaneamente NESSUNA musica è "a programma" (dato che ogni canovaccio intellettuale razionalmente precostituito può esprimersi musicalmente - o in altra forma d'arte - solo per mezzo degli archetipi).
Quanto poi alla coincidenza tra "puramente musicale" e "puramente strumentale", sarà sufficiente ricordare che ogni strumento musicale è stato creato artificialmente dall'uomo per esprimere e "mimare" i propri archetipi, ed è già di per sè da concepirsi "extramusicale". Sotto questo aspetto, non c'è differenza tra un violino e il cannone usato da Tchaikowskij al posto dei timpani nella sua "Ouverture 1812".
Per tornare infine a Beethoven e alla sua presunta "extramusicalità", dovuta alla "colpa" di derivare la non meglio definita "attività puramente musicale" dalle proprie concezioni etico-morali (quindi, musica "a programma"!) ribadiamo che mai è stato detto nulla di più umoristico, ascientifico, lontano dalla verità: per noi invece, le componenti etiche, l'impulso morale, lo stato di severa tensione dettato dalla volontà, sono gli elementi tipici e caratteriali del compositore sui quali si è svolta quella "meditazione profonda e continuata" che ha determinato l'evocazione conscia e inconscia, e successivamente la scelta e l'utilizzo, dei relativi archetipi che hanno dato vita a concetti, discorsi e pensieri "puramente" musicali, quali quelli da lui espressi. Certamente, riconosciamo che i grandi ideali cui Beethoven si ispira e che manifesta con tanta nettezza e vigoria, saranno sempre presenti - quasi come un canone - nella sua opera, e ne determineranno la grandezza, ma ne segneranno inequivocabilmente anche i limiti: al di là di quegli ideali c'è l'uomo, la cui intimità misteriosa, forse preclusa a Beethoven, si rivelerà per la prima volta - come abbiamo detto - solo con Brahms.
E' nostra opinione che la musicologia, sconfinata nella filosofia musicale, e coltivata essenzialmente da persone di grande cultura letteraria ma uscite dai Conservatori di Musica, o da Corsi di Perfezionamento in Musicologia (da seguire dopo una Laurea in Lettere), debba cambiare rotta e divenire finalmente scienza, utilizzando tutte le risorse e le metodiche che questa può riservare. Certamente, se la Musica è l'Arte-sintesi, base della conoscenza umana ("intima essenza del mondo", come la definisce
(3) Schopenhauer), essa abbisogna, per essere intesa, di studiosi in grado di analizzarla con ogni strumento che la scienza (matematica, fisica, biofisica, neurologica etc) pone a loro disposizione, andando ben al di là della sola analisi delle metodologie espressive, come accaduto finora.

[i] 15.1 - La natura e l'arte. Il mondo delle idee (e la memoria universale) quali sorgenti degli archetipi emozionali. Le diverse ipotesi (materialista e spiritualista) sulla realtà del'uomo.

Il discorso sulle capacità umane di esprimere il mistero dell'Arte, e quindi della Musica, rischierebbe di restare a metà se non facessimo alcune considerazioni e ipotesi sulla sua genesi e sulla sua realtà nella Natura; occorre tentare di ricomporre il quadro generale, anche per dare un senso compiuto all'immenso processo evolutivo che ci vede protagonisti.
Una prima considerazione che balza subito agli occhi è l'aver riconosciuto che l'Arte non è una astrazione della Natura, non è una nostra "invenzione mentale" volta a immaginare e rappresentare le nostre possibilità di avvicinarci indefinitamente alla perfezione estetica, ma, attraverso gli "archetipi arricchiti" (che in realtà sono "granuli di Arte concentrata"), entra in ciascuno di noi quale componente basilare di tutte le nostre emozioni, quindi fa parte intimamente della Natura, della nostra Natura. Perchè, allora, non siamo tutti "Artisti"?
Indubbiamente, perchè per scatenare il richiamo artistico tramite il big-bang occorre una profonda meditazione su ciò che vorremmo esprimere, e quindi necessitano doti di cultura, volontà specifica, determinazione, concentrazione etc che non tutti hanno, e che si acquistano con un lungo esercizio, sia razionale-mentale sia propriamente "fisico", che permetta di acquisire le necessarie cognizioni, le metodologie, nonchè le tecnologie ed i mezzi di espressione. Certamente però, tutti, in maggior o minor grado, possiamo "riconoscere" la vera Arte attraverso i nostri archetipi. Occorre infine considerare che la definizione di "Arte" deve estendersi ad ogni forma dello scibile e del realizzabile in cui si possono raggiungere straordinari risultati in forme assolutamente originali: il procedimento di "innesco" è tuttavia sempre lo stesso, concentrazione e poi big-bang inconscio.
L'altra considerazione essenziale è la necessità di investigare scientificamente il nostro modo di essere, la nostra stessa esistenza in rapporto a ciò che ci sembra esterno e forse non lo è.
Ciò che diremo, cercheremo di basarlo su contenuti scientifici, avvertendo debitamente quando saremo costretti a formulare ipotesi non ancora verificate scientificamente, o quando riporteremo ipotesi fideistiche, a esemplificazione delle diverse concezioni filosofico-religiose oggi esistenti. Purtroppo, la scienza è appena agli inizi, per ciò che concerne la percezione conscia e inconscia dell'uomo e i suoi necessari rapporti col "quid percipibile": se le nostre acquisizioni archetipiche non computazionali hanno, come pensiamo, valenza psicologica, con quale "realtà esterna" comunica la nostra psiche ?
Il mondo reale, l'universo in cui siamo immersi, lo spazio-tempo che ci ospita, tuttociò sembra all'origine delle nostre percezioni, che ci pervengono "vestite di materia" e ci colpiscono, restando impresse indelebilmente; ma tra esse ci sono quelle che ci fanno "vibrare", che implicano il "sentimento emozionale", che infine ci consentono la "coscienza di stare provando emozioni".
Proviamo ad elencare le realtà che ci sembra debbano necessariamente esistere per spiegare la complessità della psiche umana, che abbiamo pensato provvista di mente razionale conscia e inconscia, avente qualità per acquisire e contenere il computabile ed il non computabile, strutturale ed emozionale.
Le idee reali preesistevano alla nascita del nostro universo (big-bang fisico) e alla nascita della vita? Noi pensiamo di sì, e che alla base di tutto ci debba essere un "Contenitore Universale" (che Platone chiamò "Mondo delle Idee"), provvisto di "memoria", in cui sono contenuti gli Archetipi emozionali primigeni, ma anche le logiche per una loro continua rielaborazione e utilizzo.
Abbiamo visto che gli archetipi hanno un loro "scheletro" di tipo logico-matematico: questo ci costringe a supporre che "forme matematiche pure" costituiscano il "cuore" del Mondo delle Idee. Questo "mondo delle forme matematiche pure" si è riverberato innanzitutto nel nostro "spazio-tempo fisico" strutturando concettualmente l'Universo che ci ospita e ponendosi alla base delle sue "leggi fisiche"; e contemporaneamente ha provveduto, nel corso dell'evoluzione della nostra specie, alla "costruzione e strutturazione razionale" della nostra mente
(1) (formazione operazionale della neocorteccia cerebrale), per mezzo della continua e successiva "metabolizzazione" degli archetipi emozionali via via impressi.
In effetti, il mistero della "comprensione" razionale delle leggi matematiche, che inizia solo a un certo punto dell'evoluzione (comparsa dell'uomo sapiens), nonchè del ritrovamento delle stesse leggi alla base del mondo fisico nel quale noi stessi abbiamo avuto origine, prova che il "mondo delle forme matematiche pure" preesisteva sia al big-bang fisico che alla formazione della vita; è difficile immaginare che subito dopo il big-bang fisico possano essere comparse formazioni materiali aventi forma sferica, traiettorie di particelle aventi forma circolare, etc senza l’ipotesi generale che l’idea-forma matematica del numero p greco costante che regge quelle realtà non preesistesse alla loro comparsa; stesso discorso per il numero e di Nepero, o per la costante di gravitazione universale,etc. Spesso, poi, nel cammino scientifico, è accaduto di ritrovare delle proprietà logico-matematiche generali (forme pure) durante la elaborazione teorica di ipotesi fisiche, elaborazione impossibile a compiersi senza quel tipo di strutturazione generale: tali proprietà preesistevano, e sono restate imprevedibilmente nascoste fino al loro ritrovamento da parte di una mente razionale anch'essa già strutturata (lo scienziato) che le ha intuite e rivelate a tutti. Certamente, come abbiamo notato, non sempre le "leggi matematiche della fisica", che noi ricaviamo dalle nostre qualità mentali razionali, coincidono alla perfezione con le leggi fisiche: ad oggi non sappiamo se ciò è dovuto ad una nostra limitazione mentale nella ricostruzione razionale delle forme matematiche, oppure se è una caratteristica del nostro Universo legata al principio della sua "irreversibilità", che oggi la scienza sta riconoscendo basilare
(2) per spiegare alcune presunte "discontinuità". Con grande probabilità, come dicevamo, ciò è dovuto alla mancanza di una teoria fisico-matematica che introduca stabilmente alla sua base il "non computazionale", e che possa descrivere anche l' "irreversibilità".
Ora, ammettendo che al cuore del mondo delle idee siano situate e preesistano delle "forme matematiche pure", abbiamo visto che il loro genere può essere computazionale (razionalizzabile) e non computazionale (intuibile dalla coscienza); ma, evidentemente, le "emozioni" (o gli "archetipi emozionali") essendo strutturate sia in modo non computazionale che computazionale dalle forme matematiche pure, debbono anch'esse preesistere al momento percettivo mentale; anzi, potremmo dire che esse sono "idee emozionali" che divengono "emozioni" al momento della loro percezione da parte dell'essere vivente, e poi, addirittura, che ogni idea può essere percepita dalla psiche solo se diviene emozione.
Ecco quindi che il complesso dell'esistente
(3) per noi potrebbe così strutturarsi: con ideale raffigurazione sferica (vedi fig.5), più vicina al centro, la sfera delle "forme matematiche pure", poi, concentricamente, la sfera delle "idee-emozioni", e in ultimo le sfere dello "spazio-tempo fisico" non vivente e dello "spazio-tempo cosciente" (vivente, al quale apparteniamo, come ultimo anello della catena evolutiva). Da notare che ciascuna "sfera" si attualizzerebbe a partire dal centro comune a tutte le altre e parteciperebbe fin dall'inizio alla strutturazione archetipale.

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Praticamente, potremmo quindi concepire l'attuale patrimonio psichico dell'uomo-universo come costituito da un insieme di archetipi che avrebbero subìto una successiva continua implementazione: gli archetipi matematico-strutturali preesistenti si sarebbero via via dotati degli elementi logici e ritmici, e successivamente, emozionali-musicali, arricchendosi contemporaneamente delle altre qualità artistico-naturali (7.11), e infine "vestendosi" di materia e di vita. Ma allora la nostra psiche, in realtà, non potrebbe che essere il riflesso locale parzializzato e attualizzato nello spazio-tempo vivente, di una Psiche Universale preesistente che conteneva gli archetipi emozionali primigeni che si sono poi "realizzati", "inverati" in noi.
Riteniamo che quanto sopra appartenga al campo scientifico, e non fantascientifico: solo che la scienza deve ampliare i suoi confini, le sue prospettive, includendo il non computazionale in maniera "strutturale" nelle proprie teorie scientifiche globali. Persino uno scienziato come Penrose (
4) riconosce e auspica questa evoluzione radicale della scienza per farla uscire dal "ghetto", dal "laccio" esclusivamente razionale-computazionale che sembra affliggerla, preconizzando l'avvento di una fisica ancora sconosciuta (descritta da forme matematiche non computazionali), che stia a cavallo tra i livelli classico e quantistico, e che spieghi compiutamente il funzionamento dei sistemi biologici (come i nostri cervelli) che sembrano effettivamente utilizzarla.
In attesa che la scienza si evolva, cosa hanno detto al riguardo la filosofia e le religioni?
La differenza sostanziale consiste nell'approccio etico-morale, nel tentativo generalizzato di individuare codici comportamentali insiti nella Natura e nell'Uomo. La filosofia, poi, tenta di analizzare ogni situazione in cui si debba regolare razionalmente il flusso delle sequenze emozionali-razionali in base a regole generali di convivenza e di organizzazione (problemi della conoscenza, etica, filosofie politiche, filosofia del diritto, dottrine economiche, sociologia) o di espressione artistica (estetica). Le religioni invece spostano l'accento sul problema morale, sull'esistenza delle Idee "assolute" di Bene e di Male, che nelle religioni cosidette "rivelate" (ebraismo, cristianesimo, islamismo) diviene un assunto dogmatico da accettare fideisticamente assieme a complessi di regole da seguire, necessarie per il conseguimento delle finalità che ciascuna religione promette; in altre religioni (induismo, culti teosofici, etc) le idee di Bene e di Male sono considerate "relative" e complementari l'una all'altra secondo livelli individuali per cui il "male" è solo un "minor bene", e costituisce un passo necessario per una continua evoluzione dell'individuo verso condizioni di spiritualità crescente. Ma ciò che caratterizza tutte le religioni (e le distingue in genere dalla filosofia) è l'Idea di Dio, cioè di un Essere Creatore di natura "spirituale", e sopratutto Immortale.
Questa idea è alla base della diatriba fideistica tra Materialisti e Spiritualisti.
Per il Materialista puro, la psiche umana è mortale, e subisce lo stesso processo di degenerazione e disfacimento del corpo fisico; la "Psiche Universale" da noi ipotizzata, è realmente esistente solo fino a che sussiste una psiche umana e si estingue con l'eventuale sua fine.
Per lo Spiritualista, Dio coincide con la "Psiche Universale", ritenuta immortale come la psiche di ciascun individuo, che viene pensata appartenere ad un altro "universo" e non al nostro spazio-tempo, nel quale peraltro si trova ad operare con la mediazione del corpo fisico.
La caratteristica essenziale dell'incarnazione umana consisterebbe nel riprodurre (e ritrovare) nell'uomo le idee-emozioni che sono preesistenti nella Psiche Universale. Lo Spiritualista distingue, nell'ambito psichico, lo "spirito" (che attinge la propria "essenza" nel mondo delle "Forme Matematiche Pure" e delle "Idee") e l' "anima" (che attinge la propria "essenza" nel mondo delle "Idee-Emozioni"); la psiche umana così formata (Spirito + Anima) avrebbe una "vita propria" indipendente dal corpo che la alloggia, con possibilità di proiettarsi e "materializzarsi" autonomamente anche nel nostro spazio-tempo.
Naturalmente, l'uomo di cultura e di scienza, deve restare, fino a prova contraria, nella posizione di "dubbio scientifico" (persino nei confronti della stessa scienza!), e non può che considerare le "fedi" materialiste e spiritualiste come posizioni "di comodo", senza lasciarsi condizionare in alcun modo nella formulazione delle proprie teorie filosofiche o scientifiche, o nella interpretazione di situazioni sperimentali, anche se può esprimere una personale preferenza per l'una o per l'altra convinzione.
[i] 16.1 - Conclusioni

La Natura come mimesi dell'Arte: così Platone, che pensa le Idee assolutamente preesistenti ad ogni manifestazione sensoriale di esse, e infinitamente più complete e perfette. Addirittura, quando un artista copia (mima) la natura, compie opera iniqua e insignificante, quale è, appunto, la copia di una copia.
In questa visione, che definiremmo di "integralismo estetico", manca la constatazione che solo per mezzo delle manifestazioni sensoriali possiamo avere coscienza e conoscenza dell'esistenza delle Idee, che altrimenti ci sarebbero sconosciute e quindi di nessuna utilità; quanto all'artista, una cosa è quando "computazionalmente pantografa la realtà", una cosa è quando si abbandona (usando il subconscio) alla "violenta percussione", al big-bang diretto proveniente dagli archetipi emozionali, che sono un pò come i "quanti" del mondo delle Idee. Probabilmente, solo una "scienza autocosciente"
(1), solo nuove teorie fisiche basate su una matematica non computazionale e capace di descrivere compiutamente l'irreversibilità dello spazio-tempo quale scaturisce anche dai fenomeni di complessità (2) che presiedono a numerose manifestazioni del non-vivente (big-bang fisico, fenomeni di transizione di fase, rotture spontanee di simmetrie, etc) e del vivente (da materia inanimata a materia vivente, dal vivente al vivente-cosciente nei suoi diversi gradi, ai fenomeni di "organizzazione", etc), solo, dicevamo, l'uscita definitiva dal "laccio" della mente computazionale divenuto quasi "pregiudizio", potrà consentirci un soddisfacente grado di interpretazione previsionale del nostro stato di realtà.
Per adesso, dobbiamo superare il "laccio" con l'aiuto delle Idee-emozioni non computazionali, e qui il contributo della Musica è determinante, dato che la sua "sfera" è essenzialmente "di mediazione", è anello di congiunzione tra la sfera delle forme matematiche pure e la sfera delle idee-emozioni, e gli archetipi musicali sono in effetti base strutturale e linguaggio puro della mente cosciente, costituendo, a nostro parere, l'unica possibilità per le riacquisizioni (geneticamente guidate) delle qualità intellettive dell'uomo dal momento del suo concepimento in poi.

FINE

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INDICE

 

LA MUSICA ALL'ORIGINE DELLA CONOSCENZA UMANA

Premessa

Introduzione

Parte prima - Il percipiente

Parte seconda - Il percepito

Parte terza - L'arte, la musica, l'esistente

Appendici